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NASDAQ100 WEEKLY - Continua la fase di consolidamento sugli indici azionari USA....


WALL STREET CHIUSA GIOVEDI’ 4 LUGLIO PER LA FESTIVITA’ DELL’INDEPENDENCE DAY. NASDAQ E NYSE CHIUDERANNO ALLE ORE 13:00 DI NEW YORK ANCHE NELLA GIORNATA DI MERCOLEDI’ 3 LUGLIO.

CONTINUA L’AMMORBIDIMENTO DEL QUADRO OCCUPAZIONALE E L’ALLENTAMENTO DELL’INFLAZIONE. DOPO I DATI PCE L’INDICE NASDAQ100 REGISTRA UN NUOVO RECORD APPENA SOPRA LA VETTA DEI 20.000 PUNTI, E L’S&P500 SEGUE A RUOTA CON RECORD SOPRA I 5.520 PUNTI, MENTRE RIMANE AL PALO IL DOW JONES SEMPRE ALLE PRESE CON QUOTA 39.2000 PUNTI. STRANAMENTE I RENDIMENTI DEI T-BONDS A 10 E 30 ANNI GUADAGNANO DOPO IL DATO MACRO, CON UN DOLLARO IN LEGGERO RIPIEGAMENTO E LE COMMODITIES PREZIOSE E INDUSTRIALI FERME.

La settimana borsistica a Wall Street si conclude con un nulla di fatto. Dopo la discesa nella giornata di lunedì scorso, gli indici recuperavano la perdita nelle tre giornate successive, poi nella giornata di venerdì dopo il dato macro sui consumi personali leggermente sotto le attese (buono per l’inflazione e per le aspettative della FED) il cash partiva alla grande con nuovi record per l’indice NASDAQ100 e S&P500, ma alle ore 16:15 nostrane, si abbattevano sul mercato una serie di vendite che duravano fino alla fine della seduta di contrattazione. Il DOW JONES recupera qualcosa ma sbatte sempre su quota 39200, mentre recupera bene l’indice Russell2000 delle piccole capitalizzazioni grazie alla ricostituzione dei titoli dell’indice che hanno creato un po’ di movimento e agitazione nel mercato. Nella scorsa settimana ha guadagnato l’1,23%.

Impossibile dare un catalist a questa situazione, tantomeno con l’uscita alle ore 16:00 nostrane del dato preliminare (buono) della fiducia dei consumatori del Michigan, che non è un vero market mover. Forse l’incertezza politica dopo il dibattito presidenziale del giorno precedente ? O dopo un pranzo pantagruelico siamo arrivati alla frutta ? Vedremo !

Sta di fatto che i guadagni di inizio contrattazioni si trasformavano in perdita giornaliera portando la performance settimanale in un sostanziale pareggio, il dollaro in lieve calo e stranamente i Treasury USA in netto guadagno sulle scadenze più lunghe, 10 e 30 anni.

L’ammorbidimento del quadro occupazionale, è un tema che è stato toccato proprio in settimana anche dal presidente della FED di San Francisco, Mary Daly, che ha dichiarato che "Finora, il mercato del lavoro si è aggiustato lentamente e il tasso di disoccupazione è aumentato solo leggermente. Ma ci stiamo avvicinando a un punto in il quadro potrebbe diventare meno benigno. Un futuro rallentamento del mercato del lavoro potrebbe tradursi in una disoccupazione più elevata".

Come osservato di recente, i Payrolls USA di maggio hanno fugato in gran parte i timori di un deterioramento del mercato del lavoro statunitense, con la loro creazione di 272.000 nuovi posti. Detto ciò, questi numeri risultano in contrasto con altre misure occupazionali che invece si stanno deteriorando, vedi i sussidi di disoccupazione, o i sotto-indici occupazionali delle previsioni di attività e offerte di lavoro. In particolare queste ultime, i Job Openings, stanno decrescendo verso i livelli precedenti il Covid.

Come si vede a sinistra del seguente grafico, finora, questo calo della domanda non ha portato che un modestissimo aumento dell'inflazione. Ed è facile intuire il perché: se hai 6 - 6.5 mln di disoccupati, che le offerte di lavoro siano 12 mln come a inizio 2022 o poco più di 8 mln come ora, cambia poco. C' è un’eccedenza di domanda che mantiene il mercato più o meno in piena occupazione.

Ma se quest'eccedenza si assottiglia ancora, e finisce sotto il milione, è probabile che ad un certo punto un ulteriore calo della domanda cominci a far salire la disoccupazione. Come si nota dal grafico sopra, la disoccupazione USA è scesa sotto al 5% solo quando le offerte hanno superato i 6 milioni.

Questo fenomeno è rappresentato bene dalla curva di Beveridge, che mette in relazione la ratio di vacancy (offerte di lavoro) con la disoccupazione. Oltre un tasso di vacancy del 4.5% la disoccupazione non reagisce più ad un suo calo. La lettura di aprile (i Job Openings hanno un mese di ritardo rispetto a Payrolls, ADP, etc.) è poco distante da questo livello. Ulteriori cali della domanda potranno tradursi in aumenti del tasso di disoccupazione, con impatto su consumi (già non brillantissimi di recente), sentiment e, udite udite, inflazione e politica monetaria. Per quello nei prossimi mesi c’è da seguire con attenzione il dato Job Openings, percezione del mercato del lavoro da parte dei consumatori e sussidi di disoccupazione, che a loro volta stanno dando timidi segnali di salita.

Intanto concentriamoci sui Job Openings di maggio in uscita domani, martedì, poi sui nuovi occupati nel settore pubblico e privato nel mese di giugno, dati che verranno pubblicati venerdì prossimo, sulla testimonianza semestrale di Powell sulla politica monetaria il 9 luglio al Comitato bancario del Senato, e sui dati dei prezzi al consumo (CPI) previsti per l'11 luglio.

Tornando a parlare di investimenti, nel corso della settimana che partiva da mercoledì 19 a mercoledì 26 giugno, gli investitori statunitensi hanno acquistato massicciamente fondi azionari in vista del cruciale rapporto sull'inflazione, stimolati dalle aspettative di una continua moderazione dell'inflazione che potrebbe spingere la Federal Reserve ad annunciare tagli dei tassi.

Sono stati pompati ben 16,37 miliardi di dollari nei fondi azionari statunitensi nei sette giorni, l’importo settimanale più alto dal 14 giugno 2023 (v. grafico):

Gli investitori hanno scommesso sull'indicatore di inflazione preferito dalla Federal Reserve, l'indice dei prezzi delle spese per consumi personali (PCE), prevedendo un rallentamento del tasso di crescita annuale del 2,6% a maggio. I fondi large-cap statunitensi hanno guidato il mercato, attraendo un significativo importo di 21,28 miliardi $, il più grande afflusso settimanale da almeno settembre 2020, mentre i fondi small-cap hanno registrato anche afflussi netti di 38 milioni $. Al contrario, i fondi mid-cap e multi-cap hanno registrato deflussi rispettivamente di 690 milioni $ e 186 milioni $.

Nel frattempo, gli investitori hanno ritirato 141 milioni di dollari dai fondi azionari settoriali statunitensi, annullando tre settimane di acquisti netti. Nello specifico, hanno prelevato 391 milioni di dollari dai fondi sanitari e 302 milioni di dollari dai fondi immobiliari, ma hanno investito 452 milioni di dollari nel settore industriale (v. grafico):

I fondi obbligazionari statunitensi hanno registrato circa 1,64 miliardi $ in acquisti netti, segnando la quarta settimana consecutiva di afflussi. I fondi obbligazionari governativi e del Tesoro statunitensi hanno attirato circa 2,05 miliardi $, continuando la tendenza all'acquisto per la settima settimana consecutiva. Inoltre, i fondi a reddito fisso imponibili nazionali degli Stati Uniti hanno registrato afflussi pari a 1,26 miliardi di dollari, nonostante si siano registrati prelievi per circa 1,14 miliardi di dollari dai fondi ‘investment grade’ a breve/medio termine (v. grafico):

Allo stesso tempo, i fondi del mercato monetario hanno registrato vendite nette per un valore di 6,54 miliardi di dollari, il secondo deflusso settimanale consecutivo.

Passiamo ora ad analizzare il mercato monetario.

L'indicatore di inflazione preferito dalla Federal Reserve statunitense ha soddisfatto le previsioni nel mese di maggio, mantenendo vive le aspettative secondo cui i tassi di interesse potrebbero scendere più rapidamente di quanto previsto dai politici. Il Personal Consumption Expenditures Price Index (PCE core), che esclude i prezzi volatili di energia e cibo, è aumentato del 2,6% rispetto all'anno scorso, rallentando rispetto al ritmo del 2,8% di aprile.

