Mercato obbligazionario: esplodono i rendimenti


Abbiamo chiuso il 2021 con il faro puntato sull’inflazione, soprattutto negli USA, e anche il 2022 si apre con le possibili conseguenze derivanti dall’esplosione dei prezzi al consumo, visto il tenore delle ultime minute dei verbali della FED, che hanno mandato KO i mercati nella prima settimana di gennaio.

Ed è inutile negare che il tira e molla su tassi di interesse e sulle decisioni delle Banche Centrali legate alla tempistica del ritiro delle misure di sostegno è l’elemento cardine che condizionerà il cammino dei mercati obbligazionari e azionari nei prossimi 12 mesi, creando inevitabilmente episodi di elevata volatilità negativa.

Ma andiamo con ordine. Di fatto la FED ha spento gli entusiasmi sui listini mercoledì 5 gennaio, mandando il rally dei mercati a sbattere contro il muro dell’ipotesi di accelerazione del rialzo sui tassi, oltre alle tensioni geopolitiche che hanno spinto il greggio a 80 dollari al barile.

Infatti, nei verbali della sua ultima riunione la FED ha mostrato un tono decisamente più duro del previsto, ipotizzando un’accelerazione del rialzo dei tassi per frenare l'inflazione USA. Naturale che questa ipotesi abbia mandato in rosso tutti i principali listini europei, facendo volare i rendimenti dei mercati obbligazionari. E’ l'effetto combinato di nuove restrizioni – dovute al diffondersi della variante Omicron – e del minor sostegno all'economia da parte delle Banche Centrali a spaventare gli investitori.

Sta di fatto che, anche se a parer nostro non del tutto inattesa, la FED sfodera la sua versione “falco”, facendo traballare i mercati. Infatti, dai verbali FED emerge la previsione di tre rialzi dei tassi nel 2022, ma la vera novità riguarda la rapida riduzione del bilancio FED, dopo l'espansione senza precedenti avvenuta durante la pandemia che ha portato il valore degli asset detenuti a 8.800 Mld di dollari.

La Banca Centrale americana ha prospettato che oltre ad aumentare i tassi di interesse prima del previsto, potrebbe anche ridurre i titoli detenuti in portafoglio, sempre con lo scopo di domare l’elevata inflazione. Questo ha naturalmente provocato anche la rapida risalita dei tassi dei titoli governativi, con il Treasury Usa decennale all’1,7% di rendimento, cosa che non si registrava dallo scorso marzo.

Ed è probabilmente questa prospettiva di tapering “accelerato” che ha scombussolato il precario equilibrio dei bond, visto che già nell’articolo del mese di dicembre scorso avevamo ampiamente anticipato che il mercato già scontava tre rialzi dei tassi da 0,25% ciascuno entro la fine del 2022, contro i due precedentemente attesi.

E l’Europa?
Come già osservato il mese scorso, ormai c’è uno scollamento totale tra la politica monetaria della BCE rispetto alle altre Banche Centrali, come sottolinea anche Melvyn B. Krauss, professore emerito di economia alla New York University, in un recente articolo.

Infatti, come sappiamo, le principali Banche Centrali del mondo hanno cambiato marcia e annunciato piani per inasprire la politica monetaria, salvo la BCE che non intende alzare i tassi di interesse nel 2022, pur pienamente conscia dei rischi oggi legati alla forte inflazione.

E il quadro non è per nulla confortante, visti gli ultimi dati sull’inflazione tedesca, in crescita al 5,3% annuo a dicembre e ben oltre le attese, anticipando un dato altrettanto robusto in arrivo per l’intera area euro, le cui attese medie si attestano per un incremento del 4,9%.

Tuttavia, mentre la FED ha già preannunciato tre aumenti dei tassi per il 2022 e la Bank of England ha già alzato il tasso di riferimento principale di 15 bps, alla BCE tutto tace. E su questa considerazione si innestano le domande di Krauss, il quale si chiede se la posizione “morbida sull'inflazione” della BCE sia davvero anomala, oppure se davvero non abbia ragione il principale tabloid tedesco Bild a soprannominare la presidente della Bce Christine Lagarde “Madame Inflation”?

