Brexit, un’altra tempesta perfetta


Ormai ci siamo, il 23 giugno si avvicina, e la tensione per il voto in UK sulla c.d. “Brexit” sale, come nei migliori romanzi thriller. I mercati, lo sappiamo, non si fanno pregare (nel bene e nel male…) per “portarsi avanti con il lavoro” e sfruttano questo appuntamento nevralgico per mischiare un po’ le carte.

Non ci dilunghiamo sulla pletora di sondaggi, di cui potete leggere ampiamente sul web, e ci limitiamo ad osservare cosa sta succedendo sui listini e a dare la nostra personale interpretazione.

Innanzitutto, che la Brexit faccia davvero paura o no, i mercati hanno preso la via del ribasso, confermando il movimento partito venerdì scorso. Le risultanze son presto dette: vendite sull’azionario, sterlina in ribasso e corsa verso i beni rifugio quali yen, oro, argento e titoli di Stato dei Paesi forti. La solita “ricetta” ormai mesa in scena ad ogni occasione di incertezza o di crisi vera o presunta. Unica differenza, rispetto al passato, si punta poco sul franco svizzero, dopo lo “scherzetto” della SNB…

Il nostro portafoglio non contiene più da tempo componenti azionarie, per lo meno quel tipo di rischio è sotto controllo; abbiamo una quota di oro, non abbiamo obbligazioni in valuta (tantomeno in GBP) e i bond presenti non sufficientemente distribuiti come emittenti, scadenze strutture. Tutto a posto quindi?

Come si diceva una volta, “tutto a posto e niente in ordine”, nel senso che se i mercati (tutti) dovessero prendere davvero a male un successo dei sì al referendum, ci aspettiamo sedute di “panico” generalizzato un po’ su tutti gli asset, ma smaltita la punta della crisi, ci aspettiamo un ritorno alla normalità.

Tutto questo, ovviamente, fermo restando l’impatto più politico che economico di una Brexit, poiché se analizziamo freddamente numeri e circostanze, ci rendiamo conto che se da un lato il mero impatto economico/finanziario è tutto fuorché irrilevante, dall’altro l’impatto politico potrebbe essere devastante, in grado di polverizzare il “sogno” europeista.

Sul fronte puramente finanziario, sappiamo bene che l’uscita della seconda economia dell’Unione Europea – sì, la seconda, poiché ormai l’UK ha superato la Francia – avrà ripercussioni pesantissime sugli equilibri finanziari dell’Ue. Tuttavia, guarda caso, la piazza finanziaria che è scesa meno delle altre è proprio quella di Londra.

Siamo d’accordo sul fatto che nella City pochi auspicano una vittoria dei sì: i mercati (e chi li governa…) vogliono stabilità e aborriscono l’incertezza, ma pochi ormai considerano quella europea una situazione stabile. L’opinione dominante (e non solo da parte della maggioranza dei britannici) è, infatti, che nei prossimi anni l’Unione Europea si spaccherà e imploderà, poiché ormai considerata un’istituzione anacronistica. Non di meno, per l’UK, non è poi così scontato che la Brexit si riveli una catastrofe; potrebbe infatti dare il via ad un meccanismo di profonda revisione dell’attuale Ue, in grado di salvare l’Europa dall’implosione cui pare destinata.

Cosa uscirà dalle urne, ovviamente, lo scopriremo solo dopo, e non ci azzardiamo certamente a fare nessuna previsione (che si traduce anche nel non adottare preventivamente “soluzioni” per il portafoglio poiché ciò vorrebbe dire fare una scommessa…); ci limitiamo solo a considerare come il popolo britannico abbia (e lo ha ampiamente dimostrato nel corso della storia) uno spiccato spirito indipendentista e nazionalista e pertanto, valutati i pro e i contro delle due soluzioni, sceglierà (al netto di accurate manipolazioni…) ciò che reputerà essere il meglio per il futuro del proprio paese.

Pertanto, aspettiamoci pure giornate difficili e volatilità alle stelle, e stiamo pure pronti ad intervenire, se davvero necessario, ma non illudiamoci che ci possa essere una “ricetta” (per altro da mettere in campo ora) per scongiurare il cigno nero.

Se Brexit sarà, e se l’Europa davvero dovesse scricchiolare pesantemente, iniziando ad accartocciarsi su sé stessa, la crisi sarebbe a livello globale e severa. E di conseguenza, sarebbero davvero ben pochi (a patto che ne esistano davvero in uno scenario di questo tipo) gli asset che potrebbero passare indenni a tale catastrofe.

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