Strategia obbligazionaria


L’interrogativo che aleggia ormai con una certa insistenza è sempre lo stesso: è finita la festa sull’obbligazionario? E’ giunto il tempo di uscire da questo asset o c’è ancora margine?
E a questo punto una risposta deve anche essere data, poiché se a volte è meglio decidere di non decidere, a mio modesto parere è giunto il momento di “portarsi avanti con il lavoro”, e definire delle nuove linee guida per la gestione dei portafogli obbligazionari.

In questi giorni mi sono quindi dedicato a due attività complementari: da un lato ho letto alcuni report di spessore per confrontare il mio personale punto di vista con quello di altri professionisti e dall’altro ho cercato eventuali rispondenze di queste ipotesi sui modelli di analisi che utilizzo. Con piacere ho potuto constatare che ciò che avevo in testa ha trovato conferma sia nei report più accreditati sia nei modelli di valutazione.

Intanto stasera avremo l’esito dell’attesa riunione della FED e, in prospettiva, di quelle che potrebbero essere le mosse nel prossimo futuro in tema di Fed Funds.

Come ho già avuto modo di dire nei recenti articoli, è ancora prematuro suonare il de profundis per il mercato obbligazionari nel suo complesso, ma si rende ormai imprescindibile aumentare la selettività sugli asset in bond, individuando le aree all’interno del mercato che possano offrire ancora un minimo di convenienza.

La mia personale opinione, a questo punto, è che i bond governativi (tutti, sia quelli in EUR sia quelli in USD) siano di fatto in un laterale che odora di distribuzione; a maggior ragione quelli con scadenze a lungo termine, che tra l’altro da tempo sono ormai in territorio di rendimento negativo. Diversamente, il comparto dei corporate e degli high yield presenta una conformazione che dà l’idea di un consolidamento in un trend ancora favorevole, così come sugli emerging bond.

Ultimo tassello, i possibili effetti delle politiche monetarie attese, considerando che per gli USA si tratta di capire quando si alzeranno i tassi, mentre la BCE è ancora in attesa di capire se estendere il QE al 2018. Per cui, se da un lato l’area USD presenta un maggior rischio tasso, dall’altro lato questo rischio potrebbe essere compensato dal rafforzamento del dollaro in un ciclo di tassi al rialzo.

A me pare quindi evidente che il mercato del reddito fisso sia entrato in una nuova fase, dove le regole del gioco hanno iniziato a modificarsi, seppur in modo sottile. Ne consegue logicamente che sia le strategie operative sia il posizionamento strategico per portafogli di medio respiro devono cambiare e adattarsi a questa nuova situazione.

Posto quindi che i titoli governativi paiono di fatto arrivati, non risulta prudente investire in questo asset, salvo esclusivamente per duration basse con il solo scopo di bilanciare il Credit Risk globale del portafoglio. Risulta di conseguenza preferibile rivolgere le attenzioni al comparto corporate, high yield e emergenti.

Tutto ciò con la priorità di tenere la duration corta – per cui poco esposta al rischio tasso –attingendo con cognizione di causa anche al bacino degli emittenti (corporate e high yield) con Credit Risk anche un gradino sotto l’investment grade (ma con CDS a livelli accettabili…), preferibilmente su momenti di debolezza/correzione. Per gli emerging reputo preferibile invece rivolgere l’attenzione ad emittenti di pedegree almeno discreto.

A livello di area valutaria è ragionevole suppore (ma tanto lo sappiamo, i mercati poi fanno cosa vogliono…), che in virtù di una prossima stretta monetaria in USA (che segna la fine dell’epoca dei QE), sia il dollaro USA ad avere potenziale migliore. Quindi non è peregrina l’idea di valutare anche l’inserimento di bond in USD senza copertura dal rischio cambio, tenendo sempre in debito conto che i mercati fanno cosa vogliono e il rischio cambio può giocare tanto a favore (regalando un extra-rendimento) quanto a sfavore (annullando o peggio erodendo i rendimenti), a prescindere dalle premesse inziali.

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