Aggiornamento portafoglio: Lagarde teme il rialzo dei tassi


Forte preoccupazione in seno alla BCE. L'inflazione non smette di correre e la BCE resta indecisa tra intervenire con un rialzo dei tassi entro l'anno o tenersi accomodante, viste le possibili tensioni che un intervento non ben ponderato potrebbe scatenare. Come molti analisti si attendono, l’inflazione salirà molto probabilmente anche a febbraio nell’Eurozona. Per l’Italia, ad esempio, Confcommercio si attende una crescita annuale dei prezzi del 5,6% per febbraio.

Tuttavia, la BCE continua a non pronunciarsi in merito ad un imminente rialzo dei tassi, sebbene siano in netto aumento le previsioni degli analisti e dello stesso mercato monetario per l’avvio della stretta entro questo 2022. Il nodo da affrontare, per nulla trascurabile, è che a Francoforte il timore di creare una crisi dei debiti sovrani è davvero concreto. Un timore per altro fondato sulla consapevolezza di ripetere l’errore del 2011, quando un aumento dei tassi prematuro provocò la crisi più profonda che l’euro dovette affrontare.

A questo si aggiunga che anche i grandi operatori non sono proprio allineati sulla visione a tendere: ad esempio, UBS non crede che si possa davvero tornare alla fase buia dell’euro, ma al tempo stesso avverte che l’inflazione potrebbe aumentare l’indebitamento degli Stati, anziché ridurli.

Solo il giorno prima, l’agenzia Fitch stimava un calo del debito ai massimi da decenni proprio per effetto dell’alta inflazione di questi mesi. Insomma, poche idee ma ben confuse…

In realtà le dinamiche sono puramente matematiche, però al netto di variabili esogene che possono non solo destabilizzare la situazione, ma possono benissimo cambiare radicalmente il volto alla questione. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Da sempre è noto che i modi per estinguere dei debiti sono solo due: ripagarli o farli divorare dall’inflazione. Non è infatti un caso che in questi anni di QE selvaggio i più accorti abbiano contratto debiti (per lo più mutui per acquisto immobili) a tasso fisso e a scadenze lunghissime. Chi oggi ha un mutuo a trent’anni al tasso dell’1% nominale l’anno ha fatto a suo tempo un bel colpaccio.

Ma c’è un ma… Perché se da un lato è vero che l’inflazione migliora il rapporto debito/PIL (perché aumenta il PIL nominale che è al denominatore), dall’altro lato l’inflazione erode anche i redditi (potere d’acquisto) se non bilanciati da tassi adeguati. E sempre a patto che non si inneschino meccanismi pericolosi.

E, sotto questo profilo, già l’Italia sta mettendo mano al portafoglio intervenendo direttamente per attutire i contraccolpi del rincaro dei prezzi su famiglie e imprese. Infatti, il governo Draghi, ad esempio, ha già stanziato oltre 10 Mld di euro contro il caro bollette; una bella botta per le casse statali che si ritrovano già a dover gestire un debito al 150% del PIL. Va da sé che, se anche altri Stati dovessero seguire questa via, tutte queste misure finirebbero per gravare sui conti pubblici, ed è uno scenario per nulla ipotetico, ma molto realistico.

Mettendo insieme i pezzi, ben si capisce perché la Lagarde teme così tanto di dare il via ad un aumento dei tassi: potrebbero verificarsi effetti collaterali ingestibili. Infatti, con l’aumento dei tassi non salirebbero solo i rendimenti sovrani e gli spread, ma anche gli interessi sul nuovo debito da contrarre per sostenere famiglie e imprese ed evitare rivolte sociali.

La leva fiscale, con una stretta, non sarebbe assolutamente proponibile in una fase come questa, ma venendo meno una politica monetaria accomodante, è lì che si tenderebbe ad arrivare in tempi non troppo lontani. Quindi un problema che si somma al problema principale: la necessità per la BCE di cercare di raffreddare le aspettative d’inflazione, per spegnere un possibile “incendio” sociale, senza però toccare leve sensibili che potrebbero farlo divampare.

Di fatto, la BCE si trova in un cul de sac, perché se alza i tassi rischia di far esplodere i bilanci degli Stati più deboli ed esposti al debito, se non li alza non può contenere l’effetto inflattivo sui redditi. La morale è che qui si tratta di scegliere il male minore, e visto l’atteggiamento attendista, viene da pensare che la Banca Centrale europea creda che una stretta non avrebbe un impatto visibile, cioè che i costi supererebbero i benefici nel breve termine.

Insomma, un bel dilemma. A cui, in ultima analisi, si aggiunge quello di ritrovarsi tra alcuni mesi a dover (forse) alzare i tassi più velocemente (e drasticamente…) di quanto non fosse ragionevole attendersi. Ed è forse per questo che la comunicazione “non ufficiale” della BCE oscilla tra toni allarmistici sull’inflazione e altri prudenti sulla necessità di mantenere invariato il regime degli stimoli monetari.

In questo momento, che la si giri come si vuole, la morale è questa: se la BCE alza i tassi, riduce implicitamente il sostegno ai governi dell’Eurozona, i quali potranno a loro volta aiutare in misura minore famiglie e imprese contro l’inflazione; se non interviene, l’inflazione divorerà i redditi e scatenerà vere rivolte. Unica certezza: la sedia della Lagarde brucia e nessuno vorrebbe sedere al suo posto in questi mesi…

Tornando al nostro portafoglio, non ci sono grandi novità rispetto allo scorso aggiornamento. Siamo sempre investiti per poco più del 40% del totale disponibile, tutto su asset di fatto difensivi. E nonostante al momento si registri un proseguimento della volatilità negativa, alcuni asset strategici iniziano a darci i primi frutti. Si tratta della posizione sull’oro e di quella sull’argento, che favoriti anche dai venti di guerra ingranano la quarta e si confermano ottimi beni rifugio.   

Per ora restiamo quindi in attesa di vedere ulteriori sviluppi delle varie situazioni sul tavolo e ci teniamo stretta la liquidità che abbiamo in cassa. Viste tutte le considerazioni fatte sin qui e vista la situazione generale dei mercati è piuttosto probabile che ci toccherà sopportare ancora della volatilità negativa. Non è un problema: siamo perfettamente abituati a tenere botta quando non ci sono opportunità o quando i rischi superano i potenziali benefici.

All’ultimo close disponibile, il portafoglio valorizza un NAV a 105,26 non molto distante dal precedente 105,42. La performance storica su base annua si porta a +2,82% in lieve contrazione rispetto alla precedente analisi. Tende a salire lievemente la volatilità totale, ora all’1,48% rispetto al precedente all’1,44% così come quella negativa che pasa dallo 0,47% all’attuale 0,52%. 

Portafoglio ed equity line aggiornati nell’apposita sezione.