Dopo l’uscita venerdì scorso dei dati macro sui consumi personali di maggio, molti investitori e traders si aspettano che la FED tagli i tassi di interesse nella riunione di settembre, affermando che i numeri sull’inflazione continuano a puntare nella giusta direzione. La FED ha la flessibilità per farlo, con il rischio che se aspettasse troppo a lungo si potrebbero verificare impatti sull’edilizia in generale e in quella abitativa in particolare, che sarebbero difficili da invertire. Le scommesse sono per due tagli nel 2024 nonostante le proiezioni della FED ne prevedessero solo uno quest'anno, poiché la speranza è che l'inflazione continui a raffreddarsi. Nei due seguenti grafici vengono riportate le previsioni degli analisti delle banche più grandi per quanto riguarda il target di inflazione USA e di prodotto interno lordo nelle aree mondiali per il 2024:

Luglio sarà un mese critico. Wall Street attende la lettura di giugno dell'indice dei prezzi al consumo, la cui uscita è prevista per l'11 luglio. Le stime consensuali degli economisti intervistati da FactSet prevedono un aumento del 3,1% anno su anno, che sarebbe in calo rispetto al risultato del 3,3% di maggio. Ciò aiuterebbe a convalidare la tesi del mercato secondo cui la Fed potrebbe tagliare i tassi a breve.

Il comitato decisionale della FED terrà anche la sua riunione mensile il 30-31 luglio, che i funzionari della banca centrale concluderanno annunciando la loro ultima decisione sui tassi di interesse. I mercati si aspettano che la FED mantenga invariato il tasso sui fondi federali in un intervallo tra il 5,25% e il 5,5%, ma presteranno particolare attenzione a qualsiasi indicazione da parte della banca sulle prossime decisioni sui tassi di interesse.

Pertanto andiamo a vedere nello specifico cosa è successo al mercato dei tassi statunitense che si è presentato nel fine settimana appena trascorso sulle probabilità dei tagli sui tassi d’interesse nel 2024 e, novità, ad inizio 2025 sui rendimenti dei Treasury.

Saltando a piè pari la riunione in scadenza il 31 luglio p.v. nella quale le probabilità di nessun taglio rimangono sempre tra l’89 ed il 91%, lo strumento FedWatch del CME Group mostra con una certa dose di sorpresa come si siano abbassate leggermente le probabilità del primo taglio dei tassi nella riunione del 18 settembre. Infatti le probabilità di un taglio pari a 25 bps sono ora al 56,3% rispetto al 59,5% di due venerdì fa, mentre riprendono quota le probabilità di nessun taglio che si alzano dal 34,1% di due venerdì fa all’attuale 37,4%. Infine rimangono stazionarie le basse probabilità di un taglio per complessivi 50 bps (1 da 0,50% o due da 0,25%) che dal 6,4% di due venerdì fa passano all’attuale 6,3% (v. grafico):

E veniamo alla scadenza relativa alla riunione del 7 novembre. Stranezze anche per quanto riguarda questa riunione con le probabilità che scendono lievemente di un taglio pari a 25 bps che dal 50,6% di due venerdì fa passano all’attuale 49,4%. Mentre salgono nuovamente le probabilità di nessun taglio che dal 22,1% di due venerdì fa, passano all’attuale 23,8% a scapito di un taglio per complessivi 50 bps (1 da 0,50% o due da 0,25%) che dal 25,1% di due venerdì fa passano all’attuale 24,5% (v. grafico):

Per l’ultima riunione del 2024, sempre al comando le probabilità di un taglio per complessivi 50 bps anche se scendono lievemente passando dal 44,7% di due venerdì fa all’attuale 42,9% e con loro si abbassano anche le probabilità per un taglio complessivo di 75 bps (forse troppo ottimistiche) che dal 19,9% di due venerdì fa passano all’attuale 18,0%. Il tutto a vantaggio delle probabilità per un taglio di soli 25 bps che passano dal 28,6% di due venerdì fa all’attuale 31,1%, e delle probabilità di nessun taglio che passano dal 5,1% di due venerdì fa all’attuale 6,4% (v. grafico):

Infine iniziamo a prendere confidenza con l’anno 2025 e le rispettive riunioni della FED. Per la prima riunione dell’anno prevista per il 29 gennaio, c’è molta incertezza sulle probabilità tra un taglio per complessivi 50 bps e 75 bps, con la prima probabilità al 36,3% e al 32,5% per la seconda. Poche probabilità per un taglio di soli 25 bps al 16,8% mentre pochissime sono le probabilità per un taglio complessivo di un punto percentuale pari al 10,9%. (v. grafico):

Nonostante il dato inflattivo in discesa dei consumi personali, i rendimenti delle scadenze lunghe hanno fatto un bel balzo all’insù, proprio nella giornata di venerdì scorso. Nello specifico i numeri riportano che la scadenza corta costituita dal Treasury 2Y è passata dal 4,74% di due venerdì fa, all’attuale 4,756%. Mentre si alza considerevolmente il rendimento per il Treasury 10Y che dal 4,257% di due venerdì fa passa all’attuale 4,41%. Stesso discorso per la scadenza lunga del 30Y con il rendimento che passa dal 4,40% di due venerdì fa all’attuale 4,57%. Ovviamente il classico spread 2Y – 10Y posizionato a 47,5 punti due venerdì fa passa all’attuale 34,6 punti. Un bel restringimento.

Nella settimana appena trascorsa in risalita i tassi reali, al netto dell’attuale tasso di inflazione, nonostante la discesa del dato sui consumi personali. Come mostrato dal grafico del breakeven inflation a 10 anni, in chiusura di ottava il tasso risale al 2,28% dal 2,23% di due venerdì fa (v. grafico):

Analisi grafica dell’indice di riferimento di una parte delle nostre operazioni, il NASDAQ100. Al contrario di due settimane orsono, le quotazioni dell’indice hanno aperto la settimana all’insegna delle vendite per poi recuperare tutto nei tre giorni successivi e mezzo. Perché il mezzo ? Il mezzo sta a significare che poco dopo l’apertura di venerdì scorso, al seguito del dato inflattivo sui consumi personali, l’indice è riuscito a superare la barriera psicologica dei 20.000 punti, facendo registrare l’ennesimo nuovo record a 20017.71 punti, ma poi stranamente nel prosieguo della giornata ha dilapidato tutto il guadagno perdendo anche mezzo punto percentuale e chiudendo la settimana in sostanziale pareggio rispetto a due venerdì fa. A pesare sul listino soprattutto alcuni titoli del cosiddetto nucleo dei ‘Magnificent Seven’ con prese di beneficio su ALPHABET, APPLE, MICROSOFT e AMAZON, ma di motivazioni, zero assoluto. A proposito di AMAZON, la società è diventata la quinta azienda statunitense a raggiungere una capitalizzazione di 2 trilioni di dollari. Nella giornata di mercoledì il gigante dell’e-commerce ha superato la soglia dei 2 trilioni di dollari, unendosi ad altri giganti della tecnologia: ALPHABET, APPLE, MICROSOFT e NVIDIA. AMAZON ha impiegato più di quattro anni per aggiungere altri trilioni alla sua capitalizzazione di mercato da quando ha superato i mille miliardi di dollari nel 2020. In confronto, il produttore di chip AI, NVIDIA ha impiegato 180 giorni per raggiungere il suo secondo trilione, mentre i progressi dell’intelligenza artificiale hanno spinto una domanda insaziabile per i suoi prodotti: i semiconduttori.

Nonostante le prese di beneficio sui predetti titoli del gruppo dei ‘Magnificent Seven’, il possibile recupero dell’indice Nasdaq100 Equal Weighted non si è visto, anzi la perdita settimanale dello 0,42% amplifica ancor più il deficit del rendimento annuale dell’indice Nasdaq100 equal weighted verso quello ‘pesato’ al 12,06%. Troppo.

Negli ultimi 19 anni, da quando l'indice ‘equal weight’ viene calcolato, a picchi della ratio sono seguite fasi di consolidamento, marginali, come nel 2020, o nel 2011, moderate, o robuste, fino al bear market del 2022, l'unico caso in cui si può parlare di temporanea inversione di trend.

Ne consegue che, in base al backtest, ci possiamo attendere, con ogni probabilità, una prosecuzione del consolidamento dell'indice per un po', anche se una correzione aiuterebbe a far scendere il livello di ipercomprato rendendo i prezzi dei titoli più accessibili, ma è improbabile che ci troviamo di fronte ad un top, Come ripetuto spesso, i mercati, prima di invertire la rotta, perdono momentum. Una cosa osservata nel 2007, e marginalmente nel 2021.

