Mercato obbligazionario: l’inflazione non molla


Forse stavolta le Banche Centrali hanno preso la cantonata. I primi rigurgiti dell’inflazione, mesi fa, erano stati catalogati come temporanei e non preoccupanti, una mera conseguenza dell’effetto “molla” del ciclo economico in ripresa con la fine dei lockdown duri che avevano fermato il mondo.

Ma a ben guardare, l’inflazione non molla e dagli ultimi dati corre anche in Italia. Infatti, il nostro tasso d'inflazione è salito al 4%, ai massimi dal 2008. E il rischio, concreto, è che la corsa dei prezzi non sembra volersi placare, anzi rischia di accelerare ancora.

A livello globale i numeri non lasciano dubbi: nell’Eurozona l’inflazione è salita al 4,9% nel mese di novembre, mai così alta nella sua storia e in forte rialzo dal 4,1% di ottobre, oltre che sopra le attese al 4,5%. In Italia, come detto, la situazione è di poco migliore, ma l’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT riporta una crescita del 3,8% dal 3% di ottobre, in rialzo mensile dello 0,7%. Mentre, utilizzando l’indice armonizzato europeo, l’inflazione italiana risulta (come visto sopra) salita al 4% dal 3,2% di ottobre, mettendo a segno una crescita mensile dello 0,8%. Non siamo al 6% della Germania, ma si tratta in ogni caso del livello più elevato da oltre tredici anni e del doppio rispetto al target “storico” fissato dalla BCE.

A trascinare i prezzi al rialzo è stato ancora una volta il comparto energetico, salito prepotentemente del +30,7%. Il petrolio, ora da alcune sedute in correzione, ha toccato i massimi da tre anni alla fine di ottobre, quando ha superato abbondantemente gli 85 dollari al barile.

La correzione del petrolio, mentre scriviamo queste righe, è superiore al 13% a causa dei forti timori per la variante Omicron, che ha scatenato correzioni anche sul comparto azionario. Però, il vertice OPEC dei prossimi giorni rischia di infiammare nuovamente le quotazioni. Infatti, sia alla Russia sia all’Arabia Saudita ha dato molto fastidio la decisione dell’amministrazione Biden di utilizzare 50 Mln di barili delle riserve strategiche, e quindi potrebbero decidere, per “vendetta”, di rallentare il processo di normalizzazione dell’offerta da parte del gruppo dei paesi esportatori.

Posto che è ragionevole, entro certi limiti, il timore degli effetti di questa nuova variante del Covid va detto che il worts case scenario, ovvero il ritorno ad un lockdown totale come nel 2020 e nello scorso autunno, è sempre possibile ma non molto probabile. Se da un lato nuove chiusure assesterebbero un bel colpo al ciclo economico, dall’altro questo raffredderebbe certamente l’inflazione. Però, pensare che l’Europa possa ripiombare in lockdown è onestamente difficile.

E questo per due semplici ragioni, una prettamente economica e una squisitamente politica: economicamente non ce lo si può permettere; politicamente vorrebbe dire ammettere che i vaccini non sono efficaci e quindi si fomenterebbe quella parte di opinione pubblica che ritiene inutile vaccinarsi.

A meno che…
Volendo fare gli avvocati del diavolo, se le Banche Centrali non volessero alzare i tassi per raffreddare ciclo economico e soprattutto l’inflazione, quale sarebbe l’altra strada? Semplice: chiudere tutto per alcune settimane per motivi sanitari.

Siamo su un crinale molto pericoloso. L’impressione è che il gioco dei tassi a zero condotto per anni sia sfuggito di mano, probabilmente più per l’imprevedibile variabile virus che ha colpito il mondo in modo violento e inaspettato che non per incapacità delle Banche Centrali. Che sia come sia, in qualche modo da questo impasse bisognerà uscire in qualche modo.

Però va fatto un distinguo tra BCE e FED. Infatti, proprio in questi giorni si è assistito ad una “spaccatura” nell’approccio al problema da parte dei due Istituti. Da un lato la BCE che continua a rassicurare sul fatto che l’inflazione sarà un fenomeno “transitorio”, provocato dalla pandemia. E la cosa davvero inusuale è la posizione del consigliere esecutivo tedesco Isabel Schnabel, che getta acqua sul fuoco affermando che “qualora l’inflazione di fondo salisse sopra il 2%, l’istituto interverrebbe senza dubbio”.

Dall’altro lato la FED, che per bocca di Powell ha cambiato repentinamente opinione e ha spiazzato tutti nel suo intervento al Congresso USA nella giornata di fine novembre. Il governatore della Federal Reserve, infatti, ha dichiarato che “l’inflazione americana non può considerarsi più solo transitoria”, avvertendo che i tassi d’interesse saranno alzati verosimilmente prima del previsto.

Chiaramente la reazione sui rendimenti dei governativi USA non si è fatta attendere, e ora la curva dei rendimenti americani si sta appiattendo. Questo perché nell’immediato la stretta monetaria più veloce delle attese implica che la FED contrasterà più efficacemente l’inflazione negli USA. In Europa, invece, come vedremo tra poco nell’analisi della ZC-Yield Curve, la conformazione della curva è ancora improntata ad una certa inclinazione positiva.

