Eppur si muove…


Nell’ultimo articolo dedicato all’analisi delle curve, con lo scopo di capire le tendenze e gli sviluppi del mercato obbligazionario, avevo evidenziato come il differenziale tra la curva in EUR e quella in USD si stesse ampliando, confermando quindi un’attesa da parte del mercato di un rialzo dei tassi in USA a dicembre.

La stessa dinamica pare oltremodo confermata dall’andamento del benchmark decennale USA (grafico dei rendimenti) che come si vede sotto, in maniera quasi silente ma costante si è portato dal minimo in area 1,32% di rendimento all’attuale 1,72%; l’indicatore di momentum sembra aver smaltito l’ipervenduto di breve, e si sta ricaricando; infine, siamo orami a contatto con la media a 200 giorni, che sotto il profilo squisitamente accademico separa il rialzo dal ribasso.

Altri elementi a favore di questa impostazione sono, da un lato, il fatto che il progressivo indebolimento dei governativi USA si evince anche dalla performance degli ultimi 3 mesi, risultando il peggior governativo (insieme al Giappone), su scala globale con un -6% circa; dall’altro lato, il ritrovato vigore della valuta USA, che in capo a pochi giorni ha visto il cambio EUR/USD (cambio spot) passare da area 1,1275 a 1,1089.

E infine, a livello di news, secondo gli analisti di Pimco – che va ricordato, è un colosso USA che da sempre influenza il mercato obbligazionario – la crescita economica USA continua e la FED dovrà alzare i tassi d’interesse più volte a causa dell’aumento del tasso di inflazione che andrà ad adeguarsi ad una crescita via via più solida.

Mettendo tutto insieme, pare proprio che almeno in USA il trend sui bond sia ormai invertito, e se la prudenza ha ancora un valore, anche sull’area EUR è bene mantenersi su duration di portafoglio contenute, come già spesso e volentieri considerato su queste colonne, poiché il mercato sta confermando i ragionamenti che già diverse settimane fa abbiamo fatto in ottica strategica.

Altro argomento non nuovo, è la fame di rendimenti che ci spinge a cercare bond denominati in altre valute, magari ad alto rendimento come Zloty, Rand Sudafricano etc. Ebbene, il quadro in realtà è meno allettante di quanto potrebbe apparire, poiché siamo di fronte a valute che esprimono una volatilità elevatissima che rischia in primis di vanificare l’extrarendimento atteso, se non addirittura portare a rendimenti negativi in caso di cambio particolarmente avverso.

Il problema, ovviamente, non si porrebbe se fosse agevole coprirsi dal rischio cambio con strumenti efficienti e a basso costo, ma salvo che per le valute principali oggi non vi sono strumenti facilmente utilizzabili dal retail; problema di gran lunga meno sentito dagli istituzionali. Ad ogni buon conto, le valute su cui può avere senso puntare – stando all’impostazione tecnica attuale – e sempre protetti comunque da uno stop in caso la valuta ci scappasse contro, sono a mio modesto parere il Rublo e il Rand Sudafricano. Un occhio lo si può anche dare alla Rupia Indiana, ma col piedino leggero leggero. Da evitare assolutamente la Lira Turca, il Peso Messicano entrambi con un grafico che dice tutto meno che “comprami”.

I livelli di stop da piazzare, in caso di acquisto di qualche obbligazione in queste valute, sono:

EUR/RUB sopra 73 primo campanello d’allarme; sopra 75 meglio uscire
EUR/ZAR sotto 15,50 siamo tranquilli; il recupero di area 16 non promette bene; sopra 16,50 meglio uscire
EUR/INR sarebbe da aspettare la rottura di area 73 per entrare; tra 75 e 76 prime avvisaglie, sopra area 77 (confermato su close settianale) meglio uscire.