Graficamente notiamo come la candela di venerdì scorso che ha stabilito un momentaneo nuovo record, sia in realtà un falso breakout chiudendo la giornata anche in perdita e sotto il minimo del giorno precedente. Nulla di preoccupante ma sicuramente non un bel segnale per l’inizio di questa settimana. Detto del nuovo massimo che ha superato la soglia dei 20000 punti, psicologica e tecnica in quanto proiezione del 138,2% di onda 3 di (5) partendo dal minimo di onda 4 di (5), i prezzi sono stati poi respinti all’indietro fino in area 19700. Pertanto, se il consolidamento dovesse continuare (almeno fino a venerdì giorno dei dati sul mercato del lavoro) il range di contrattazione dovrebbe essere tra le aree 19450 e appunto 20000, mentre in caso di correzione (salutare) si arriverebbe fino in area 19200 con chiusura del gap del 12 giugno. Viceversa, le prossime proiezione rialziste prevedono, oltre al superamento dell’area già citata dei 20000, l’area 20300 estensione del 150% di onda 3 di (5) partendo dal minimo di onda 4 di (5). La settimana si è chiusa a 19682.87 in sostanziale pareggio rispetto alla chiusura della scorsa settimana, il che porta ad un guadagno del + 16,98% rispetto alla chiusura del 2023.  

Nel corso della settimana appena trascorsa, il recupero del pullback dopo i recenti massimi, si è fermato in chiusura di ottava, non senza aver fatto registrare nella stessa giornata di venerdì un nuovo record a 5523.64 punti per l’indice S&P500. Dire che la candela di venerdì, con falso breakout dei massimi, sia brutta è un eufemismo, anche se il minimo giornaliero non è andato ad intaccare il minimo degli ultimi otto giorni. I prezzi del nuovo record si sono fermati molto vicini all’area di proiezione rialzista dei 5530/40 punti, rappresentata dall’estensione del 100,0% di onda 3 di (5) partendo dal minimo di onda 4 di (5), prima di scendere in area 5450. Pertanto, in base agli importanti dati macro in pubblicazione in questa settimana, la prima forte resistenza è rappresentata dall’area del nuovo massimo storico. Viceversa troviamo un supporto in area 5400 punti, minimo delle ultime 12 sessioni, mentre un supporto più importante lo troviamo in area 5370 che rappresenta il ritracciamento del 27,2% di onda 5 di (5) con i prezzi che andrebbero a chiudere il gap di mercoledì 12 giugno a 5375 punti. Per quanto riguarda la partecipazione al rally, all’indice S&P Equal Weight non è parso vero perdere un altro 0,42% settimanale nonostante il pareggio percentuale di quello ‘pesato’ aumentando, così, il gap del 10,41% da recuperare.

Contrariamente alle aspettative della settimana precedente, nel corso della scorsa settimana il livello dell’indice Cboe Volatility Index (VIX) è sceso continuamente fino a toccare un minimo a 11,87 per poi chiudere l’ottava a 12,44 rispetto ai 13,20 punti di due venerdì fa. Tutto tranquillo. Vedremo questa settimana con l’uscita degli importanti dati sul mercato del lavoro.

Stesso percorso per quanto riguarda la situazione sull’indice della ‘paura’, e parliamo dello skew del CBOE sull’S&P500 – un indicatore del mercato delle opzioni per la domanda relativa di contratti call al rialzo rispetto a contratti put al ribasso – anch’esso sceso dal massimo di tre giovedì fa a 162,25 punti, per poi stazionare in area 155/151 punti due settimane fa, all’attuale 141,79.

SUPER MICRO COMPUTER è stato il titolo con la migliore performance nell’indice S&P500 nella prima metà dell'anno con un + 188%, poiché la crescita dell'intelligenza artificiale entusiasma gli investitori, mentre la catena di farmacie WALGREENS BOOTS ALLIANCE ha riportato la perdita più alta con un – 54%

I broker hanno alzato i loro obiettivi di fine anno per l'indice azionario statunitense S&P500 stimolato dalle aspettative di un "atterraggio morbido" per l'economia e dalle crescenti probabilità che la Federal Reserve riduca i tassi di interesse quest'anno. Di seguito sono riportate le previsioni di alcune delle principali banche sulla crescita economica, sull'inflazione e sulla performance di determinate classi di attività (v. grafico):

Ma Sentimentrader ha rilevato che il mercato azionario ha mostrato una tendenza a lungo termine a performare meno bene durante i mesi estivi di giugno/luglio/agosto rispetto al resto dell'anno. Ovviamente i risultati possono variare in modo significativo di anno in anno, tuttavia un mese estivo tende a brillare (e fa sembrare il resto dell'estate peggiore in confronto). Il seguente grafico mostra la tendenza stagionale annuale dell'indice S&P500. Si noti che la performance “media” durante il periodo giugno/luglio/agosto è un fenomeno laterale.

Tra l'altro, siamo entrati quasi completamente nel periodo di blackout per i buyback, con l'80% delle aziende dell'S&P500 che ha dovuto fermare i propri programmi in vista della trimestrale, un altro fattore di cautela.

Come abbiamo letto in precedenza a proposito del continuo aumento di investitori nei fondi azionari i mercati rialzisti possono continuare finché gli investitori rimangono rialzisti, soprattutto se diventano sempre più rialzisti. Ad un certo punto, l’ottimismo raggiunge il culmine, ma fino ad allora, il crescente ottimismo è una caratteristica, non un bug, dei mercati rialzisti sostenuti. Ciò può essere abbastanza preoccupante perché dimostra che gli indici a cui tutti prestano attenzione mascherano le turbolenze di fondo. Le divergenze tra alcuni indicatori e le quotazioni dei listini sono iniziate qualche tempo fa, eppure i principali indici e una manciata di azioni hanno raggiunto nuovi massimi o si sono avvicinati ad essi. Pertanto ok, chi segue le classifiche è contento, ma chi è più concentrato sui rischi (come noi), nota che il rischio è aumentato. Siamo sul punto più alto per i trader/investitori che operano da più settimane a più mesi in almeno due anni. Ovviamente tutto può succedere, ma lo scenario più probabile è che i guadagni a breve termine vengano restituiti durante un successivo pullback. La settimana si è chiusa a 5460.49 praticamente a pareggio rispetto alla chiusura della scorsa settimana, il che porta ad un guadagno del + 14,48% rispetto alla chiusura del 2023.

Prosegue la fase di lateralità per le quotazioni del listino delle major industrial, DOW JONES, che continuano ad essere attratte dall’area 39200 punti, anche se in intraday riesce a superarla per poi ritornare sui propri passi. La disparità tra questo listino e gli altri due maggiori è fin troppo evidente. Al culmine della bolla di Internet all'inizio del 2000, la ratio di guadagno percentuale dell’indice S&P500 stava superando il DOW JONES Industrial Average anche di più di quanto non faccia oggi. Ciò dovrebbe far riflettere coloro che si chiedono se ci sia qualcosa di sbagliato nel DOW che lo rende così ritardatario. Si potrebbe facilmente sostenere che la colpa è di un S&P500 gonfiato.

In realtà, Il DOW JONES Industrial Average è una reliquia. Sta inoltre attraversando il periodo peggiore di sottoperformance dell’S&P500 dai tempi della bolla delle dot-com e, prima ancora, dell’impennata dell’inflazione e dei tassi di interesse della fine degli anni ’70 e dell’inizio degli anni ’80. La pessima performance del DOW potrebbe essere un segnale che ci troviamo ad un altro punto di svolta per i mercati.

In un certo senso, è sicuramente un punto di svolta. Il DOW misura le aziende che un tempo erano considerate grandi, mentre l’S&P500 è dominato dalle aziende che attualmente sono considerate grandi. In tempi di cambiamento, i due si allontanano, poiché l’S&P500 si riequilibra verso le società più nuove, mentre il DOW no. L’esempio più calzante è quello tra il produttore di chip NVIDIA (presente nell’S&P500) e l’ex-icona INTEL (presente nel DOW). Mentre il primo sta cavalcando il boom dell’intelligenza artificiale diventando la seconda più grande azienda dell’indice S&P500, con le sue azioni in rialzo di oltre il 250% in 12 mesi, il secondo ha visto scendere leggermente le quotazioni negli ultimi 12 mesi, penalizzando l’indice DOW.

Il divario ha raggiunto i 30 punti percentuali il mese scorso. Il DOW è rimasto così indietro in un periodo simile solo due volte dalla Grande Depressione, nel 1976-80 e durante la bolla delle dot-com del 1999-2000.

