La riunione della Federal Reserve della scorsa settimana si è chiusa senza sorprese: i tassi sono rimasti invariati nel range 4,25%–4,50% e il presidente Powell ha ribadito con forza la strategia di attesa. Tuttavia, per la prima volta il comunicato ufficiale ha introdotto un cambiamento significativo di linguaggio, segnalando un incremento dei rischi sia sul fronte dell’inflazione sia su quello della disoccupazione.
La causa? L'incertezza generata dalla nuova politica tariffaria dell’amministrazione Trump. I dazi introdotti lo scorso 2 aprile – il cosiddetto “Liberation Day” – stanno producendo i primi effetti misurabili, anche se ancora non pienamente visibili nei dati. Powell ha riconosciuto che “gli effetti potrebbero essere di breve durata e riflettersi in un aumento una tantum dei prezzi”, ma ha anche avvertito che non si può escludere uno scenario di inflazione più persistente, accompagnato da un possibile rallentamento della crescita e da un aumento della disoccupazione.
L'orientamento della Fed è quindi quello di non agire in anticipo. Powell ha rifiutato esplicitamente l’ipotesi di un taglio dei tassi preventivo, dichiarando che “non è una situazione in cui possiamo agire preventivamente” e che “il costo di aspettare e vedere è basso”. La posizione resta chiara: finché i dati non cambiano, la politica monetaria non si muove.
Tuttavia, l’atteggiamento prudente della Fed si scontra con una realtà in rapida evoluzione, anche alla luce del coup de théatre di Trump in merito alla riduzione (per alcuni beni), per 90 giorni dei dazi verso la Cina . I mercati, dopo le parole di Powell, obbligazionari hanno reagito subito: i rendimenti dei Treasury a due anni sono rimbalzati, e la probabilità di un taglio a giugno è scesa al 20%, mentre oggi altro capovolgimento di fronte con tutti i bond sotto pressione.
In sintesi, la Fed ha scelto di non muoversi. Ma i mercati, come spesso accade, non restano fermi. La politica dei dazi di Trump, le tensioni tra domanda e offerta nel settore dei semiconduttori e la fragilità delle catene di approvvigionamento globali stanno già riscrivendo il contesto di fondo. L’incertezza resta elevata, ma le aspettative si stanno lentamente riposizionando.
Come sempre, staremo a vedere, ma ora passiamo ai numeri e all’analisi delle curve.
Analisi ZC-Yield Curve Eur
La fotografia del mercato obbligazionario mostra una curva dei rendimenti leggermente più inclinata rispetto alla scorsa settimana, con dinamiche che restano ancorate a un contesto di attesa e visibilità limitata.
Il rendimento del titolo decennale sale al 2,54%, mentre anche il trentennale registra un lieve aumento, portandosi al 2,49%. Il differenziale tra i titoli a 10 e 2 anni si amplia marginalmente, attestandosi a 0,59%. Il mercato continua a prezzare un possibile allentamento monetario nei prossimi mesi, ma senza segnali concreti in grado di anticipare una svolta di breve termine.
Nel tratto breve della curva (2025–2027), riemerge una certa volatilità. L’inclinazione resta negativa e il nervosismo degli operatori è tornato a farsi sentire, alimentato dalla totale mancanza di visibilità sulle prossime mosse delle banche centrali. In questo segmento, il mercato appare ancora privo di una direzione chiara.
Nel segmento medio-lungo (2027–2041), la configurazione rimane stabile. Nessuna variazione degna di rilievo rispetto alla scorsa settimana, con un picco dei rendimenti che si mantiene in area 2,70%. La curva conserva un’inclinazione positiva in questa fascia, riflettendo un equilibrio che non è stato scalfito dagli ultimi sviluppi macro.
Oltre il 2041, sul tratto ultra-lungo, non si registrano cambiamenti significativi. La struttura complessiva resta coerente con quanto osservato nelle scorse settimane, senza segnali di stress o di eccessiva distorsione.
Il forward Euribor a 6 mesi per la fascia tra fine 2026 e inizio 2027 sale leggermente, portandosi in area 1,83%. Il mercato continua a prezzare una fase di tassi più bassi nel medio termine, ma le incertezze sulla traiettoria inflattiva e sulle politiche tariffarie stanno contribuendo a mantenere cautela anche su questo fronte.
Analisi Integrata Trendycator
L’aggiornamento settimanale dei rendimenti governativi, integrato con il modello Trendycator, mostra un quadro ancora improntato alla stabilità, ma con segnali che evidenziano un rafforzamento nelle aree core, soprattutto in Europa.
Nel Regno Unito, il rendimento dei Gilt decennali risale leggermente al 4,50%, mantenendosi nella parte alta del range delle ultime settimane. Il Trendycator conferma il segnale LONG, coerente con un contesto in cui le aspettative di discesa dei tassi restano rinviate e le pressioni inflazionistiche, pur in calo, non sono ancora archiviate.
In Germania, il Bund decennale segna un rialzo a 2,52%, consolidando una dinamica di recupero che trova conferma anche nel segnale LONG del Trendycator. Il mercato sembra orientarsi verso un rientro ordinato dei rendimenti su livelli più coerenti con l’attuale fase macro, anche in vista di un possibile taglio della BCE nei prossimi mesi.
In Italia, il BTP decennale si attesta al 3,57%, con uno spread rispetto al Bund che si restringe a 104,80 punti base. Il Trendycator si mantiene su NEUTRAL, segnalando una fase di equilibrio apparente: i flussi restano regolari, ma il sentiment resta cauto, in attesa di indicazioni più definite sul fronte della crescita e dei conti pubblici.
Negli Stati Uniti, il rendimento del Treasury decennale si porta al 4,38%, mostrando una ripresa dai minimi di inizio mese, ma senza ancora rompere la struttura laterale in atto. Il Trendycator resta su NEUTRAL, a conferma di un quadro incerto in cui gli operatori attendono sviluppi concreti sia dalla politica monetaria sia dalla gestione delle tensioni tariffarie.
Rendimenti bond governativi benchmark mondiali
Tabella dei rendimenti, su base settimanale, delle obbligazioni governative mondiali con qualunque rating. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo.
Conclusioni operative
Il quadro operativo resta invariato. I mercati obbligazionari si muovono in un contesto di incertezza strutturale, tra segnali macro a volte contraddittori, dazi in evoluzione e banche centrali che, più che guidare, sembrano osservare. Nessun elemento nuovo è emerso tale da giustificare un cambio di rotta significativo.
In questo scenario, la strategia resta improntata alla massima prudenza. Il laddering su scadenze comprese tra i 2 e i 10 anni si conferma la scelta più razionale, permettendo di sfruttare il tratto della curva che mantiene inclinazione positiva senza esporsi eccessivamente sul lungo periodo. Per chi ha orizzonti temporali estesi, restano valide valutazioni selettive su emissioni a 15–20 anni, ma sempre all’interno di portafogli ben diversificati.
Non è il momento di forzare le scelte. In fasi così opache, la gestione del rischio viene prima di tutto.
Qui sotto, a titolo di esempio, una selezione di governativi con scadenza a 5 anni, con rendimento non inferiore al 2,50% su base annua.
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