Aggiornamento portafoglio: inarrestabile…


Il titolo di questo articolo è ambivalente. Infatti, si riferisce sia al debito pubblico italiano, che a febbraio ha registrato un nuovo record sia al nostro portafoglio, che da metà marzo è salito quasi verticalmente senza sosta.

Ma occupiamoci del nostro debito pubblico, e vediamo se dobbiamo iniziare a strapparci i capelli oppure se in questo caso vi sono differenze rispetto al passato. Passato che ci riporta a inizio anni ’90, perché è lì che siamo tornati.

Come detto poco sopra, a febbraio lo stock è salito di 36,9 miliardi, portandosi a 2.643,8 miliardi di euro complessivi, segnando un nuovo record storico. Va però detto che l’incremento è stato dovuto in larga parte all’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (27,8 miliardi), mentre il fabbisogno dello Stato si è fermato a 9,2 miliardi. E fin qui nulla di strano, perché è normale che il Tesoro accumuli liquidità nella prima parte dell’anno.

Tutto a posto quindi?

No. Il quadro rimane poco confortante: con l’ultimo scostamento di bilancio da 40 miliardi di euro (che potrebbe salire fino a 43 miliardi, secondo alcune indiscrezioni di stampa), il deficit nel 2021 si attesterebbe tra il 10% e l’11% del PIL. Non di meno il rapporto debito/PIL non scenderebbe e il disavanzo resterebbe nei pressi dei livelli del 2020 (10,8%). Di fatto cifre che non si vedevano da inizio anni ‘90. Giusto per termine di paragone, nel 2009 (anno di crisi finanziaria mondiale), il “buco” dei conti pubblici è stato la metà di quello registrato lo scorso anno.

Stiamo per saltare per aria?

No. Per nostra fortuna, ci sono delle differenze sostanziali rispetto a trent’anni fa, non ultima quella che ha visto i deficit di tutta Europa lievitare sotto i colpi della pandemia, che ha affossato un trentennio di benessere. Andando con ordine, nel 1991 la composizione del deficit era ben diversa da quella dei giorni nostri. A quel tempo, infatti, il saldo primario dello Stato risultava nullo, mentre la spesa per interessi coincideva totalmente con il disavanzo.

Ma già a partire dal 1992 l’Italia ha sempre registrato avanzi primari, salvo nel 2009, nel 2020 e, naturalmente come andrà nel 2021. Conti alla mano, l’ultimo bilancio pubblico mostra una spesa per interessi pari al 4% del PIL e un disavanzo primario vicino al 7%. Ma come detto, sappiamo bene cosa ci ha riservato il 2020 ed è evidente come il Covid abbia fatto “saltare” i conti pubblici, accelerando la corsa del debito.

Ma da un lato gli interessi sono variati di poco in valore assoluto e saliti in percentuale solo il semplice collasso nominale del PIL, innescato dai lockdown imposti per fronteggiare la pandemia. Non è tutto. Un’altra grossa differenza tra gli anni ’90 e i giorni nostri riguarda il c.d. tasso implicito, cioè il rapporto tra spesa per interessi e debito pubblico.

Era sopra l’11% nel 1991, mentre era al 2,5% nel 2020. Attenzione: anche al netto dell’inflazione le conclusioni non cambiano: infatti, abbiamo un 4,5% di tasso implicito reale nel 1991, e dell’1,5% nel 2020. E per concludere, osservando il tasso medio reale all’emissione dei nuovi titoli, questo risultava intorno al 4,5% trent’anni fa, mentre nel 2020 si è attestato al -0,50%.

Conclusione: stiamo continuando ad indebitarci ma a tassi calanti, ragione per cui la spesa per interessi è destinata a contrarsi in valore assoluto e percentuale, salvo mutamenti sfavorevoli, repentini e pesanti del PIL nominale. Rebus sic stantibus, rispetto ai ’90 riusciamo a raccogliere capitali sul mercato a costi nettamente inferiori, oltre ad aver allungato la vita media del nostro debito, portandola dai 3 anni ai 7 anni.

Però attenzione: quando la pandemia sarà finita (e sarebbe già anche ora…) saremo condannati a crescere sul serio, se no saranno dolori. Se cresciamo, l’eventuale rialzo dei rendimenti avrebbe un impatto non troppo marcato sui conti pubblici; se non cresciamo…

Torniamo ora ad occuparci del nostro portafoglio che prosegue la sua marcia senza sosta in modo impressionante. Non solo siamo su un nuovo massimo storico ma in meno di un mese abbiamo avuto un upside dell’1,21%.

Infatti, siamo passati da un NAV a 102,75 ad un NAV di 103,99 nuovo massimo storico. Il precedente massimo storico, registrato appena una settimana fa, vedeva un NAV a 103,61 e il precedente a 103,06. E così, il nostro portafoglio, al close di ieri, valorizza un NAV di un soffio sotto 104, con una performance su base annua che è volata al +3,88% rispetto al precedente +3,60%.  Stabile la volatilità, sempre intorno all’1%.

Tabella e grafico dell’equity line aggiornate nella consueta sezione “Portafoglio”, ove è stata anche aggiornata la sintesi dei rendimenti storici di “Rischio Contenuto”.