Possiamo considerare questa sottoperformance in due modi: clinicamente e cinicamente.

Clinicamente, il DOW è un indice mal progettato che attribuisce un peso eccessivo a determinati titoli in base al prezzo delle azioni, piuttosto che al valore di mercato utilizzato da quasi tutti gli altri grandi indici. Ciò porta spesso a risultati bizzarri. Ad esempio, il titolo con il prezzo più alto nel DOW attualmente è UNITEDHEALTH Group, che ha quindi il peso maggiore tra tutti questi 30 titoli. Il prezzo più basso attualmente è di INTEL che ha un prezzo che è un quindicesimo del prezzo delle azioni di UNITEDHEALTH, quindi il peso di INTEL nel DOW è un quindicesimo di quello del titolo maggiore. Non c'è alcuna base teorica per dare a UNITEDHEALTH 15 volte il peso di INTEL poiché il suo prezzo è 15 volte più grande. Immaginate cosa succederebbe se UNITEDHEALTH dividesse le sue azioni 2 per 1: il suo peso nel DOW verrebbe immediatamente dimezzato anche se, in realtà, non sarebbe cambiato nulla.

Inoltre, come detto, i pesi maggiori nelle 30 società del DOW sono assegnati a UNITEDHEALTH Group, che è la 15a più grande società quotata, e GOLDMAN SACHS, la 63a più grande. Insieme valgono come capitalizzazione circa mezzo trilione di dollari, ma muovono il listino più dei loro colleghi MICROSOFT, APPLE e AMAZON messi insieme, anche se i tre hanno un valore complessivo di oltre 7,5 trilioni di dollari. Il Dow è semplicemente una pessima misura, che dovrebbe essere ritirata.

Quando il DOW fu creato alla fine del 1890, la ponderazione del prezzo fu scelta non per ragioni teoriche ma per facilità di calcolo: il valore del DOW era semplicemente la somma dei prezzi delle azioni che lo componevano. L’S&P500, istituito alla fine degli anni ’50, è un indice ponderato per la capitalizzazione.

Nell’era delle dot-com, il DOW era la “vecchia economia” mentre l’S&P500 catturava la “nuova” economia dei titoli internet. Proprio come nel caso di NVIDIA oggi, le aziende trascurate dal DOW sono salite a guadagni sbalorditivi, mentre i dinosauri che erano diventati membri, decenni prima, hanno perso terreno. Pensate a CISCO Systems che nel 2000 quotava 82 $ e oggi ha perso l’89% del suo valore.

In termini di tempistica, la mossa intelligente è stata quella di vendere titoli selezionati dal comitato Dow in momenti di grandi cambiamenti. Il nuovo titolo o settore veniva in genere aggiunto tardi al Dow ed è stato spesso un segno che l'entusiasmo per esso era vicino al picco.

Alla fine del 1999, il ribilanciamento del DOW ha aggiunto MICROSOFT e INTEL per riflettere la crescente importanza del settore tecnologico. Dopo un breve periodo di rialzo, il crollo delle ‘dot-com’ ha lasciato entrambe al di sotto del prezzo al quale erano entrate nell’indice per altri 15 anni, con INTEL che attualmente è di nuovo più in basso rispetto a quando è entrata nel DOW, quasi 25 anni dopo.

Lo stesso accadde nel ribilanciamento del 1979, quando International Business Machines (IBM) ritornò nell’indice per rappresentare il settore tecnologico sempre più importante. Le sue azioni crollarono rapidamente e ci vollero 15 anni in modo sostenibile per superare il prezzo al quale entrò nell’indice.

La casa automobilistica CHRYSLER e l'azienda alimentare ESMARK, che se ne andarono con l'ingresso di IBM, hanno sovraperformato di gran lunga la stessa.

Il problema è che provare a scegliere solo 30 titoli azionari per rappresentare l’economia fa sì che il comitato di selezione resista all’inserimento di nuovi membri finché non hanno fatto così bene per così tanto tempo da non poter essere evitato. Nei momenti di svolta dell’economia ciò è rischioso perché è in quei momenti che i nuovi attori sono spesso fortemente sopravvalutati.

Per essere onesti, il comitato DOW spesso ha ragione. Anche come investimento nell’era delle dot-com, MICROSOFT alla fine si è rivelata vincente. Nel corso del tempo, il DOW si è comportato sorprendentemente come l’S&P500 dato che ha solo 30 titoli (anche se non abbastanza da giustificare l’attenzione riservatagli).

Lo spread medio semestrale tra l’S&P500 e il DOW negli ultimi 10 anni è di soli nove decimi di punto percentuale. Ma da due anni ad oggi lo spread si è sensibilmente ampliato tanto che il DOW negli ultimi sei mesi è rimasto indietro rispetto all'S&P500 di circa 12 punti percentuali. Ovviamente non è possibile trarre alcuna conclusione dall’attuale spread su come sarà il mercato nel complesso nei prossimi mesi.

Tuttavia, è possibile trarre una conclusione sulla probabile performance relativa nei prossimi mesi dei titoli ‘value’ e ‘growth’. Questo perché l'S&P500 è più vicino all'estremità ‘growth’ dello spettro ‘growth-vs-value’, rispetto al DOW. Poiché storicamente la leadership di mercato ha oscillato tra i due stili azionari, un ampio vantaggio dell'S&P500 è spesso seguito dall'esatto opposto (v. grafico):

La tabella sopra illustra quanto sia vicino l’indice S&P500 all’estremità dello spettro di crescita, elencando i rapporti di valutazione dei 10 titoli più grandi di quell'indice. Si noti che quasi tutti hanno gonfiato i rapporti P/E, prezzo/valore contabile e prezzo/vendite e depresso i rendimenti dei dividendi. Si noti anche dalla tabella che solo quattro di questi 10 maggiori titoli dell’S&P500 sono nel DOW.

Poiché molti di questi titoli più grandi fanno parte del cosiddetto gruppo ‘Magnificent Seven’ che ha fatto la parte del leone nella performance del mercato azionario da inizio anno, è facile capire perché c'è stato uno spread così ampio tra l'S&P500 e il DOW JONES. L'oscillazione tra crescita e valore è stata sicuramente osservata sulla scia dello scoppio della bolla di Internet nel 2000. Ad aprile 2001, poco più di un anno dopo il picco della bolla, il DOW era quasi 16 punti percentuali avanti rispetto all'S&P500 nel rendimento degli ultimi sei mesi. Si tratta di un'oscillazione straordinaria di circa 30 punti percentuali nei rendimenti relativi dei sei mesi, come mostra il grafico sottostante:

In conclusione, al momento sembra che il DOW abbia mancato un’altra svolta nei mercati e nell’economia in quanto la grande tecnologia domina il mercato azionario e non basta l’ammissione di AMAZON all’inizio di quest’anno (dopo che è quasi raddoppiata in 12 mesi) a suggerire agli investitori che l’indice punti ad una svolta nel mercato azionario. A meno che il comitato del DOW non voglia pensare ad un crollo dei titoli ‘growth’ a favore dei titoli ‘value’ per riportare la leadership in casa propria. Sarebbe un autogoal per l’economia mondiale.

Graficamente notiamo come la resistenza posta in area 39100/39200 faccia da attrattore per i prezzi nonostante le sortite più in alto in intraday. Pertanto, in prospettiva futura, al rialzo è importante che i prezzi chiudano più sedute sopra tale area per avere poi la possibilità di andare a testare nuovamente l’area dei 40000 punti e con un valore di RSI a 54 di spazio c’è né in abbondanza. Viceversa troviamo supporti in area 38800, 38500 ed infine 38000 sotto la quale lo scenario diventa pericoloso. La settimana si è chiusa a 39118.87 in sostanziale pareggio rispetto alla chiusura della scorsa settimana, il che porta ad un guadagno del + 3,80% rispetto alla chiusura del 2023.

ORO INDEX

L'oro è riuscito a mantenersi sopra l’area dei 2300 $/oz. nonostante la forza del Dollaro.

Le prospettive tecniche evidenziano l’indecisione delle quotazioni dell’Oro nel breve termine.

Il discorso del presidente della FED Powell e le pubblicazioni degli importanti dati macroeconomici USA potrebbero aiutare il metallo giallo a trovare la direzione in questa settimana.

L'Oro è stato sottoposto a pressioni ribassiste andando a testare il supporto dei 2300 $/oz. mercoledì dopo aver iniziato la settimana in modo calmo. La coppia, tuttavia, è riuscita a recuperare le sue perdite giovedì e si è stabilizzata sopra i 2.320$. Il discorso del Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, al Forum della Banca centrale europea (BCE) sul sistema bancario centrale a Sintra domani, martedì, e le principali pubblicazioni macroeconomiche di dati USA, incluso il rapporto sull’occupazione di giugno, potrebbero aiutare l’Oro a uscire dalla sua lateralità in settimana.

