BARAK OBAMA: IL NUOVO NIXON ?


E' ancora presto per dare un giudizio approfondito e completo sulle qualità di Barack Obama come statista e politico internazionale. Certo Obama ha dimostrato di essere un magnifico operatore in seno alla dura e competitiva scena politica statunitense. Dei grandi politici americani, Obama ? a differenza dei Kennedy, dei Bush, di Al Gore, non è l'esponente di ultradecennali potentati economici e dinastie politiche, ma un autentico self made man ?  possiede alcune delle migliori doti: il pragmatismo, la concretezza, la freddezza razionale, che coesistono con forti valori ideali, fondati sul suo amore verso la nazione americana, in particolare verso la sua parte più umile e povera.

Il quadro politico internazionale, però, in cui il nuovo presidente statunitense si trova ad operare è molto difficile. Le presidenze Clinton e Bush junior hanno sperperato un patrimonio di risorse e consensi che aveva reso possibile agli Stati Uniti di fronteggiare con successo la sfida del comunismo sovietico. Le illusioni americane circa la prossima affermazione incontrastata del modello politico ed economico statunitense sul piano mondiale sono svanite sui campi di battaglia afgani e iracheni e sui mercati finanziari internazionali. Forse con troppa fretta gli strateghi americani hanno pensato di non avere più bisogno delle organizzazioni internazionali e delle alleanze politiche che erano state create dai loro predecessori a tutela dell'ordine mondiale e degli interessi occidentali: la dottrina Bush, l'unilateralismo politico-militare, hanno inflitto un duro colpo all'ONU e alla diplomazia multilaterale e hanno accelerato la frammentazione del sistema internazionale, le cui regole sono sempre meno certe e più facilmente modificabili a libera scelta delle grandi potenze. Barack Obama deve rimediare ai danni dei suoi predecessori avendo a disposizione però un Paese la cui forza economica e politica si è indebolita e il cui prestigio culturale, il tanto discusso soft power americano, è calato.

La situazione in cui Obama si trova è per certi aspetti simile a quella di un suo discusso, ma geniale predecessore, Richard Nixon. Anche il duro e spregiudicato politico californiano divenne presidente nel pieno di una grave crisi economica e politica. La guerra in Vietnam, con i suoi alti costi umani, politici ed economici, aveva gettato la società statunitense nello sconforto e nel disordine. Gli Stati Uniti sembravano una Potenza senza una chiara direzione, minacciati dal diffondersi dell'influenza del comunismo sovietico nel mondo e non più in grado di tenere insieme il blocco occidentale.

Nixon riuscì nell'impresa di riorganizzare e ridefinire la politica estera americana, ponendo le basi per la successiva ascesa di Washington sul piano internazionale. Certo in questo fu aiutato dall'essere, a differenza di Obama, uno dei presidenti americani con la maggiore preparazione in politica internazionale: per otto anni vicepresidente di Dwight Eisenhower, Dirty Dick acquisì una formidabile competenza in politica estera, viaggiando per il mondo e seguendo con attenzione i problemi internazionali nel corso della sua carriera politica antecedente al 1968. Nixon, coadiuvato da un collaboratore intelligente e spregiudicato come Henry Kissinger, sfruttò con abilità le rivalità interne al blocco comunista mondiale, avvicinandosi alla Cina popolare e ponendo le basi per una partnership economica  e politica fra Washington e Pechino che indebolì enormemente la posizione geopolitica dell'Unione Sovietica, ormai costretta a fronteggiare nemici e rivali sui propri confini non solo in Europa ma anche in Asia. Nel 1971 la decisione di terminare la parità fissa fra oro e dollaro e la conseguente svalutazione della valuta statunitense restituirono a Washington una libertà d'azione economica e finanziaria di cui i governanti americani fecero abbondante uso nei decenni successivi. In Medio Oriente la diplomazia di Nixon seppe conquistare un'indiscussa egemonia nella regione favorendo il distacco dell'Egitto da Mosca e legando il Cairo a Washington: anche qui il politico californiano pose le basi di una direttiva politica (l'alleanza con l'Egitto) che, insieme al rapporto privilegiato con Turchia e Israele, ha garantito la predominanza  occidentale nel Vicino e Medio Oriente nei decenni successivi. Pur indebolendo Mosca sul piano internazionale, Nixon non cercò l'umiliazione e la distruzione del rivale, ma anzi accelerò la distensione fra Ovest capitalista e Est comunista: la speranza, poi non realizzatasi, era che l'accettazione della coesistenza avrebbe favorito la pace internazionale e reso meno gravosi gli impegni all'estero.     

Riuscirà Obama ad essere un nuovo Nixon? Certamente del politico californiano Obama possiede il realismo e la freddezza, la capacità pragmatica di abbandonare rapidamente politiche e direttive fallimentari e controproducenti superando rigidi schemi ideologici. Alcune sue iniziative sembrano indicare una chiara consapevolezza della nuova leadership americana circa l'esigenza di abbandonare alcuni atteggiamenti politicamente controproducenti, caratteristici della presidenza di Bush junior. L'abbandono del progetto di un sistema antimissilistico da costruirsi in Polonia e Repubblica ceca, osteggiato dalla Russia, e la rinuncia a perseguire una politica estera antirussa in Europa orientale, nel Caucaso e in Asia centrale attestano che gli USA hanno capito che la Russia di Putin costituisce un partner fondamentale per gli Stati Uniti e l'Europa occidentale, i cui interessi vanno considerati e rispettati, se possibile. Il netto abbandono di una retorica anti-musulmana, manifestato nei viaggi di Obama in Turchia e Egitto ha aperto la strada ad una politica più attenta e cauta nel Vicino Oriente. Anche l'attenuazione, evidenziatasi di recente nei rapporti cino-americani, della propaganda sui diritti umani e sulla democrazia, cavallo di battaglia classico degli uffici stampa statunitensi, ma di limitata efficacia se contemporanea ad una politica di Washington di costante sostegno a regimi autoritari o semiautoritari come l'Arabia Saudita, il Pakistan, la Georgia, aiuterà non poco a rendere meno sospettosa una Cina la cui cooperazione sui grandi temi internazionali è sempre più indispensabile.

Quello che però è cambiato rispetto ai primi anni Settanta sono i diversi potenziali economico-politici delle grandi Potenze. Gli Stati Uniti di Nixon, pur indeboliti, si confrontavano con un'Unione Sovietica che era un gigante dai piedi di argilla, con un enorme potenziale militare ma un inefficiente sistema economico. Cina e India erano Stati poverissimi ed estremamente arretrati sul piano delle conoscenze tecnologiche, con sistemi di produzione antiquati e non produttivi. L'arretratezza dei rivali facilitò la rinascita della potenza americana negli anni Ottanta. Oggi nel 2009, la situazione si presenta alquanto diversa. Russia, Cina e India sono incamminate decise sulla strada dello sviluppo economico capitalista, guidate da leadership consapevoli, scaltre e ambiziose. Gli Stati Uniti rimarranno indiscutibili protagonisti delle vicende mondiali nei prossimi decenni, ma forse l'epoca della loro indiscussa predominanza è terminata: difficilmente il XXI secolo sarà un secolo americano.      

 

 

LUCIANO MONZALI

Professore Associato di Storia delle Relazioni Internazionali

Università di Bari

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