Tornando agli USA, il mercato ora si aspetta che il primo rialzo dei tassi USA avverrà già a maggio 2022 per lo 0,25%, anziché a giugno, come si prevedeva prima del discorso di Powell. E, cosa più importante, sconta tre rialzi dei tassi da 0,25% ciascuno entro la fine del 2022, contro i due precedentemente attesi.

D’altra parte, con un dato sull’inflazione USA al 6,2% di ottobre, il più alto dal novembre del 1990, è evidente che continuare a ripetere che si tratti di un fenomeno transitorio avrebbe minato decisamente la credibilità della prima Banca Centrale del mondo. Non meno rilevate anche il fatto che Powell sia stato riconfermato alla guida della FED da parte del presidente Joe Biden, rendendolo quindi più deciso nel dettare l’agenda monetaria senza preoccuparsi troppo delle ripercussioni politiche.

Per ora la BCE tace, e come sempre staremo a vedere, ma la prudenza in questo fine 2021 è d’obbligo. I mercati sono in tensione evidente e basta un nulla per rovesciarli.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra questo mese una contrazione dei rendimenti sul tratto a breve e medio, mentre indica una certa stabilità dei rendimenti sul tratto a lunga. Infatti, rispetto alla scorsa analisi il rendimento della scadenza a 10 anni si contrae vistosamente tornando in area 0,18% rispetto allo 0,30% rispetto di un mese fa, mentre la scadenza trentennale è di fatto stabile portandosi allo 0,33% rispetto allo 0,35% del mese scorso. Inizia a modificarsi un po’ anche la curva, con la parte a breve e medio ora un po’ meno ripida, per poi diventare piatta già dalle scadenze 2037 e assumere inclinazione negativa sulle scadenze lunghe. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sempre sulle scadenze 2038-2045, in contrazione rispetto alla scorsa analisi, passando all’attuale area 0,38% dalla precedente 0,45% di rendimento. Poco variati i tassi forward su Euribor 6 mesi sia sul tratto a breve sia su quello a lunga, con una sola importante variazione in merito alle attese sulla previsione di tassi in aumento. Infatti, ora la curva fornisce previsione di tassi positivi nel 2024 rispetto alla fine del 2023 del mese scorso, un po’ in altalena in questi mesi che hanno visto le attese oscillare dal 2027 al 2025 sino appunto al 2023 dello scorso mese. Relativamente stabile il tratto a lunga con un picco poco sotto area 0,80% per il tratto 2031-2035 per poi scivolare in area 0,50% per scadenze al 2038.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, il quadro mostra qualche assestamento senza cambiare l’impostazione a livello strategico secondo il modello Trendycator, rispetto al mese scorso. Dopo la fase di corposo rialzo dei rendimenti osservato nella scorsa analisi, i rendimenti hanno ritracciato un po’ ma, alla luce delle mosse attesa da parte della FED è probabile che torneranno a salire. L’area UK, dopo aver visto i rendimenti del GILT volare all’1,20% è ora ridimensionata in area 0,90% di rendimento, con Trendycator sempre confermato su LONG. Anche il BUND vede una certa contrazione dei rendimenti, passando da area -0,10% del mese scorso all’attuale -0,32%, con modello Trendycator sempre in stato NEUTRAL. Un po’ più stabili i rendimenti del nostro Btp che continua a gravitare intorno ad area 1% di rendimento, con Trendycator che conferma il cambio di stato su LONG. Infine, l’area USA risulta per ora poco mossa con i rendimenti del Treasury decennale che si muove tra 1,60% e 1,50% di rendimento e con Trendycator ancora fermo su NEUTRAL.

Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Analisi in evidenza
Proseguiamo la nostra analisi del cambio EUR/USD, sempre molto utile per destreggiarsi su potenziali investimenti in valuta per diversificare il portafoglio obbligazionario. E come avevamo ipotizzato nella scora analisi, il dollaro ha preso il via e dopo aver rotto l’importante livello di supporto in area 1,15 il cambio è sprofondato sin sotto area 1,12 per poi rimbalzare timidamente.

Scrivevamo infatti il mese scorso: “Il movimento ha preso forza dopo la rottura del supporto in area 1,17 e come era lecito attendersi siamo ora a contatto con l’importantissimo livello di 1,15. Al momento è comunque evidente che l’impostazione resta decisamente favorevole ad un proseguimento del rafforzamento del dollaro contro euro, al netto di reazioni anche violente di rimbalzo da 1,15 sino a 1,19 anche se per ora questo non è accaduto”.

Ora, anche in base ai dati macro e in base alle nuove aspettative di politica monetaria della FED, come visto sopra, il mercato si aspetta ulteriore forza del dollaro contro euro, per cui è possibile che dopo una fase di consolidamento tra 1,12 e 1,15 il cambio EUR/USD acceleri nuovamente al ribasso, andando a testare i minimi in area 1,06 di marzo 2020.

Ancora una volta il modello Trendycator ha fornito ottime indicazioni (infatti è short da inizio luglio quando il cambio EUR/USD viaggiava in area 1,19), cogliendo una rivalutazione della valuta USA contro euro di quasi il +6%.