All’inizio della scorsa settimana, l’assenza di dati macroeconomici di alto livello, il cauto umore del mercato e i commenti non proprio benevoli dei funzionari della FED, hanno permesso al Dollaro Index di rimanere resiliente contro i suoi rivali e ha reso difficile per le quotazioni dell’Oro guadagnare consensi. Nel frattempo, nella giornata di martedì scorso, i dati pubblicati hanno mostrato che l’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board è sceso a 100,4 a giugno da 101,3 a maggio, mentre l’indice di situazione attuale è migliorato a 141,5 da 140,8 nello stesso periodo. Il governatore della Fed, Michelle Bowman, ha detto che non sono ancora al punto in cui è opportuno tagliare i tassi di interesse, aggiungendo che è disposta ad aumentare i tassi in una riunione futura se i progressi dell’inflazione dovessero bloccarsi o invertire. Ovviamente i rendimenti dei titoli del Tesoro USA a 10 e 30 anni hanno preso a salire, continuando a spingere al rialzo anche nella giornata di mercoledì, con i prezzi dell’Oro che andavano a testare il supporto in area 2300 $/oz. per la prima volta in due settimane.

Nella giornata di giovedì, le pubblicazioni di dati macro misti hanno aperto la porta ad un rimbalzo della commodity preziosa. Il Bureau of Economic Analysis ha annunciato di aver rivisto la crescita annualizzata del prodotto interno lordo (PIL) per il primo trimestre all'1,4% dall'1,3% della stima precedente. Mentre una nota negativa è arrivata dal dato Durable Goods Orders ex Defense diminuito dello 0,2% a maggio dopo essere rimasto invariato ad aprile, mentre il dato sulle vendite di case in attesa di essere consegnate hanno riportato un 2,1% su base mensile a maggio, evidenziando il peggioramento delle condizioni nel mercato immobiliare.

Infine nella giornata di venerdì il dato macro ‘clou’ della settimana con il BEA che ha riferito come l’inflazione negli Stati Uniti, misurata dalla variazione dell’indice dei prezzi delle spese per consumi personali (PCE), è scesa al 2,6% su base annua a maggio dal 2,7% di aprile, come previsto. Su base mensile, l’indice dei prezzi PCE è rimasto invariato a maggio, mentre l’indice annuale dei prezzi PCE core, che esclude i prezzi volatili del cibo e dell’energia, è aumentato del 2,6% nello stesso periodo, in calo rispetto all’aumento del 2,8% registrato ad aprile. Il Dollaro ha faticato a trovare domanda a seguito dei dati, consentendo all’Oro di mantenere i guadagni del giorno precedente ma senza ulteriori guadagni.

In questa settimana caratterizzata dalla festività dell’Independence Day, i dati ISM Manufacturing Purchasing Managers Index (PMI) per giugno saranno presenti nel docket economico degli Stati Uniti oggi, lunedì. Si prevede che il PMI principale migliorerà a 49 da 48,7 a maggio. Una lettura superiore a 50, che indicherebbe un ritorno all’espansione nell’attività commerciale del settore, potrebbe supportare il Dollaro e limitare il rialzo dell’Oro.

Martedì, il Bureau of Labor Statistics (BLS) rilascerà i dati di JOLTS Job Openings di maggio. È probabile che gli investitori ignorino questo rapporto e rimangano concentrati sul discorso del presidente della Fed Jerome Powell al Forum della BCE sulle banche centrali. Questa sarà la prima apparizione pubblica di Powell da quando ha parlato alla conferenza stampa dopo la riunione politica di giugno. Se Powell dovesse esprimere una preferenza per un singolo aumento dei tassi quest’anno, la reazione iniziale potrebbe fornire una spinta al Dollaro.

Mercoledì saranno pubblicati i dati settimanali iniziali sui senza lavoro, ADP Employment Change e i dati ISM Services PMI, ma gli investitori non potranno prendere posizioni in base a questi dati perché i mercati azionari e obbligazionari saranno già chiusi nel rispetto della festa del 4 luglio. Infine nella giornata di venerdì, ancora più importante, il BLS pubblicherà il rapporto sull’occupazione di giugno, che includerà i dati sui salari non agricoli (NFP), tasso di disoccupazione e inflazione salariale. A seguito dell’aumento più forte della previsione di 272.000 a maggio, il NFP dovrebbe aumentare di 180.000 a giugno. Il tasso di disoccupazione è visto mantenere stabile il 4% e l'inflazione salariale, misurata dalla variazione dei guadagni orari medi, dovrebbe crescere dello 0,3%, in leggero calo rispetto allo 0,4% di maggio. A meno che non ci sia una significativa revisione al ribasso dei NFP di maggio, un aumento di 200.000 o più a giugno potrebbe aiutare il Dollaro a superare i suoi rivali in vista del fine settimana. Mentre un aumento di meno di 150.000 persone potrebbe essere visto come un segno di allentamento delle condizioni nel mercato del lavoro e causare la perdita di interesse da parte del Dollaro. In quest’ultimo scenario, i prezzi dell’Oro potrebbero terminare la settimana con una nota rialzista.

Prospettive tecniche dell’Oro.

Settimana, quella appena trascorsa, di ulteriore consolidamento per le quotazioni del metallo giallo con i prezzi che hanno oscillato tra l’area di supporto dei 2300 $/oz. e l’area 2350 $/oz. per poi chiudere l’ottava nuovamente poco sopra l’area dei 2330 $/oz. Come detto in precedenza i dati macro sui consumi personali di maggio inferiori al mese di aprile non ha sorto benefici per le quotazioni così come sperato. Questa settimana in base alle pubblicazioni di importanti dati sul mercato del lavoro, sulle prospettive economiche delle PMI e sulle dichiarazioni di Powell al meeting della BCE, i prezzi dell’Oro potrebbero tentare un test dell’area di resistenza a 2400 $/oz. In caso contrario, importante è non scendere sotto il supporto dei 2300 $/oz.

Passando agli altri due metalli preziosi, i prezzi del Platino in controtendenza rispetto agli altri metalli industriali si è messo in evidenza testando e superando la resistenza psicologica dei 1000 $/oz. fino ad un massimo di 1040 $/oz. per poi chiudere l’ottava appena sopra la soglia psicologica. Gli eventi settimanali ci potranno dire se sia possibile la prosecuzione di tale rimbalzo che, con un livello di RSI a 53 di spazio ne ha in abbondanza. Viceversa, rimane sempre importante è non perdere il supporto dell’area 940 $/oz.

Scenario leggermente peggiore per le quotazioni dell’Argento. I prezzi non hanno tenuto l’area di supporto dei 29 $/oz. anche se poi sono riusciti a recuperare tale area e a chiudere l’ottava a 29,435 $/oz. con un massimo di 30 $/oz. In pratica la settimana si è chiusa percentualmente con una piccola perdita. Nessun segnale operativo dal livello di RSI a 49, mentre è da segnalare che i prezzi si sono poggiati sulla propria M.M. a 50 periodi, cosa che hanno fatto da marzo 2024. Discreto segnale di consolidamento anche se non proprio rialzista.

La quotazione settimanale dell’Oro si è chiusa a 2339.60 $/oz. con un guadagno del + 0,36% rispetto alla precedente settimana che porta ad un guadagno da fine anno del + 12,93%. La settimana della commodity in modalità spot si è chiusa a 2326.69 $/oz. Di seguito il grafico daily dell’ORO FUTURES AGOSTO 2024:

POLITICA USA

Il dibattito TV verso le elezioni presidenziali organizzato dalla CNN tra Donald Trump ed il Presidente in carica Joe Biden tenutosi giovedì scorso ha visto quest’ultimo non ben figurare, tanto che alcuni commentatori e raccoglitori di fondi hanno chiesto apertamente un nuovo candidato. Si vota a novembre, quindi i mesi a disposizione per mettere sul tavolo una nuova candidatura sono pochi. Secondo la CNBC, attualmente l’unico modo probabile per sostituire la candidatura del Presidente uscente è che sia lui stesso a chiudere volontariamente la sua campagna. I collaboratori di Biden e gli alti funzionari democratici sostengono che l’attuale inquilino della Casa Bianca non ha in programma una mossa di questo tipo. Michael Tyler, portavoce per la campagna elettorale, ha detto che non ci sono conversazioni in corso in merito alla possibilità di avanzare un’altra candidatura: “Preferiamo avere una brutta notte piuttosto che un candidato con una cattiva visione di dove vuole portare il paese”.

