E’ di poco tempo fa l’annuncio di Jean Pierre Mustier (CEO del gruppo Unicredit) in merito al fatto che Unicredit si prepara a fare da apripista in Italia imponendo dal 2020 tassi negativi sui conti correnti per le giacenze superiori ad 1 Mln Euro. Per i privati tale misura sarà del tutto trascurabile, poiché i Paperoni non sono molti, ma in ambito corporate le aziende con tesoreria potrebbero avere dei contraccolpi.
Poi, a ben guardare, Unicredit non è a tutti gli effetti la prima in Europa a muoversi in questa direzione, che è già una realtà in UBS e in diverse banche tedesche. Naturalmente Mustier si è premurato di dire che “offriremo ai clienti soluzioni alternative ai depositi come ad esempio investimenti in fondi di mercato monetario senza commissioni e obiettivi di performance in territorio positivo” definendo tale strategia “Un'alternativa perfettamente accettabile”.
Tralasciando le eventuali argomentazioni di natura squisitamente “etico-tecniche”, vi è indubbiamente un aspetto che riguarda la fiscalità non indifferente. Infatti, come funzionerebbe sul piano fiscale l’applicazione di tassi negativi alle giacenze liquide?
Domanda non peregrina, poiché a ben guardare il fisco sui nostri risparmi mangia già lautamente (e in alcuni casi anche fraudolentemente…), poiché applica l’imposta di bollo da 34,20 euro l’anno sulle giacenze sopra i 5.000 euro per i conti correnti, lo 0,20% per i conti deposito, il 26% sui ogni provento di natura finanziaria – ad eccezione del 12,50% imposto sui rendimenti dei titoli di Stato e alle aliquote di favore fissate per i prodotti di tipo previdenziale – e sottrae quindi oltre un quarto degli interessi e degli utili maturati annualmente.
Ma se io pago interessi negativi non ho un imponibile da tassare, per cui che succede? Poiché questa è una svolta epocale e non esistono precedenti, non esiste una norma che regoli questi aspetti. Tuttavia, nel caso degli interessi passivi per mutui, ad esempio, vi è la possibilità di una detrazione per cui è ragionevole supporre che la stessa applicazione sia assimilabile ai tassi negativi sui conti correnti? Oppure, è peregrino immaginare che il costo sostenuto si tramuti in un credito d’imposta, al pari di quanto accade con le minusvalenze, che potrebbe essere utilizzato entro 5 anni compensandolo con imposte sui proventi finanziari?
Naturalmente ora nessuno sa ancora cosa succederà, e come sempre staremo a vedere.
Cambiando completamente discorso, apprendiamo da un comunicato della casa di gestione controllata da Natixis che alcuni fondi H2O potranno avere più leva. I fondi interessati da questa modifica sono H2O Adagio, H2O Moderato e H2O Largo, di cui l’Adagio è nel nostro portafoglio con un risultato di tutto rispetto.
In base a quanto comunicato la leva su Adagio passerà da 1 a 6: sia chiaro, non in via automatica bensì il gestore si riserva la facoltà di arrivare o meno al limite massimo consentito. Bisogna cercare di capire, semmai, il perché di questa scelta, posto che è normale che in prima battuta l’aumento della leva appare come un aumento del rischio.
Tralasciando gli aspetti più tecnici e normativi, andiamo al sodo della questione e ragioniamo sul fatto che i fondi c.d. alternativi possono utilizzare la leva a mezzo dei derivati anche per finalità di investimento e non solo per esigenze di copertura. Cerchiamo pertanto di capire a quale pro la casa di gestione ha adottato questa scelta. Innanzitutto, ripetiamo, l’annuncio di aumentare la leva non comporta in automatico un cambio di strategia dei comparti interessati. Intanto va considerato che spesso e volentieri la leva è molto utilizzata per le operazioni in valuta e per gli arbitraggi.
Ed è questo il focus su cui H2O è forte, come sappiamo. Non di meno, da qualche settimana l’impostazione a livello strategico sui mercati obbligazionari pare stia cambiando e non è da escludere che in H2O si stiano preparando per un eventuale cambio di rotta sui mercati obbligazionari e valutari. Per cui, posto che non è assolutamente detto che i rischi aumentino davvero in modo significativo e soprattutto non è detto che il rialzo della leva sia sistematicamente utilizzato su tutti i comparti in parola sino al loro livello massimo.
Il track record dei fondi H2O è assolutamente invidiabile e le abilità dei gestori altrettanto evidenti: teniamo sotto osservazione con calma e valutiamo eventuali cambiamenti al nostro portafoglio in base alle risultanze dell’andamento del fondo in oggetto, che ad ogni buon conto sta macinando buoni utili.
Tornando al nostro portafoglio, dopo il nuovo massimo storico toccato a inizio mese, e dopo aver tirato un po’ il fiato, siamo di nuovo lì sul massimo storico. Il nostro NAV infatti vale oggi, ai prezzi correnti di mercato, 117,65 contro i 117,66 di due settimane fa. Il progresso ad oggi incassato è quindi ben stabile ed è sempre ben sopra il 6,00% da inizio anno e ora sopra all’8% dai minimi di novembre 2018. La performance cumulata si mantiene ben stabile intorno al 9%, considerando che a febbraio del 2016 il NAV iniziale del portafoglio valeva 107,99 e che contro i 117,65 attuali porta ad un risultato complessivo dell’8,95%.
Portafoglio come di consueto aggiornato nell’apposita sezione.