Gestire bond in $: cosa insegna l’esperienza di questi anni


Cedole & dividendi

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Comprare o vendere bond in dollari? E’ la domanda della settimana, anzi del mese e ancor più dell’anno. Il biglietto verde si sta un po’ indebolendo e si poteva prevedere, visti alcuni recenti segnali. Ma poi rimbalzerà? Probabilmente sì, sebbene non ci si debba aspettare “rush” rilevanti (salvo disastri sul fronte euro), perché la Yellen ha fatto uno scherzetto imprevisto e imprevedibile nella sua conferenza stampa di mercoledì. Ha anticipato le mosse future della Fed, affermando che i rialzi dei tassi saranno tre in totale nel 2017 e altrettanti nel 2018, mentre i Fed funds non potranno andare oltre il 3% dal 2019 in poi. Non si era mai visto il numero uno di una Banca Centrale svelare i temi d’esame fornendo in anticipo cifre e date! Perché l’ha fatto? Il motivo è semplice: fra meno di un anno andrà a casa e si è tolta così un sassolino dalle scarpe nei confronti di Trump. Chi arriverà dopo di lei potrebbe modificare questo piano, senza batostare i mercati? Certo che no! E allora la patata diventa davvero bollente, poiché mette il neo Presidente repubblicano in una situazione di incertezza, mentre toglie argomenti di esitazione agli investitori, che ora sanno tutto e si muoveranno di conseguenza.

Molti analisti prevedono un periodo di relativa debolezza per il dollaro, che potrebbe muoversi verso l’1,10 nei prossimi mesi, sebbene Goldman Sachs e anche altri fissino il biglietto verde sulla parità o perfino sotto a fine 2017. Il motivo? Più per debolezza dell’euro che per forza del $. Ecco perché – passata la bufera del post mercoledì – il dollaro sta attraversando una fase di consolidamento, che dovrebbe escludere forti oscillazioni nel breve periodo, ma non inibire volatilità.

Torniamo allora al quesito iniziale: comprare o vendere? La risposta è articolata e dipende solo in parte dal $.

Comprare? Nella fase attuale ci sono soltanto due possibilità: o tassi variabili (ne scriveremo presto) o high yield a scadenza massima 2 anni. Reperire questi ultimi non è semplice, perché i gestori specializzati nel settore se li sono accaparrati e li tengono in portafoglio. Qualche titolo molto liquido c’è, ma trattabile solo sull’“Otc”. E gli “investment grade” a cedola fissa? Per ora meglio evitarli in un quadro di rialzo del costo del denaro, anche se negli ultimi mesi si sono viste nuove emissioni con coupon più elevati.

Vendere? Qui le certezze diminuiscono.

Se si dispone di un conto in valuta le ambasce sono minori. Considerando che il livello medio dei rendimenti cedolari è ben maggiore rispetto a quelli in euro si può pensare di staccare coupon e restare fermi, solo però se i prezzi di carico sono sotto la pari o al massimo a 100. Con gli introiti incassati è scontato il reinvestire su bond in dollari differenziando le tipologie: pochi nuovi tassi fissi e tanti tassi variabili con scadenze non oltre il 2019/2020 (fra l’altro al di là c’è ben poco). Occorre tuttavia fissare precisi livelli di uscita in presenza di un eventuale trend ribassista del $: l’analisi grafica vorrebbe che la barriera fra area di forza e area di debolezza per il “cross” euro/dollaro si fissi sul livello degli 1,115. In sintesi si possono stabilire queste quote operative sul cambio per chi opera con le obbligazioni:

sopra 1,115 il dollaro confermerebbe un arretramento con poche vie di uscita e ancor più se superasse gli 1,134;

fra 1,115 e 1,05 si resterebbe in un territorio stabile ma probabilmente caratterizzato da volatilità;

a un sostanziale “breakout” degli 1,05 addio sogni di gloria per l’euro.

