Mercato obbligazionario: USA in default?


Come un tormentone, torna su alcuna stampa specializzata la notizia di un rischio default per gli USA. Quanto sia concreto o verosimile questa evenienza è naturalmente impossibile da sapere, e vale la pena cercare di capire cosa c’è dietro a questo rinnovato allarme.

Da quanto si legge, democratici e repubblicani continuano a non trovare un accordo sull’innalzamento del cosiddetto “debt ceiling”, rischiando seriamente di mandare l’America in default. A ben guardare, anche la stampa internazionale (con nomi come CNN, CNBC, Reuters, solo per citare alcune testate) sta dando eco a questa inquietante prospettiva, con titoli di questo tenore: “Why October 19 could be a catastrophic day for the US economy”, “Congress must raise debt limit by Oct. 18”, “Debt ceiling vs government shutdown 2021”, “Debt ceiling deadline”.

L’ipotesi default, quindi, parrebbe non proprio campata per aria. Ma per capire veramente di cosa stiamo parlando, dobbiamo ricordare che la situazione dell’America è unica al mondo. Infatti, la Costituzione prevede espressamente che le spese del governo siano autorizzate dal Congresso e, al momento, il Tesoro di Washington è autorizzato a contrarre debiti fino a 28.400 miliardi di dollari. In assenza di un innalzamento di tale tetto, stando ai calcoli dello stesso Tesoro, entro il 18 del mese gli USA non sarebbero più in grado di pagare le obbligazioni assunte, come il pagamento degli stipendi e la fornitura di servizi federali essenziali, tra cui la sicurezza.

Quindi, già da questa premessa, si capisce che il problema è più di carattere tecnico e politico che non finanziario. E se consideriamo l’aspetto politico, scopriamo che al Senato servono 60 voti per innalzare tale tetto, ma i democratici posseggono una maggioranza assoluta appena sufficiente. Dunque, in assenza di accordo con i repubblicani, il tetto al debito non potrà essere innalzato e il default scatterebbe dal momento in cui il Tesoro non pagasse gli interessi sui debiti già contratti. Continuerebbe, invece, a emettere debito solo per ripagare quello in scadenza, senza la possibilità di farne di nuovo.

La storia ci ricorda che l’innalzamento del tetto (politicamente) è avvenuto ben settantotto volte dal 1960 ad oggi. E non di mendo, una situazione così tesa fra le due anime del Congresso la si è sperimentata più volte nell’ultimo decennio. L’episodio più grave, infatti, risale all’estate del 2011, quando il Congresso trovò un accordo bipartisan a soli due giorni dalla scadenza del 2 agosto. La vicenda naturalmente ebbe contraccolpi severi, dato che l’agenzia di rating S&P tolse la tripla A sui titoli del debito americano. Non era mai successo prima.

I precedenti quindi non mancano, ma la domanda a cui rispondere è: l’America può andare davvero in default? E se fosse vero, cosa accadrebbe?

L’ipotesi di un default USA, per quanto non impossibile in linea di principio, pare però davvero poco concreta in via pratica. Infatti, sotto il profilo tecnico esistono diverse modalità per evitare la mancata ottemperanza alle obbligazioni contratte. Innanzitutto, il presidente potrebbe ricorrere ai poteri esecutivi per difendere la credibilità del dollaro, nel cui nome i debiti sono stati contratti e in seconda battuta persino il Congresso eviterebbe il default attraverso il cosiddetto “budget reconciliation”, abbassando a 50 il numero dei voti necessari al Senato per approvare l’innalzamento del tetto al debito.

Quindi, a ben guardare, tutto questo polverone è di natura squisitamente politica, perché se i democratici non hanno ancora attivato il “budget riconciliation”, è semplicemente per evitare di essere considerati gli unici responsabili dell’aumento del debito. Molto meglio fare pari e patta con i repubblicani, naturalmente.

Poi è chiaro che il default dell’America farebbe tremare il mondo, e anzi il solo pensiero fa tremare i polsi molto seriamente. E questo perché da un problema di carattere meramente politico si passerebbe ad un serio e reale problema di natura economica e finanziaria. In che modo?

Molto semplice. I mercati finanziari vedrebbero esplodere la volatilità negativa, anche se non si tratterebbe realmente di un Paese fallito, ma “solo” resosi tecnicamente incapace di onorare i suoi debiti. Il problema è che questo non sarebbe meno grave di un default vero e proprio, perché bloccare i pagamenti manderebbe l’economia americana in recessione. E il crollo inevitabile dei mercati farebbe il resto.

Ora, anche se è evidente che tutto questo polverone mediatico è in buona parte di uno “show” degli uni contro gli altri, va comunque detto che la questione del tetto al debito andrebbe presa più seriamente di come la si racconta.