Ed anche le dichiarazioni rilasciate da Biden il giorno seguente al dibattito suggeriscono la volontà del Presidente uscente di portare avanti la campagna elettorale. Venerdì scorso ad un comizio Biden ha riconosciuto di non essere più giovane, di non camminare più facilmente come un tempo e di non dibattere così bene come una volta, ma ha aggiunto: “Non mi candiderei di nuovo se non credessi con tutto il cuore e l’anima di poter fare questo lavoro. La posta in gioco è troppo alta”.

L’ex Presidente Barack Obama in seguito al dibattito ha scritto in un post su X: “Cattive serate di dibattito accadono. Fidatevi, lo so. Ma questa elezione è ancora una scelta tra qualcuno che per tutta la sua vita ha lottato per la gente comune e qualcuno che si preoccupa solo di sé stesso. Tra qualcuno che dice la verità; che sa distinguere il bene dal male e lo darà direttamente al popolo americano – e qualcuno che mente tra i denti per il proprio beneficio. La scorsa notte non ha cambiato questo ed è per questo che la posta in gioco è così alta a novembre”.

In un comizio a Chesapeake, Virginia, Donald Trump ha parlato di una “grande vittoria contro un uomo che cerca di distruggere il nostro Paese” ed ha detto che il problema di Biden non è l’età, ma la sua competenza.

I dati Nielsen riportano che il dibattito presidenziale di giovedì è stato seguito da oltre 51 milioni di spettatori in TV. Dato in calo di circa il 30% rispetto ai 73 milioni di persone che avevano seguito il primo dibattito tra candidati nel 2020. Il prossimo dibattito che vedrà confrontarsi Biden e Trump è in programma per il 10 settembre e sarà ospitato da ABC News.

POLITICA DELLA FED

Il presidente della FED di San Francisco, Mary Daly, lunedì scorso ha sottolineato che sul tema dell’abbassamento dell’inflazione c’è ancora lavoro da fare, ma l’inflazione non è l’unico rischio presente. Daly ha spiegato che un’ulteriore riduzione dell’inflazione probabilmente richiederà un contenimento della domanda e mentre finora il tasso di disoccupazione rimane sotto livelli sostenibili di lungo periodo “il futuro rallentamento del mercato del lavoro potrebbe tradursi in un aumento della disoccupazione”. Daly quindi sostiene che la FED debba essere “vigile e aperta”. La numero uno della FED di San Francisco non ha comunicato quanti tagli dei tassi pensa che la banca centrale dovrà attuare per muoversi tra il rischio di un’inflazione che rimane troppo alta ed il potenziale di aumento della disoccupazione. Per Daly la politica deve essere pronta a diversi possibili percorsi, anche quello che prevede il mantenimento dei tassi nella loro attuale posizione più a lungo nel caso in cui l’inflazione dovesse deludere o quello che prevede un taglio dei tassi nel caso in cui il mercato del lavoro dovesse ammorbidirsi più del previsto. Daly ha anche detto: “se continuiamo a vedere un graduale calo dell’inflazione ed un lento riequilibrio del mercato del lavoro, allora potremo normalizzare la politica nel tempo, come molti si aspettano”.

Lisa Cook, membro del consiglio direttivo della FED, intervenendo martedì scorso ha detto che attualmente la politica della banca centrale è ben posizionata per rispondere a cambiamenti nella prospettiva economica. Inoltre, Cook ha detto: “Con significativi progressi sull’inflazione ed il graduale raffreddamento del mercato del lavoro, ad un certo punto sarà appropriato ridurre il livello di restrizione politica per mantenere un equilibrio sano nell’economia”. Per Cook la tempistica dell’aggiustamento dipenderà dall’evoluzione dei dati economici ed ha giudicato l’attuale posizione di politica monetaria “restrittiva”. Cook ha anche osservato che nell’ultimo anno i rischi di raggiungimento dell’obiettivo della FED in merito all’inflazione e all’occupazione si sono meglio equilibrati con il rallentamento dell’inflazione e l’attenuamento della rigidità del mercato del lavoro. In merito alle assunzioni, Cook ha detto: “molti indicatori suggeriscono che il mercato del lavoro è circa dove era prima della pandemia, teso ma non surriscaldato”. Cook ha anche sottolineato il peso che stanno assumendo le considerazioni sul mercato del lavoro nelle scelte che i funzionari della FED faranno sui tassi.

Giovedì scorso Michelle Bowman, membro del consiglio direttivo della FED, ha detto che non è ancora pronta ad esprimersi a favore di un taglio dei tassi con pressioni inflazionistiche che risultano ancora elevate. Bowman ha detto: “Nel caso in cui i dati in arrivo dovessero indicare che l’inflazione si sta muovendo in modo sostenibile verso il nostro obiettivo del 2%, alla fine diventerà appropriato abbassare gradualmente il tasso sui federal funds per evitare che la politica monetaria diventi eccessivamente restrittiva”. Il membro del consiglio direttivo della FED ha anche sottolineato che non si è ancora arrivati al punto in cui è appropriato ridurre il tasso di riferimento e che vede ancora rischi al rialzo per l’inflazione. Bowman si è detta disposta ad aumentare il target range riferito ai tassi sui federal funds ad un prossimo meeting nel caso in cui i dati dovessero mostrare una situazione di stallo o un’inversione sul progresso sull’inflazione. In precedenza, sempre la scorsa settimana, Bowman ha detto di non vedere tagli per quest’anno, con la possibilità di allentamento l’anno prossimo. Giovedì scorso, il membro del consiglio direttivo della FED ha aggiunto: “C’è anche il rischio che l’allentamento delle condizioni finanziarie dalla fine dell’anno scorso, che riflette i considerevoli guadagni nelle valutazioni azionarie, e l’ulteriore stimolo fiscale possano aggiungere slancio alla domanda, bloccando ogni ulteriore progresso o addirittura causando una riaccelerazione dell’inflazione”.

Il presidente della FED di Richmond, Thomas Barkin, venerdì scorso ha dichiarato che pur ritenendo che i rialzi dei tassi d’interesse effettuati finora dalla banca centrale saranno sufficienti a far scendere l’inflazione, la politica potrebbe non essere così rigida come si pensa. Per Barkin anche se l’inflazione delle merci è tornata a livelli pre-pandemici, fornitori di servizi potrebbero ancora avere spazio per spingere i prezzi verso l’alto.

DATI MACROECONOMICI

L’S&P/Case-Shiller Home Price Index rilasciato da Standard & Poor’s, che valuta le variazioni nel valore del mercato immobiliare residenziale in 20 regioni degli USA, a livello annualizzato ad aprile segna una crescita del 7,2% rispetto ad una crescita di marzo del 7,5% (rivista da +7,4%). A livello mensile ad aprile, invece, la crescita è del 1,4%, in rallentamento rispetto al +1,6% di marzo.

L’indice di prezzo delle case a livello mensile ad aprile cresce dello 0,2%, appena sotto al consensus del +0,3% e con un’accelerazione rispetto al +0,0% di marzo (rivisto da +0,1%). Il dato è rilasciato dall’Office of Federal Housing Finance Agency.

L’indice di fiducia dei consumatori elaborato dal Conference Board a giugno si attesta a quota 100,4 punti, poco sopra al consensus di 100,0 punti ed in flessione rispetto ai 101,3 punti registrati a maggio (rivisti da 102,0 punti).

Le vendite di nuove case a maggio sono state 619 mila, dato in calo dell’11,3% rispetto alle 698 mila vendite di case registrate ad aprile (riviste da 634 mila) e sotto al consensus di 640 mila. Il dato è rilasciato dall’U.S. Census Bureau.

Le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione nella settimana terminata il 22 giugno sono state 233 mila, in calo rispetto alle 239 mila della settimana precedente (riviste da 238 mila). Il dato è rilasciato dall’U.S. Department of Labor.

Il dato sulle vendite immobiliari in corso (che misura il cambiamento nel numero di case con contratto di vendita, ma in attesa della transazione di chiusura, escludendo le nuove costruzioni) a livello mensile a maggio segna un -2,1%, dopo un -7,7% registrato ad aprile. Il dato è rilasciato dalla National Association of Realtors.

Gli ordini di beni durevoli a maggio segnano un +0,1% su base mensile dopo un +0,2% registrato ad aprile (rivisto da +0,7%). Il dato è rilasciato dall’U.S. Census Bureau.

Gli ordini di beni strumentali non attinenti alla difesa esclusi gli aerei a livello mensile a maggio registrano un –0,6%, dopo che ad aprile avevano segnato un +0,3%. Il dato è rilasciato dall’U.S. Census Bureau.