La risposta si trova, giocoforza, nella struttura genetica della UE, che è profondamente diversa da USA e UK, oltre al fatto che la tradizionale visione tedesca secondo cui l'inflazione è l’unica cosa che conta nella politica monetaria della BCE è irrimediabilmente obsoleta nell'Europa del 2022.

Infatti, la Lagarde sa sin troppo bene che ritirare gli stimoli monetari dopo una profonda crisi è un compito delicatissimo e piuttosto arduo. Come non considerare che un'impennata troppo repentina dei tassi di interesse potrebbe distruggere l'unione monetaria facendo lievitare gli oneri finanziari e soffocando la ripresa degli Stati membri fortemente indebitati come Italia, Spagna e Grecia?

Naturalmente alla BCE nessuno ignora questo terribile scenario, che gli economisti chiamano “rischio di frammentazione”. Ma il vero problema è che la frammentazione dell'area valutaria è un problema congenito della zona euro, perché, a differenza della FED e della Bank of England – entrambe sostenute da un'unica autorità fiscale – la Bce deve operare con 19 autorità fiscali indipendenti.

Sotto questo profilo, pertanto, si comprendono molto meglio le parole della Lagarde durante la conferenza stampa di dicembre, dove ha spiegato che “il gradualismo è necessario per evitare una brutale transizione verso una politica monetaria più restrittiva”.

Va però tenuto conto anche delle pressioni teutoniche, che per voce di Christian Lindner (il nuovo ministro delle finanze tedesco), Berlino teme che la sensibilità della BCE agli oneri finanziari degli Stati membri fortemente indebitati porti al ritiro degli stimoli troppo lentamente.

Ma ammesso e non concesso che Lindner abbia ragione, la mission irrinunciabile della BCE è quella di mantenere intatta l'unione monetaria, ed è quindi del tutto normale che la Lagarde non abbia fretta di inasprire la politica monetaria.

Per fare un paragone di carattere medico, Lagarde non vuole affrettare il percorso di disintossicazione di un tossicodipendente da una droga potente. Non solo: la cautela deve essere massima, perché le politiche di stimolo della BCE hanno avuto un potente effetto sull'economia, che ora è dipendente dalle politiche di stimolo.

L’esperienza politica della Lagarde le permette di capire molto bene che in una regione che ha creato un Recovery Fund da 750 Mld di euro con lo scopo di tenere insieme l'unione monetaria, una politica monetaria che minacci di dividere l’unione sarebbe un disastro. Per dirla con Krauss, “un approccio sconsiderato tanto politicamente quanto economicamente”.

Ed è inutile negare che – come osserva Krauss – la fonte potenziale di maggior rischio di frammentazione è purtroppo l'Italia, gravata dai suoi 2.600 Mld di euro di debito pubblico e una lunga storia di instabilità politica. E l’andamento dello spread in questi primi giorni di gennaio lo sta indicando chiaramente, probabilmente un po’ sollecitato anche dal timore che Draghi possa abbandonare il timone e approdare al Quirinale.

Infatti, è sotto gli occhi di tutti che sinora gli investitori hanno dimostrato soddisfazione nella leadership del nostro presidente del Consiglio, ma è chiaro che temono un ritorno dell'instabilità politica nel caso in cui Draghi scegliesse di perseguire la carica di presidente della Repubblica.

Va da sé che l’impegno della Lagarde nel gestire il rischio di frammentazione della zona euro sarebbe molto più agevole se Draghi restasse in carica al governo fino alla scadenza del suo mandato nel 2023. Ed è probabile che sarà così, visti anche gli “incoraggiamenti” che giungono da Bruxelles e Berlino, dove ben sanno che avrebbero da perdere molto anche loro.

Ora, non possiamo sapere cosa farà Draghi, ma speriamo che la scelta – quale che sia – sia funzionale allo scongiurare strappi all’interno della UE.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra questo mese un deciso aumento dei rendimenti su tutto il tratto della curva, spinti dai timori sull’avvio di politiche monetarie restrittive a causa dell’inflazione che galoppa. Infatti, rispetto alla scorsa analisi il rendimento della scadenza a 10 anni esplode al rialzo portandosi poco sotto area 0,40% rispetto allo 0,18% di un mese fa, mentre la scadenza trentennale è anch’essa volata al rialzo portandosi allo 0,53% rispetto allo 0,33% del mese scorso.