Il problema, e lo ripetiamo da tempo, è che la corsa del debito sia diventata insostenibile. E come ben sappiamo non è solo un affare che riguarda gli USA, anzi. Ma rimanendo focalizzati sul debito a stelle e strisce, negli ultimi 15 anni, lo stock è esploso di 3,5 volte, considerando che era ad 8.500 miliardi a fine 2006. In rapporto al PIL, il debito è raddoppiato da meno del 65% al 127% del 2020, nonostante dal 2008 la FED tenga i tassi d’interesse bassissimi consentendo al Tesoro di indebitarsi a costi reali di fatto negativi.

Quindi, l’aspetto nodale è sempre lo stesso: l’America fa troppi debiti e a seguito della pandemia ne ha accumulati per altri 5.500 miliardi. Nel decennio 2010-2019, il deficit è stato mediamente sopra il 6%, cioè un eccesso di spesa pubblica, che svela (purtroppo…) una grande fragilità del motore economico mondiale.

Molto probabilmente, come le settantotto volte precedenti, in dirittura di arrivo la politica troverà l’accordo e fino al prossimo giro ci dimenticheremo del fatto che anche gli USA potrebbero fallire. Resta pero, a livello globale, il problema mai risolto dei debiti sovrani in continua crescita e con economie reali in serio affanno per produrre ricchezza (vera e non solo finanziaria…) tale da permettere il pagamento del debito contratto.

Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza…

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra un deciso rialzo dei rendimenti sia sul tratto a medio sia sul tratto a lunga rispetto alla scorsa analisi. Il rendimento della scadenza a 10 anni recupera di gran carriera l’area positiva, attestandosi allo 0,17% rispetto al precedente -0,04% mentre la scadenza trentennale torna sopra lo 0,50% rispetto al precedente 0,30%. Anche la curva modifica lievemente la sua struttura, con la parte a breve e medio che appare ora più ripida, mentre rimane appiattita quasi completamente sulle scadenze lunghe. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sempre sulle scadenze 2046-2047, in aumento rispetto alla scorsa rilevazione, passando all’attuale area 0,54% dal precedente 0,33% di rendimento. Salgono anche i tassi forward su Euribor 6 mesi, con il tratto a medio che si inclina positivamente in modo netto e deciso, come non si vedeva da tempo immemore. Ora la curva fornisce previsione di tassi positivi dal 2025 rispetto al 2027 della precedente rilevazione, e con il tratto a lunga che si riporta in area 1,00%.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, il quadro mostra nuove e significative variazioni a livello di impostazione strategica secondo il modello Trendycator, rispetto alla precedente analisi. Dopo una fase di contrazione dei rendimenti, la situazione si è rapidamente rovesciata e tutti i rendimenti sono schizzati verso l’alto in direzione dei massimi precedenti. Un cambio di stato ha già interessato l’area UK che ha superato con forza i massimi in area 0,90% di rendimento, per attestarsi ora in prossimità dello 0,95% e con Trendycator ora LONG dopo una fase NEUTRAL durante l’estate. Stessa dinamica per il BUND, che dai minimi di periodo toccati in estate in area -0,50% ha visto il suo rendimento schizzare al rialzo per portarsi ora a ridosso di area -0,20%, con modello Trendycator ancora in stato NEUTRAL. Crescono anche i rendimenti del nostro Btp, anche se in misura meno marcata rispetto agli altri mercati analizzati; siamo infatti ancora lontani dalla fiammata di maggio in area 1% e siamo ora assestati poco sotto area 0,70% di rendimento con Trendycator che si conferma NEUTRAL. Anche l’area USA vede la stessa dinamica, con i rendimenti che dai minimi in area 1,20% si sono riportati in prossimità di area 1,50% con Trendycator confermato a NEUTRAL.

Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Nuova sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Analisi in evidenza
Proseguiamo la nostra analisi del cambio EUR/USD, sul quale la previsione fatta in tempi non sospetti sul rafforzamento della valuta USA, con la lettura delle evidenze del modello Trendycator e del Trendycator Oscillator, sono state colte in pieno.

Infatti, alla fine, il modello ha confermato lo stato SHORT già segnalato a inizio luglio, quando il cambio EUR/USD viaggiava in area 1,18-1,19. La rottura del supporto, che avevamo individuato in area 1,17 il trend ha ripreso forza lato dollaro, con il cambio attualmente posizionato intorno a 1,16 ma con l’intenzione di andare a toccare 1,15. Il test del supportone a 1,15 pare al momento abbastanza scontato, e molto probabilmente il livello si dimostrerà un osso duro da bucare, visto che rappresenta un livello di enorme importanza, avendo contenuto la forza dell’euro dal 2015 sino al 2017 e poi nuovamente dal 2019 a 2020 inoltrato.

L’impostazione è assolutamente favorevole ad un proseguimento del rafforzamento del dollaro contro euro, ma su 1,15 potremo assistere ad una reazione (anche violenta) di rimbalzo sino a 1,19 con possibilità di temporanei sforamenti sino a 1,20. Ma sino a che il modello Trendycator non darà indicazioni di cambio di stato, l’eventuale movimento di rimbalzo andrà inquadrato come reazione tecnica che non va ad inficiare il trend principale.