L’indice di prezzo delle spese per consumi personali core (che esclude il settore del cibo e dell’energia) a livello mensile a maggio registra un +0,1% come indicato dal consensus e rallentando rispetto al +0,3% di aprile (rivisto da +0,2%).

A livello annualizzato, la crescita di maggio è del 2,6% (pari al consensus), anche in questo caso in rallentamento rispetto al +2,8% di aprile. I dati sono rilasciati dall’U.S. Bureau of Economic Analysis.

Il reddito personale a livello mensile a maggio sale dello 0,5%, appena sopra al consensus del +0,4% e dopo un +0,3% registrato ad aprile. Il dato è rilasciato dall’U.S. Bureau of Economic Analysis.

La spesa personale, invece, a livello mensile a maggio segna un +0,2%, rispetto ad un consensus del +0,3% ed una crescita di aprile dello 0,1% (rivista da +0,2%). Il dato è rilasciato dall’U.S. Bureau of Economic Analysis.

Il dato di giugno dell’indice di fiducia dei consumatori elaborato dall’Università del Michigan è pari a quota 68,2 punti, rispetto ad un dato preliminare di 65,6 punti ed una rilevazione di maggio di 69,1 punti.

Il Chicago PMI a giugno si attesta a quota 47,4 punti, realizzando un balzo in avanti rispetto ai 35,4 punti di maggio. Il dato è rilasciato da ISM-Chicago, Inc.

PORTAFOGLI AZIONARI

Settimana, quella appena trascorsa, all’insegna del nulla di fatto sugli indici azionari e sui titoli dei nostri Portafogli. Nel Portafoglio Storico GILEAD SCIENCES perde qualcosa dopo il gran recupero di due settimane fa; MONSTER BEVERAGES dopo l’OPA di stile ‘olandese’ sembra allontanarsi dalla zona di pericolo ma il cammino è lungo verso il profitto; DASSAULT SYSTEMES recupera qualcosa ma rimane sempre in zona pericolo in attesa delle nuove elezioni presidenziali francesi. FASTENAL sta lottando con la propria M.M. a 200 periodi e a questo punto si avvicina la data della trimestrale economica che potrebbe offrire impulso alle quotazioni, ovviamente in tutti e due i sensi di marcia; FORTINET in continuo laterale. Per quanto riguarda il titolo AIRBNB lo salutiamo visto che non ha intenzione di scendere sul nostro prezzo di acquisto. Ci abbiamo visto giusto ma nel trading non basta, un pizzico di c..o non avrebbe guastato. Amen.

Nel Portafoglio “The Challenge” molto bene il secondo lotto su KERING e su ADOBE che, tecnicamente, è riuscita a superare la propria M.M. a 200 periodi. Lateralità per quanto riguarda BREMBO mentre giovedì scorso vendite sul titolo CAMPARI che ha chiuso la settimana a disegnare un triplo minimo nel 2024. PARAMOUNT sempre in balia di una possibile acquisizione e forti critiche alla gestione della proprietà. DISNEY in discesa, fermata venerdì scorso dalla propria M.M. a 200 periodi, non un bel sengale. Pare risvegliarsi l’ETF WISDOMTREE_CLOUD_COMPUTING, quando il prezzo arriverà a pareggio decideremo il da farsi. Infine iniziamo a posizionarci sul titolo STELLANTIS se scende ancora qualcosa dalle attuali quotazioni.

Alla prossima.

FOCUS SU AZIONI

RIVIAN - VOLKSWAGEN - Rivian ottiene la cosa di cui ha più bisogno dal suo accordo con Volkswagen: denaro. Cosa Volkswagen riceve in cambio è meno chiaro.

Martedì le case automobilistiche hanno svelato un accordo volto a sfruttare i loro diversi punti di forza per correggere le rispettive debolezze in un settore sconvolto dall’ascesa dei veicoli elettrici.

I problemi di Rivian sono finanziari e operativi: ha veicoli elettrici ben recensiti ma continua a perdere soldi per produrli, il che la porta sulla strada della rovina. Volkswagen è un maestro della produzione su larga scala e genera ancora enormi flussi di cassa operativi (il consenso degli analisti è di circa 38 miliardi di dollari quest'anno), ma non ha ancora messo a punto il software complesso necessario per creare veicoli elettrici all'avanguardia.

Sovrapponendo queste due competenze si ottiene una situazione win-win, o almeno questa è la teoria. La realtà dipenderà in parte da quanto bene lavoreranno insieme in una joint venture proposta che nessuna delle due parti controllerà.

Nel caso di Volkswagen, c'è anche la questione cruciale dell'efficienza del capitale che da tempo pesa sul titolo. Potrebbe finire per investire 5 miliardi di $ in Rivian e nella JV. Se questo si aggiunge semplicemente agli investimenti interni, aggiungerà complessità e costi a un'organizzazione che ha un disperato bisogno di semplificazione.

La JV, che sarà gestita da co-amministratori delegati forniti da ciascuna azienda, si concentrerà sulla cosiddetta architettura elettrica dei veicoli elettrici. Questo è il sistema che collega e controlla l'elettronica del veicolo, sempre più tramite uno "stack software" in grado di fornire aggiornamenti over-the-air. Farlo bene rende i veicoli elettrici intelligenti oltre che elettrici. La tecnologia è più dura per le case automobilistiche della vecchia scuola rispetto alla semplice sostituzione dei motori a benzina con batterie e motori perché richiede un diverso tipo di ingegneria.

I veicoli elettrici Volkswagen come l'ID.4 sono stati elogiati per il loro hardware ma criticati per il loro sistema di infotainment, in particolare in Cina. L'anno scorso l'azienda ha investito nel produttore cinese di veicoli elettrici Xpeng per ottenere l'accesso al suo software per il mercato locale e l'accordo con Rivian segue uno schema simile.

Volkswagen inizierà dando a Rivian 1 miliardo di $ tramite una cambiale convertibile, con altri 2 miliardi di $ per ulteriori tranche di capitale l'anno prossimo e nel 2026, a determinate condizioni. Inoltre, la società tedesca investirà 1 miliardo di $ nella JV più avanti quest'anno, anche per garantire l'attuale architettura elettrica di Rivian. Un prestito di 1 miliardo di $ alla JV potrebbe seguire nel 2026.

Le azioni di Rivian sono aumentate del 36% nelle negoziazioni pre-mercato. Anche se i guadagni sono esagerati dalla copertura short e potrebbero diminuire, riflettono il rischio molto ridotto che gli investitori devono affrontare ora che la società ha un sostenitore strategico. Rivian, ha riportato una perdita netta di 5,4 miliardi di dollari l'anno scorso, e dovrebbe bruciare 4,1 miliardi di dollari in contanti quest'anno. L’accordo è arrivato in tempo per dare risposte migliori alle domande sulla sua sostenibilità finanziaria nell’investor day.

Le azioni privilegiate della Volkswagen, lo strumento su cui la maggior parte degli investitori istituzionali in Europa scambia, sono scese del 2% nelle contrattazioni di mezzogiorno di mercoledì. Ciò nonostante un guadagno cartaceo di circa il 50% su metà del suo investimento iniziale in Rivian, che si convertirà in azioni a un prezzo basato sui livelli precedenti alla presentazione dell'accordo. Gli investitori sono già stati scottati in passato dall'abitudine della Volkswagen di buttare soldi nei problemi.

L’azienda tedesca investe molto più denaro che genera rispetto ai suoi concorrenti. L’accordo con Rivian l’ha costretta a tagliare le sue linee guida per il free cash flow automobilistico dopo le acquisizioni a soli 3,5 miliardi di euro a metà, equivalenti a 3,7 miliardi di dollari. General Motors prevede di generare 9,5 miliardi di dollari a metà strada vendendo solo due terzi dei veicoli.

Se le partnership con Rivian negli Stati Uniti e Xpeng in Cina riusciranno a fornire veicoli di prim’ordine, sarà una vittoria per Volkswagen. Per trasformare ciò in una vittoria per i suoi investitori, però, l’azienda tedesca dovrà anche limitare gli investimenti software in patria per evitare i soliti sprechi e duplicazioni. Per un’azienda con una grande partecipazione statale e un sindacato insolitamente dominante, questa potrebbe essere la parte più difficile.

