Bond sotto la lente: inflazione torrida ma “inflation linked” in netto calo. Ecco perché


Non succede solo ai Btp€i italiani ma anche ai Tips Usa e ai Bund€i tedeschi: il motivo è di natura tecnica e ve lo spieghiamo con tanti numeri.

Cedole & dividendi

Le cifre sull’inflazione sono semplicemente spaventose (7% negli Usa, 5% nel contesto Ue e 3,8% in Italia). Chi lo aveva previsto ha guadagnato davvero tanto cavalcando gli asset specifici e in particolare le obbligazioni “inflation linked”, indicizzate a parametri di andamento del costo della vita. Detto così sembrerebbe che si tratti di strumenti che salgono quando l’inflazione cresce e che scendono quando decresce. In realtà le cose non vanno in questo modo.

Innanzi tutto la teoria vuole che il momento ideale per puntare sugli “inflation” sia quello in cui si ipotizzano future espansioni economiche e quindi rialzi dei tassi.

Sempre la teoria impone una regola: acquistare gli inflation in emissione e tenerli fino a scadenza, in altre parole proteggersi in maniera passiva, senza farsi domande su cosa avviene nel frattempo. Pochi però lo fanno e tanti puntano sui “linker” quando vedono che il quadro sta modificandosi a loro vantaggio. E’ inevitabile che ciò avvenga e in effetti lo spread di rendimento a favore degli indicizzati rispetto a dei tassi fissi su scadenze equivalenti attualmente lo giustificherebbe. Visto che siamo in Italia e che vogliamo difendere un portafoglio con presumibile maggiore peso di asset in euro ecco quanto sta avvenendo in un confronto fra Btp€i, indicizzati all’inflazione europea, e Btp (per i Btp Italia il discorso è un po' diverso, data la differente struttura):

Btp€i 2023

IT0004243512

Yield 2,2%

Btp 0,65% 2023

IT0005215246

Yield -0,21%

Btp€i 2026

IT0004735152

Yield 3,5%

Btp 1,6% 2026

IT0005170839

Yield 0,44%

Btp€i 2032

IT0005138828

Yield 4,6%

Btp 1,65% 2032

IT0005094088

Yield 1,33%

Btp€i 2051

IT0005436701

Yield 5,2%

Btp 1,7% 2051

IT0005425233

Yield 2,13%

E’ evidente come lo spread di rendimento, dovuto al coefficiente di indicizzazione, sia abissale su tutta la curva. Questo al momento in corso ma in futuro?

Le quotazioni degli “inflation” stanno in effetti già scendendo e non di poco. Ciò avviene per tutti gli emittenti, dagli Usa alla Germania e dall’Australia alla Francia. Torniamo però ai Btp€i.

Btp€i 2023

Apertura oggi 108,4 contro massimo 110,8 a ottobre 2021

Btp€i 2026

Apertura oggi 121,1 contro massimo 125,2 a ottobre 2021

Btp€i 2032

Apertura oggi 116,4 contro massimo 124,3 a ottobre 2021

Btp€i 2051

Apertura oggi 95,5 contro massimo 109,6 a ottobre 2021

Più le scadenze sono lunghe e più nette risultano le correzioni. Evidente quindi l’impatto della “duration”, che si può definire come rischio connesso a eventuali cambiamenti dei tassi d’interesse dell’area di riferimento (inevitabilmente la Bce nel nostro caso). L’impatto è dovuto logicamente alla presenza della cedola base, comunque riconosciuta: per i titoli citati si tratta del 2,6% per il 2023, del 3,1% per il 2026, dell’1,25% per il 2032 e dello 0,15% per il 2051.

Vediamoli allora i dati riferiti a tale variabile.

Btp€i 2023

1,2

Btp€i 2026

3,2

Btp€i 2032

7,2

Btp€i 2051

20,4

Più la “duration” è rilevante e maggiore risulta il peso sulle quotazioni. Di qui la considerazione finale che gli “inflation” non solo italiani rendono oggi decisamente meglio dei tassi fissi (gap che tende però storicamente a rientrare con il passare del tempo) ma che l’effetto sensibilità al variare dei tassi si fa già sentire, tanto più sulle scadenze molto lunghe.

Quindi…

Se si sono acquistati sotto 100 o alla pari

Si tengono in portafoglio in ottica di protezione indicativamente fino a scadenza

Se si sono acquistati sopra la pari

Oggi rendono molto più dei tassi fissi ma occorre valutare il livello di rendimento in cui “il gioco non vale più la candela” (per usare un modo di esprimersi chiaro a tutti): dipende naturalmente dalla quotazione di acquisto

Se si sono acquistati di molto sopra la pari

Attenzione: la situazione sta diventando complessa, tanto più se la Bce ipotizzasse rialzi dei tassi nel breve-medio termine

Infine una riflessione su quale sia la scadenza migliore per proteggere effettivamente dall’inflazione senza troppi effetti collaterali: la si valuta da sempre e ancor più nella fase in corso sulle scadenze dai 5 anni al massimo ai 7 anni.