“Risk off” o “risk on”: il barometro dei mercati segnala che…(20/8/2017)


Il quadro è decisamente improntato al “risk on”, ma Barcellona rappresenta una svolta nel pesare il fattore terrorismo. Attendendo le indiscrezioni della riunione dei Banchieri centrali di Jackson Hole.

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Questa volta i mercati hanno capito: l’Europa sta vivendo un’altra difficile fase della sua storia, stretta nella morsa di un terrorismo paranoico. Venerdì tutte le Borse del mondo hanno chiuso in rosso, salvo qualche eccezione molto lontana. La striscia di sangue, che tocca le nostre città, enfatizza domande senza risposte. L’universo del denaro non può più tentare di dimenticare nell’arco di qualche ora. Se ci fossero altre stramaledette volte, il “risk off” scatterebbe senza esitazione.

Economia a stelle e strisce - Un’altra paura, ma in ambito economico, consiste in una recessione Usa. Da lì partirebbe un rimbalzo preoccupante per tutto il mondo. Il problema però non c’è. L’indicatore Business Cycle Index (BCI), calcolato secondo una serie di criteri fissi (fra cui andamento dell’occupazione nel settore privato, numero di case in vendita e di quelle vendute, nonché alcuni parametri finanziari) resta ai massimi e soprattutto va in parallelo con l’S&P 500. Quando quest’ultimo, con la sua media mobile a 5 sedute, fora al ribasso il BCI inizia un segnale di possibili tensioni a Wall Street, mentre un Business Cycle Index in discesa fornisce indicazioni di economia in rallentamento. Per ora non è né l’uno né l’altro caso. Il BCI si colloca ai massimi storici, avendo superato quota 226 punti. Nel 2007 era a 200 e poi cominciò a scendere progressivamente, indicando esaurimento del movimento rialzista avviatosi nel 2003. Subito dopo scoppiò la crisi dei “subprime” e il BCI crollò sotto i 120 punti. Lo seguiremo con attenzione anche in futuro, ma il fatto che sia così alto un po’ di preoccupazione deve cominciare a manifestarla. Oggi quindi è “risk on”, sebbene…

Cina e Usa a braccetto - Una notizia importante: Pechino è tornata a essere la prima detentrice mondiale di debito Usa. L’ha fatto sfruttando la debolezza del dollaro in un contesto di rialzo dei tassi di interesse, di cui evidentemente si preoccupa non più di tanto. Un economista di Daiwa Capital Markets a Hong Kong ha affermato che i cinesi considerano ormai il dollaro attrattivo, almeno nei confronti dello yuan. Dietro a Pechino, nella detenzione di Treasuries si collocano Giappone  - sebbene con un peso in calo – e Irlanda. Un segnale di intesa che porta a un “risk on”, di cui dovrà tenere conto la Yellen nella sua politica monetaria.

S&P 500 Vix - Segnale rilevante quello dell’indice della volatilità Usa: da aprile è salito quattro volte fino a quota 16, ben sotto la linea di guardia dei 20-25 punti, per poi ridiscendere brutalmente. Dall’estate 2013 è un susseguirsi di massimi discendenti in un trend a sua volta discendente. Gli analisti si chiedono se sia un’avvisaglia da interpretare positivamente. La risposta è assodata, ma questo indicatore sta perdendo di importanza per un insieme di ragioni complesse. Comunque “risk on”. C’è intanto un nuovo tipo di volatilità che i mercati stanno valutando: si chiama “White House volatility”, cioè incertezza da Casa Bianca. Quanto inciderà in futuro?

Vix Dax - Stesso movimento dell’indice della volatilità riferito al Dax, per quanto su scala diversa e storicamente più alta rispetto all’S&P 500 Vix. Venerdì è balzato di dieci punti ed era inevitabile, ma la cosa strana è la decorrelazione rispetto all’indice, che da fine giugno scende. Il VDax dovrebbe in teoria salire. La valutazione è che la debolezza della Borsa tedesca dipenda solo fa due fattori: la crisi latente dell’industria automobilistica (non in termini di dati di vendite) e la forza dell’euro. Quindi non c’è nulla di strutturale ed è un ulteriore “risk on”.

