Macron si aggiudica l'Eliseo


EurUsd (PC: 1,0926)

L'attesa vittoria del candidato pro-establishment, Emmanuel Macron, nel ballottaggio di domenica 7 maggio per l'Eliseo, consente all'euro di abbozzare uno sbuffo oltre 1,1000 portando il cambio a toccare un massimo a 1,1043.
Come ci attendevamo, tuttavia, tale evento, peraltro ampiamente scontato dai mercati, non ha avuto la forza di innescare risalite più consistenti della moneta unica.


Anzi. Dopo l'avvio d'ottava in positivo il cambio ha subito girato al ribasso, con una ridiscesa a testare puntualmente il supporto indicato 1,0840, secondo il classico buy on rumours, sell on facts. L'euro recupera poi sul finire di settimana, sostenuto dalle dichiarazioni di Charles Evans, Presidente della Fed di Chicago, che continua a sottolineare i "rischi" di un'inflazione inferiore rispetto all'obiettivo dichiarato dalla Fed del 2% annuo. Tale dichiarazione va ovviamente nella direzione di una prosecuzione della politica monetaria accomodante negli Usa, e ciò ovviamente contribuisce a tenere il dollaro sotto pressione.


Un nuovo segnale distensivo per l'euro si avrebbe su discese al di sotto di 1,0840 ma solo la violazione di 1,0800 sancirebbe il probabile esaurimento del rally in essere dal 24 aprile. Nuovi acquisti al superamento di 1,1000, con conferma al di sopra di 1,1045, ma la salita non dovrebbe comunque spingersi al di sopra di 1,1140. 


Nonostante l'indebolimento degli ultimi mesi, strategicamente il dollaro USA rimane forte, favorito dalla divergenza tra le politiche monetarie della Fed e della Bce.


Quasi sicuramente la Fed non potrà spingersi oltre ulteriori 2 rialzi nel corso del 2017, ed è anzi possibile che si limiti ad un rialzo solo (dopo il rialzo dello scorso 15 marzo e del 14 dicembre, entrambi dello 0,25%; il rialzo precedente, anch'esso di 25 b.p., era avvenuto il 16 dicembre 2015, il primo dopo 7 anni di tassi fermi allo 0,25% nel periodo dicembre 2008 - dicembre 2015). Se pensiamo poi che negli ultimi 10 anni il rialzo complessivo è stato finora dello 0,75%, partendo da tassi prossimi allo zero (la cosiddetta ZIRP, zero interest rate policy) e che il Bilancio Fed rimane stabile dall'ottobre 2014 sui picchi a ridosso di 4500 miliardi di dollari, si comprende bene come il contesto della politica monetaria Usa rimanga ancora decisamente espansivo, nonostante i recenti rialzi.

I timidi rialzi che la Fed sta portando avanti servono solo a ridurre in parte una situazione che rimane strutturalmente squilibrata, come del resto capita anche negli altri Paesi sviluppati, a partire dai tassi negativi del Giappone ai tassi schiacciati verso lo zero nell'area euro. E la modalità con cui le Banche Centrali, in tutto il mondo, hanno deciso di gestire l'enorme mole dei debiti pubblici fuori controllo in un contesto economico stagnante: tassi bassi ed inflazione, negli auspici, in risalita verso il 2%, in modo che rendimenti reali negativi abbattano il valore reale dei debiti.

In tale contesto generalizzato di tassi bassi, la Bce risulta comunque tendenzialmente più espansiva della Fed e questo aspetto gioca a favore del biglietto verde contro euro.
Da aprile, tuttavia, le iniezioni di liquidità della Bce sono scese da 80 a 60 miliardi di euro al mese, e sono destinate a terminare, se il programma non sarà ulteriormente prolungato, a fine 2017: in prospettiva ciò potrebbe portare ad una stabilizzazione dell'euro su orizzonti strategici

OPERATIVAMENTE: è opportuno mantenere posizioni lunghe strategiche sul dollaro USA, incrementate sul recente sbuffo verso 1,1000-1,1140

(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)