Torna quindi ad irripidirsi con decisione anche la curva, con la parte a breve e medio ora con inclinazione positiva molto marcata, per poi rimanere piatta dalle scadenze 2037 e assumere inclinazione negativa sulle scadenze più lunghe. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze 2040-2045, in aumento rispetto alla scorsa analisi, passando all’attuale area 0,60% dal precedente 0,38% di rendimento.

Ben mossi anche i tassi forward su Euribor 6 mesi (Fig.2) sia sul tratto a breve sia su quello a lunga. Se da un lato la curva fornisce sempre previsione di tassi positivi nel 2024, la parte a breve è ora molto ripida con una forte accelerazione nel 2023 e sino al 2025, per poi crescere più gradualmente. In salita anche il tratto a lunga con un picco ora poco sotto area 1,00% per il tratto 2031-2035 per poi scivolare in area 0,80% per scadenze al 2038.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali (Fig.3), il quadro si mostra in rapida evoluzione su tutte le aree valutarie, con importanti allargamenti dei rendimenti sui benchmark decennali. Al momento, il nostro modello Trendycator non ha ancora segnalato variazioni, ma la dinamica dei grafici suggerisce che potremmo essere ad una svolta a livello strategico, rispetto al mese scorso. D’altra parte, già nella scorsa analisi mettevamo in evidenza come potesse essere lecito attendersi una risalita dei rendimenti, in base all’orientamento delle Banche Centrali, FED in testa a tutte.

L’area UK, dopo aver visto i rendimenti del GILT correggere sino ad area 0,70% è esplosa verso l’alto volando sino al contatto di area 1,20%, massimi di fine 2021, con Trendycator da qualche settimana su NEUTRAL. Anche il BUND vede un’esplosione dei rendimenti, schizzando al rialzo da area -0,32% del mese scorso all’attuale -0,04%, oltre i massimi del 2021, con modello Trendycator sempre in stato NEUTRAL. Un po’ meno violenta l’ascesa dei rendimenti del nostro Btp che si porta ora intorno ad area 1,30% di rendimento, con Trendycator che consolida lo stato LONG ormai da oltre due mesi. Infine, l’area USA che segue lo stesso copione con i rendimenti del Treasury decennale diretti verso 1,80%, a contatto con i massimi del 2021 e con Trendycator sempre fermo su NEUTRAL.

Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Analisi in evidenza
Proseguiamo la nostra consueta analisi del cambio EUR/USD (Fig.5), importante valuta di riferimento per gli investimenti sul reddito fisso, vista la grande varietà di bond denominati in questa valuta. Come immaginavamo nella scorsa analisi, il cambio EUR/USD è in piena fase di consolidamento nell’intervallo 1,12-1,14 dopo la lunga discesa che lo ha portato dai massimi di fine maggio 2021 in area 1,22 sino al minimo poco sotto area 1,12 verso fine novembre 2021.

Il quadro macro, rispetto al mese scorso, non è cambiato per nulla, anzi. Come visto in apertura di articolo, le minute della FED mostrano un atteggiamento ancor meno “dovish” rispetto alle attese, con un’inflazione che non accenna a mollare la presa. Restano quindi valide le ragioni per le mani forti del mercato di un dollaro forte e in progressivo rafforzamento, che riprenderebbe spinta alla rottura del supporto in area 1,12 testato sul finire del 2021.

Il modello Trendycator, sempre ben impostato su SHORT, indica che la fase di consolidamento sul cambio EUR/USD tra 1,12 e 1,14 non è ancora terminata, con possibili allunghi sino a 1,15 diventato ora forte resistenza. L’obiettivo, alla ripresa del trend a favore del dollaro contro euro, è sempre l’area 1,06-1,05 che identifica importanti minimi di medio e lungo termine.