Proteggersi dall’inflazione: troppa liquidità in conto è un rischio. Le alternative possibili


Cedole & dividendi

Oggi non analizziamo principalmente prodotti che distribuiscono cedole o dividendi ma segnaliamo un aspetto decisivo per la redditività di ogni portafoglio. E’ quello – in apparenza banale, ma trascuratissimo – della remunerazione della liquidità mantenuta sui conti correnti, decisiva per proteggersi dall’inflazione. Attenzione, perché il quadro sta cambiando e cambierà ancor più nei prossimi tempi. Questo il motivo:

1°) L’inflazione rialza la testa (ormai è noto a tutti).

2°) I tassi di interesse non ripartiranno a breve, per un motivo molto complesso: l’enorme massa di liquidità immessa dalle Banche centrali nei circuiti finanziari impedisce che la classica correlazione fra inflazione e andamento dei tassi si manifesti con la stessa velocità con cui è avvenuto in passato.

3°) Le banche tenderanno a loro volta ad adeguarsi lentamente a un aumento dei tassi riconosciuti ai clienti.

Quindi il proteggersi dall’inflazione in un contesto così complesso diventa non solo decisivo ma anche più difficile.

I dati sono impietosi al proposito. L’aumento del costo della vita su base annuale è avvenuto con il seguente trend nel 2017: a gennaio (su gennaio 2016) +1%; a febbraio (su febbraio 2016) +1,61%; a marzo (su marzo 2016) +1,41%. Il valore medio è stato dell’1,34%. I conti correnti hanno reso, in base a una verifica su un campione di 120 banche, lo 0,06%, cioè nulla considerando i vari oneri. Nel frattempo alcune banche hanno cercato di incrementare la loro redditività offrendo nuovi servizi, con costi aggiuntivi. L’obiettivo di proteggersi dall’inflazione è quindi del tutto disatteso.

I conti deposito vincolati possono essere una soluzione alternativa, come è stato in un passato non troppo lontano? No, perché le proposte più affidabili – in termini di rapporto solidità dell’istituto/ rischio complessivo dell’operazione – si riferiscono a poche banche, quasi tutte “online, e comunque con rendimenti netti al massimo dello 0,40%, detratte spese e tasse. Anche con questa soluzione il proteggersi dall’inflazione non è garantito.

Il tenere liquidità diventa quindi un costo, anzi una perdita secca, dell’ordine di un 1,20-1,50% su base annua, dovuta all’erosione inflattiva.

Siccome la propensione a conservare buona parte del patrimonio non investita è alta in Italia, dell’ordine del 30-32% sul totale della ricchezza finanziaria, è evidente come il danno sia ingente e possa aumentare in maniera esponenziale nel caso si verificasse un surriscaldamento dei prezzi.

Quali sono allora le alternative?

Collocarsi su strumenti tendenzialmente liquidi ma che garantiscano quanto meno un rendimento allineato all’inflazione.

Per esempio:

1°) Il Btp Italia è una buona soluzione e lo si è visto negli ultimi mesi, con gli istituzionali corsi ad acquistarne elevati importi sulle scadenze più corte, il che ha anche vantaggi di natura fiscale. Per il piccolo e medio investitore è meglio invece la soluzione della vita residua più lunga in assoluto (per esempio l’ottobre 2024 – Isin IT0005217770), poiché attualmente quota sotto 100. C’è un solo rischio: quello di credito, cioè del sistema Italia. Su questo tema è impossibile esprimere pareri, perché l’opinione pubblica è divisa e non cambia convinzione: solo chi crede in una possibile crisi del Paese ne stia fuori. Proteggersi dall’inflazione? Sì, ma esclusivamente da quella italiana.

2°) Un Etf sulla liquidità, quale il Pimco Euro Short Maturity Source (Isin IE00B5ZR2157), che investe soprattutto in obbligazioni “investment-grade” a breve termine, denominate in euro. La durata media del portafoglio varia in base alle previsioni economiche e al processo d’investimento attivo, ma in genere non supera un anno. La volatilità è bassissima (massimo 0,20% annuo) e ogni mese viene distribuito un dividendo, sebbene molto modesto (nel 2016 con rendimento dello 0,03% ma nel 2014 era stato dello 0,50%). E’ quotato su Borsa Italiana, con un costo medio annuo dello 0,35%, di cui bisogna tenere conto. In presenza di un rialzo dei rendimenti delle obbligazioni, derivanti da nuove emissioni, l’Etf ne trarrebbe un vantaggio. I rischi qui sono relativi solo alla controparte – ovvero l’emittente – comunque una delle “investment management firms” maggiori al mondo. Proteggersi dall’inflazione? Sì, ma in maniera molto prudente.

3°) Un’abbinata con importo suddiviso a metà fra un Etf sui tassi variabili a breve scadenza in euro (Amundi Floating Rate Euro Corporate 1-3 years – Isin FR0012005734 – Borsa Italiana – ad accumulo – bassa volatilità – costo 0,18% annuo) e un Etf sull’inflazione, ovvero sui bond “inflation linked”, sempre in euro (Lyxor EuroMts Inflation Linked Investment Grade – Isin FR0010174292 – Borsa Italiana – ad accumulo – bassa volatilità – costo 0,20% annuo), quest’ultimo relativo ai titoli di Stato indicizzati all'inflazione più significativi negoziati nell'eurozona. Anche qui l’unico rischio è quello di controparte, cioè dell’emittente, comunque uno dei maggiori al mondo. Proteggersi dall’inflazione? Sì, stemperando gli effetti talvolta contrastanti fra rialzo dell’inflazione e rialzo dei tassi.

4°) Un’obbligazione, emessa da una banca primaria, di tipo a tasso misto. Per esempio la Imi Collezione Mc Ge26 Eur (Isin XS1341083555 – Borsa Italiana – taglio minimo 1.000 euro), che riconosce il 3,10% per le cedole in pagamento fino al 2018 (26/1) e poi si indicizza all’Euribor a 3 mesi, maggiorato di spread 0,75%, per le restanti cedole sino a scadenza nel 2026. Attualmente quota sui 99,5. Il rischio è solo di credito, ovvero riferito all’emittente, ma Banca Imi è l'investment bank del gruppo Intesa Sanpaolo. Proteggersi dall’inflazione? In maniera indiretta puntando su un rialzo dei tassi e con un discreto “spread”. L’offerta di bond di questo tipo è molto ampia, ma occorre scegliere solo fra quelli quotati e molto liquidi.

5°) Una mini gestione patrimoniale bancaria. In questo caso non è possibile proporre degli esempi, perché la gamma dei prodotti è talmente ampia e diversificata da non essere confrontabile. L’anno scorso in media quelli a basso rischio, cioè finalizzati alla conservazione del capitale, hanno garantito rendimenti dallo 0,6% all’1% su base annuale, ma già nella prima parte del 2017 si riscontra un buon incremento, con alcune gestioni giunte a superare anche l’1,5%. Proteggersi dall’inflazione? Dipende logicamente dalla soluzione scelta e dalla bravura del gestore. In linea di massima l’obiettivo è possibile, sebbene con costi superiori rispetto alle altre alternative.

Queste sono le modalità più comuni per proteggersi dall’inflazione, eliminando il rischio di perdite sul capitale in termini di valore reale dovute al detenere troppa liquidità sui conti correnti o deposito. Naturalmente ce ne sono altre e sull’argomento torneremo nei prossimi giorni.