Se non si dispone di un conto in valuta (siamo ancora in un Paese “libero” e ciascuno può farsi male come vuole!) la gestione deve essere strutturata solo in base ai cambi di acquisto. Bisogna costruirsi una scheda con tutti i dati, anche se si hanno pochi titoli in $, e vendere in presenza dell’avvicinarsi ai valori di carico del “cross” euro/dollaro, tenendo però ben presenti i numeri sopra esposti.

C’è una terza opzione: proteggersi. Si può fare con un Etf short sui Treasury Usa. A Borsa Italiana è quotato il Lyxor Ucits Etf Double Short 10y Us Treasuries (Isin FR0011607084), che – in teoria – potrebbe svolgere la funzione di ombrello rispetto a variazioni avverse di tassi e “credit spread”. Ha un vantaggio: richiede un basso impiego di capitale per la posizione long da coprire, perché beneficia di una “modified duration” negativa elevata (circa -12,5), il che fa sì che i suoi movimenti siano più pronunciati rispetto a un portafoglio con “duration” media per esempio di 5. Si è detto però in teoria, poiché l’effetto “compounding” ne penalizza le performance in presenza di volatilità e può trasformarsi in una bomba nel medio e lungo termine. Quindi niente protezione! Ottimo invece per trading di brevissimo periodo.

In conclusione bisogna muoversi con estrema attenzione e rapidità al variare delle condizioni dei mercati. Con una difficoltà in più: i bond quotati su Borsa Italiana sono spesso meno liquidi rispetto a quelli presenti sull’“Otc”, per motivi che sarebbe troppo lungo stare a spiegare. In questa fase quindi - se si hanno in portafoglio obbligazioni con bassi scambi - è meglio tentare di “switciare” su emissioni più negoziate, cogliendo l’occasione per liberarsi di titoli ad alta “duration”, cioè con alta sensibilità al variare dei tassi. Ce ne sono parecchi sul Mot.

La lezione che si trae si può così sintetizzare:

1°) Oggi ci si trova in una fase più complessa rispetto al passato perché l’effetto abbinato di rialzo dei tassi e di volatilità del $ porterà a scenari imponderabili.

2°) Non posizionarsi mai su titoli che quotano al massimo qualche punto sopra la pari.

3°) Le scadenze vanno distribuite soprattutto sul corto e medio termine.

4°) Evitare un errore classico: concentrare gli acquisti e/o le vendite su livelli chiave di cambio, quelli di cui si servono gli analisti grafici. Meglio distribuire gli ordini in acquisto su livelli scalari nelle fasi di rafforzamento della valuta e fare altrettanto se si intende vendere.

5°) La “duration” residua non deve mai superare lo “yield”: regola imprescindibile.

6°) La politica pesa sul biglietto verde; ogni tanto lo si dimentica. Nei prossimi anni ciò si accentuerà, visto il decisionismo – talvolta un po’ isterico – di Trump.

7°) Attenzione alla liquidità dei titoli in portafoglio: è una variabile in più da tenere sempre sotto osservazione.

8°) Senza un conto in valuta tutto diventa più difficile; ciò non esclude che se si decide di vendere obbligazioni in $ (quelle magari con maggiori plusvalenze) è meglio cambiare il relativo importo in euro: utili incassati, utili salvati! Anche per evitare le implicazioni di natura fiscale se si supera il plafond previsto.

9°) Dove saliranno i tassi Fed? Per capirlo basta utilizzare come punto di riferimento un confronto fra i rendimenti di un piccolo portafoglio in t. variabili e quello del decennale governativo. Quando ci si avvicinerà al punto di equilibri, la spinta sarà presumibilmente finita.

10°) Non si dimentichi che gli Usa sono super indebitati (oltre 18.000 miliardi di $). L’effetto Trump potrebbe essere deleterio da questo punto di vista. Il dollaro potrà solo rafforzarsi in un simile contesto? Certo che no.

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