NIKE –  Ha avuto difficoltà nell'ultimo trimestre, perdendo terreno nel suo mercato chiave, quello della corsa. Giovedì, l'azienda produttrice di scarpe da ginnastica e abbigliamento ha pubblicato un fatturato trimestrale in calo, a causa di un calo significativo delle vendite nel suo importante segmento di calzature in Nord America. L'azienda ha affermato che le vendite di calzature in Nord America sono diminuite del 6%, attestandosi a 3,59 miliardi di dollari, con un calo dell'1% delle vendite nel mercato nel suo complesso. Nike scommette che una nuova linea di scarpe darà una spinta all'evento in occasione delle Olimpiadi di Parigi di quest'estate. L'azienda ha inoltre adeguato le sue previsioni per l'anno fiscale 2025 in base alle sfide del trimestre, ha affermato il direttore finanziario Matthew Friend. Venerdì scorso le azioni Nike sono crollate del 20%.

PARAMOUNT GLOBAL – Lunedì scorso Paramount Global ha fatto sapere che sta aumentando i costi di abbonamento per i suoi servizi di streaming di punta. Come sottolineato da Reuters, l’aggiornamento dei prezzi arriva in un momento in cui secondo fonti si sarebbero interrotti i colloqui di fusione che vedevano coinvolti il presidente non esecutivo di Paramount Global, Shari Redstone e la Skydance Media di David Ellison circa una possibile cessione della quota di controllo di Redstone in Paramount Global alla società di produzione. Per i nuovi utenti dal 20 agosto e per i clienti attuali dal 20 settembre, Paramount+ con il piano Showtime avrà un aumento di 1 dollaro. Paramount+ Essential, invece, dal 20 agosto avrà un aumento di 2 dollari per i nuovi abbonati, mentre per gli attuali utenti del piano il costo resterà di 5,99 dollari al mese. Per gli attuali clienti aumenterà di 1 dollaro dal 20 settembre il prezzo di abbonamento dell’opzione commerciale limitata Paramount+.

LUFTHANSA – Carsten Spohr, amministratore delegato di Lufthansa, giovedì scorso, come riportato da Reuters, ha detto che la carenza di aeromobili potrebbe costare alla compagnia aerea circa 500 milioni di euro all’anno. Lufthansa ha ordinato 250 nuovi velivoli da Airbus e Boeing, con consegne previste tra il 2024 ed il 2029. Spohr tuttavia ha detto “nessun aereo arriva in tempo”, aggiungendo che circa 100 dei 750 aerei di Lufthansa sono stati messi a terra per motivi di manutenzione o perché dismessi. Airbus la scorsa settimana ha abbassato le sue previsioni per le consegne di quest’anno, passando da circa 800 a circa 770 jet. Una serie di incidenti alla Boeing, invece, ha aumentato il controllo normativo dell’azienda, aggiungendosi ai ritardi nelle consegne partiti durante la pandemia.

WALT DISNEY – Ieri, domenica, Walt Disney Co ha fatto sapere che il film Pixar “Inside Out 2” ha superato quota 1 miliardo di dollari al botteghino a livello mondiale in meno di tre settimane dalla sua uscita. Disney ha detto che si tratta del film di maggior incasso dell’anno e l’unico a superare il miliardo di dollari.

PUBBLICAZIONE DELLE TRIMESTRALI ECONOMICHE SUI TITOLI DEL NASDAQ100 USCITI NELLA SCORSA SETTIMANA.

MICRON TECHNO – 5,74%. L'azienda è un produttore e distributore di memorie e storage DRAM, NAND Flash e NOR, sensori di immagine CMOS e altri componenti a semiconduttore, ha riportato una perdita nel terzo trimestre fiscale 2024 pari a 0,56 $/az. su un fatturato di 6,81 mld $. La stima degli analisti era per utili pari a 0,51 $/az. su un fatturato pari a 6,64 mld $. I ricavi sono cresciuti del 81,53% su base annua. La società ha detto che prevede utili nel quarto trimestre fiscale 2024 tra 1,00 e 1,16 $/az. su un fatturato tra 7,40 e 7,80 mld $. L'attuale stima degli analisti per gli utili è pari a 1,05 $/az. su un fatturato di 7,60 mld $.

Sanjay Mehrotra, Presidente e CEO della società, ha affermato: “La robusta domanda di intelligenza artificiale e il forte lavoro hanno consentito a Micron di generare una crescita sequenziale dei ricavi del 17%, superando le nostre previsioni nel terzo trimestre fiscale. Stiamo guadagnando quote in prodotti ad alto margine come High Bandwidth Memory (HBM) e i ricavi dagli SSD dei nostri data center hanno raggiunto un livello record, dimostrando la forza del nostro portafoglio di prodotti AI su DRAM e NAND. Siamo entusiasti dell’espansione futura delle opportunità basate sull’intelligenza artificiale e siamo ben posizionati per fornire un sostanziale record di ricavi nell’anno fiscale 2025. A livello contabile nel terzo trimestre fiscale 2024 abbiamo riportato: ricavi pari a 6,81 mld $ rispetto ai 3,75 mld $ dello stesso periodo dell'anno scorso; un margine lordo pari a 1,917 mld $ o il 28,1% dei ricavi; spese operative pari a 976 mln $, un reddito operativo pari a 941 mln $ o il 13,8% dei ricavi; un utile netto pari a 702 mln $, ovvero 0,62 $/az. Il flusso di cassa operativo è stato pari a 2,48 mld $ rispetto ai 24 mln $ dello stesso periodo dell'anno scorso. Il flusso netto di cassa è stato pari a 425 mln $ contro una perdita pari a 1,355 mld $ dello stesso periodo dell'anno scorso. Abbiamo chiuso il terzo trimestre del 2024 con liquidità, investimenti negoziabili e liquidità vincolata pari a 9,22 mld $. Il 26 giugno 2024, il nostro CdA ha approvato un dividendo trimestrale di 0,115 $/az., pagabile in contanti il ​​23 luglio 2024, agli azionisti registrati alla chiusura delle attività l'8 luglio 2024.”

PAYCHEX – 5,88%. La società è un fornitore americano di risorse umane, buste paga e servizi di outsourcing di benefit per le piccole e medie imprese, ha riportato utili nel quarto trimestre fiscale 2024 pari a 1,12 $/az. su ricavi per 1,30 mld $. La stima degli analisti per gli utili era pari a 1,10 $/az. su ricavi per 1,30 mld $. Il fatturato è cresciuto del 5,33% su base annua. La società ha dichiarato di aspettarsi utili per tutto l'anno fiscale 2025 tra 4,96 e 5,05 $/az. su ricavi tra 5,49 e 5,57 mld $. L'attuale stima degli analisti per gli utili è pari a 4,97 $/az. su ricavi per 5,55 mld $.

Il Presidente e A.D. della società, John Gibson, ha commentato: "Mentre chiudiamo l'anno fiscale, sono lieto di annunciare che Paychex ha prodotto solidi risultati finanziari, riflettendo la nostra capacità di navigare in mutevoli condizioni di mercato fornendo soluzioni innovative di tecnologia e consulenza HR che offrono valore ai nostri clienti e ai loro dipendenti e trovando continuamente modi per operare in modo più efficiente come azienda. Nell'anno fiscale 2024, abbiamo ottenuto una crescita del 5% nel fatturato totale e una crescita dell'11% negli utili per azione. Questi risultati sono una testimonianza del duro lavoro e della dedizione dei nostri oltre 16.000 dipendenti e degli investimenti che abbiamo fatto nelle soluzioni tecnologiche e di consulenza. Le piccole e medie imprese continuano ad affrontare un ambiente operativo difficile a causa di normative complesse, un mercato del lavoro ristretto e pressioni inflazionistiche. Il nostro scopo resta quello di aiutare queste aziende ad avere successo e crediamo di essere ben posizionati per raggiungere questo obiettivo. A livello contabile nel quarto trimestre fiscale 2024 abbiamo riportato: ricavi totali sono aumentati a 1,3 mld $; spese totali sono aumentate del 5% a 813,3 mln $; un reddito operativo cresciuto del 15% a 521,3 mln $; un margine operativo del 40,2% rispetto al 36,9% per lo stesso periodo dell'anno precedente; un utile netto pari a 404,1 mln $ in aumento del 15% per un utile per azione aumentato del 15% a 1,12 $/az. Al 31 maggio 2024, avevamo contanti, contanti vincolati e investimenti aziendali totali pari a 1,6 mld $. Prestiti a breve e lungo termine, al netto dei costi di emissione del debito, pari a 817,3 mln $. Durante l'anno fiscale 2024 abbiamo pagato dividendi cumulativi pari a 3,65 $/az., per un totale di 1,3 mld $, con un rapporto di distribuzione dei dividendi pari al 78% dell'utile netto. Infine abbiamo riacquistato 1,5 milioni di azioni ordinarie pari a 169,2 mln $.”

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