Mercato obbligazionario: rally della lira turca


Stavolta non parliamo di inflazione, anche se ormai è sotto gli occhi di tutti che la “temporaneità” è diventata “sistematicità”, come per altro già dichiarato dalla FED per bocca di Powell. Molto probabile, quindi, che anche la BCE dovrà rivedere il suo “mood” e correre ai ripari, e quindi il 2022 ormai prossimo sarà ancora guidato dalle dinamiche inflazionistiche e dalle manovre delle Banche Centrali.

Oggi, dopo moltissimo tempo, torniamo ad occuparci della lira turca, visto il bruciante rally messo a segno lunedì scorso, in una seduta a dir poco da cardiopalma.

Molto probabile, infatti, che la seduta di lunedì passi alla storia per la lira turca, visto che è stata quella con la maggiore volatilità di sempre. Il tasso di cambio contro il dollaro si è prima ulteriormente indebolito di oltre il 10% in mattinata, per poi schizzare ad un +26,5% contro la valuta USA. Numeri fuori da ogni logica, che non fanno che confermare lo stato di grave crisi della valuta turca.

Come si spiega questo improvviso rally, dopo un trend di indebolimento che vede comunque la lira turca a perdere circa il 45% da inizio anno? Molto semplice: il tutto si spiega si spiega con le misure straordinarie annunciate da Erdogan a sostegno dei risparmiatori domestici. In sostanza, le famiglie non avranno più la necessità di acquistare dollari per mettersi al sicuro dall’indebolimento del cambio, poiché lo Stato rimborserà ai risparmiatori la differenza tra i tassi d’interesse promessi dalle banche e l’eventuale maggiore crollo della lira turca.

Indubbiamente una misura shock di Erdogan sui risparmi domestici, anche se ad onor del vero non sono stati forniti dettagli sulla misura. Naturale, comunque, che l’annuncio ha avuto l’effetto di sostenere le vendite di valute straniere per 1 Mld di dollari nel giro di poche ore. Facile quindi comprendere la genesi del boom del pomeriggio, vista la promessa che nessun risparmiatore dovrà temere di rimetterci detenendo depositi denominati in valuta domestica anziché in dollari o altre valute straniere.

Ma la domanda da farsi – per non cadere in un forse facile tranello che potrebbe spingere gli investitori più aggressivi a comprare bond turchi – è la seguente: con quali soldi lo Stato coprirebbe l’eventuale minore tasso d’interesse rispetto all’indebolimento del cambio? La domanda non è peregrina, perché in prima battuta tale misura richiederebbe esborsi potenzialmente elevati, con relativo impatto sui conti pubblici: finanziata in deficit, finirebbe per accrescere la liquidità in circolazione, cioè a potenziare le cause stesse all’origine della crisi, ovvero l’alta inflazione.

In seconda battuta, i soli tassi d’interesse poco spiegano sulla capacità dei risparmiatori turchi di proteggere il loro potere d’acquisto. Come sappiamo Erdogan li pretende i più bassi possibili, di fatto sotto l’inflazione, ovvero negativi in termini reali. Questo significa che, anche quando la misura fosse attuata, non garantirebbe di per sé il mantenimento del potere d’acquisto.

Ne consegue che, anche per mere ragioni di credibilità e affidabilità del leader di Ankara, i risparmiatori turchi potrebbero continuare a convertire i loro soldi in dollari per paura che in futuro varranno poco. Un fuoco fatuo, dunque?

Probabile, visto che già nel corso della seduta di ieri abbiamo assistito ad un nuovo indebolimento della lira turca. Secondo il parere di molti analisti era normale che fosse così: scontato l’annuncio, la realtà rimane la stessa.

Di fatto, secondo gli osservatori, Erdogan sta provando a stravolgere le regole dell’economia nella speranza (pretesa?) che il mercato abbocchi. Continua a promettere di portare l’inflazione al 4%, ma la miscela tra tassi bassi e cambio sotto scacci è molto più facile che arrivi al 40%. Inoltre, alcune voci insider sostengono che anche se il presidente ha smentito che la Turchia imporrà restrizioni ai movimenti dei capitali, volendosi attenere alle regole del mercato, da qui a breve sul suo tavolo quel dossier e quella misura saranno in discussione.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra un lieve aumento dei rendimenti sul tratto a breve e medio, mentre indica una lieve contrazione sul tratto a lunga, rispetto alla scorsa analisi. Infatti, rispetto alla scorsa analisi il rendimento della scadenza a 10 anni allarga oltre area 0,19% rispetto allo 0,18% di un mese fa, mentre la scadenza trentennale si porta allo 0,38% rispetto allo 0,33% precedente. Stabile la forma della curva, con la parte a breve e medio mediamente ripida, per poi diventare piatta sempre dalle scadenze 2037 e assumere inclinazione negativa sulle scadenze lunghe. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze 2039-2045, in allargamento rispetto alla scorsa analisi, passando all’attuale area 0,43% dalla precedente 0,38% di rendimento. Poco variati i tassi forward su Euribor 6 mesi sia sul tratto a breve sia su quello a lunga, con attese di tassi positivi e poi in aumento sempre dal 2024. Stabile il tratto a lunga con un picco poco sotto area 0,80% per il tratto 2031-2035 per poi scivolare in area 0,60% per scadenze al 2038.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, il quadro mostra una sostanziale stabilità a livello strategico secondo il modello Trendycator, rispetto alla scorsa analisi. L’area UK torna a vedere un restringimento per i rendimenti del GILT, ora in area 0,75% rispetto al precedente 0,90% di rendimento, con Trendycator su NEUTRAL. Stabile il BUND che si mantiene in area -0,36% rispetto al precedente -0,32%, con modello Trendycator sempre in stato NEUTRAL. Stabili anche i rendimenti del nostro Btp che continua a gravitare tra area 0,90% a area 1% di rendimento, con Trendycator confermato ormai da nove settimane su LONG. Infine, l’area USA che vede rendimenti in lieve contrazione con il Treasury decennale che si attesta ora in area 1,43% rendimento e con Trendycator ancora fermo su NEUTRAL.

Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Analisi in evidenza
Sempre sul pezzo con la nostra analisi del cambio EUR/USD, sempre molto utile in ottica di diversificazione del portafoglio obbligazionario. Previsioni per ora confermate, con il cambio EUR/USD che sta consolidando la forte discesa nei pressi di area 1,12.

Infatti, il cambio è ora in stretto trading range tra 1,14 e 1,12 come avevamo ipotizzato nella scorsa analisi, quando scrivevamo: “Ora, anche in base ai dati macro e in base alle nuove aspettative di politica monetaria della FED, come visto sopra, il mercato si aspetta ulteriore forza del dollaro contro euro, per cui è possibile che dopo una fase di consolidamento tra 1,12 e 1,15 il cambio EUR/USD acceleri nuovamente al ribasso, andando a testare i minimi in area 1,06 di marzo 2020”.

Il modello Trendycator è stabile e fisso sullo SHORT, ad indicare che il trend a favore della valuta USA è ancora tutto intatto e anzi, ha ancora del potenziale da esprimere. I livelli operativi rimangono sempre gli stessi, già segnalati anche nelle precedenti analisi, con obiettivo di medio in area 1,07/1,06.

A voi tutti un sincero augurio di Buone Feste e arrivederci nel 2022!