S&P 500 Earnings Yield - Il rendimento medio delle azioni è ridisceso al 4,13%, ben sotto il valore di media storica al 6,82%. Considerando che lo “yield” del Treasury decennale si attesta al 2,2%, il rapporto fra il primo e il secondo si posiziona al 53%, ancora accettabile. Se dovesse scendere sotto il 35-40% scatterebbe un segnale di possibile tensione per i mercati azionari. Questo indice è decisivo e va monitorato con attenzione. Per ora è “risk on”. Ci si sta avvicinando però verso numeri potenzialmente messaggeri di inversione per Wall Street, soprattutto se il rendimento del Treasury risalisse per un aumento dei tassi primari.

Incertezza Jackson Hole - Qui non si tratta di numeri, ma è dato per acquisito che l’attenzione dei mercati sarà concentrata su quanto emergerà dal meeting dei Banchieri centrali nella località turistica del Wyoming (Usa), che inizierà giovedì prossimo. La situazione è davvero in bilico. Sul fronte Fed è possibile (70-80% di probabilità) l’avvio a settembre del piano di riduzione del bilancio e quindi la vendita di asset, mentre l’aumento dei tassi a dicembre viene visto con minori possibilità (~50%). Sul fronte Bce le incertezze sono totali: potenziale annuncio di “tapering” in autunno, con un rinvio di variazione della politica dei tassi almeno a fine 2018. Il problema sta nel cambio €/$. Draghi deve stare attento, perché i mercati smonteranno il suo discorso a pezzettini e reagiranno di conseguenza. Su questa linea del fuoco un po’ di “risk off” si impone. Fra l’altro è possibile che proprio da Jackson Hole escano indiscrezioni su chi guiderà la Fed dal prossimo anno. Gary Cohn, un ex democratico ora maggiore consulente economico della Casa Bianca, nonché strategist della tanto annunciata riforma fiscale, viene dato per scontato al 70%, ma vista la “White House volatility”, di cui si diceva prima, niente è assodato. Anzi nelle ultime ore è circolata l’indiscrezione che starebbe per dimettersi! Se ciò avvenisse le Borse prenderebbero una vera e propria sberla.

Us Dollar Index - Da inizio agosto è lateralità, senza segnali sufficientemente chiari. Venerdì ha chiuso a 93,36. Solo il superamento di quota 94 riporterebbe forza al biglietto verde. Non resta che attendere Jackson Hole. Nel frattempo su questo fronte non è né “risk on” né “risk off”.

Franco svizzero - La debolezza delle ultime settimane è destinata a proseguire, anche perché i tassi decisamente negativi della BNS (-0,75%) rappresentano un costo troppo elevato per chi colloca denaro oltralpe. La funzione di valuta rifugio sembra essersi attenuata e questo segnale viene visto come un’indiretta conferma di forza per l’economia europea. Anche qui “risk on”.

Germania al rialzo - Un dato forse marginale nell’insieme delle valutazioni economico/finanziarie riguarda i prezzi al rialzo della produzione industriale tedesca, saliti dello 0,2% su base mensile a luglio e del 2,3% su base annua. Ciò può far sperare in un elemento di normalizzazione delle politiche monetarie in Europa. Altro fattore di “risk on”, seppur accessorio.

Fiducia Usa - L’indice delle aspettative delle famiglie statunitensi – secondo la tradizionale indagine dell’Università del Michigan – è tornato ai più alti livelli da gennaio, posizionandosi nel mese in corso a 97,6 punti contro i 93,4 di luglio. I nuclei familiari sembrano quindi ancora ottimisti. Finiamo con un ulteriore “risk on”.

IN SINTESI – “Risk on” dilaganti, come non era mai successo da quando abbiamo iniziato questa rubrica domenicale, pubblicata solitamente ogni due settimane. E’ un bell’indizio, ma occorre anche ricordare che troppa euforia porta al cosiddetto comportamento da branco, cioè a seguire un movimento senza valutare l’eterna ciclicità dei mercati. I rischi attuali? Oltre al terrorismo, che va preso seriamente in considerazione, i due maggiori riguardano ancora una volta la “solitudine di Trump” (le cui reazioni potrebbero essere scomposte) e le incertezze delle Banche centrali, magari più nel comunicare che nell’agire.

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