Dollaro in retromarcia


EurUsd (PC: 1,0645)


Prese di beneficio, comunque contenute, sul biglietto verde. Dal minimo contro euro del 3 gennaio a 1,0340 si è avviata una fase di risalita che la scorsa ottava ha riportato il cambio verso 1,0685. Non si segnala comunque una variazione del quadro tecnico: il cambio sta attraversando una fase di consolidamento dopo il forte ribasso dell'euro avviatosi dal picco a quota 1,1300 registrato nelle prime ore successive all'esito delle elezioni presidenziali Usa dell'8 novembre.


Il dollaro si trova sui massimi del 2003 e mancano segnali chiari di esaurimento della cavalcata post-elettorale. Sembra probabile, tuttavia, che la fase di assestamento sui livelli correnti, poco al di sopra o poco al di sotto, possa proseguire ancora. La pausa di assestamento in atto appare del tutto fisiologica, senza escludere possibili tentativi di rimbalzo tecnico verso la forte resistenza in area 1,0800/0875. Un segnale di maggiore forza per l'euro si avrebbe però solo al superamento di 1,0875 (prematuro) e non dovrebbe comunque estendersi al di sopra della resistenza critica a 1,1000.


Il trend dominante, che rimane impostato al ribasso, riprenderebbe solo alla violazione dei minimi di inizio gennaio a ridosso di 1,0340/0350 (al momento poco probabile), con obiettivo 1,0250 ed estensioni (al momento improbabili) verso la parità. Per le prossime settimane la resistenza a 1,1000 non dovrà essere superata, per conservare un'impostazione favorevole al biglietto verde. 


Strategicamente il dollaro USA rimane forte, con possibili movimenti nei mesi a venire verso il grande obiettivo, anche psicologico, del macro movimento ribassista di EurUsd, sviluppatosi a partire dallo scoppio della crisi finanziaria nell'estate 2008: la parità; senza escludere livelli anche inferiori. 

La divergenza tra le politiche monetarie della Fed, da un lato, e della Bce, dell'altro, rimane un fattore a favore del dollaro. La Fed ha ipotizzato di proseguire con altri 3 rialzi nel corso del 2017, anche se è pur vero che un anno orsono aveva prospettato 4 rialzi per il 2016 e poi si è limitata a farne uno soltanto, lo scorso 14 dicembre, per un misero 0,25%. Se pensiamo poi che negli ultimi 10 anni il rialzo complessivo è stato dello 0,50%, partendo da tassi a zero (la cosiddetta ZIRP, zero interest rate policy) e che il Bilancio Fed rimane stabile da due anni sui picchi a ridosso di 4500 miliardi di dollari, si comprende bene come il contesto della politica monetaria Usa rimanga decisamente espansivo. I timidi rialzi che la Fed sta ipotizzando servirebbero solo a ridurre in parte una situazione che rimane strutturalmente squilibrata, ma come del resto capita anche nel resto dei Paesi sviluppati, a partire dai tassi negativi del Giappone ai tassi schiacciati verso lo zero nell'area euro. E la modalità con cui le Banche Centrali, in tutto il mondo, hanno deciso di gestire l'enorme mole dei debiti pubblici fuori controllo in un contesto economico stagnante: tassi bassi ed inflazione, negli auspici, in risalita verso il 2%, in modo che rendimenti reali negativi abbattano il valore reale dei debiti. In tale contesto generalizzato di tassi bassi, la Bce risulta comunque tendenzialmente più espansiva della Fed e questo aspetto continua a  giocare a favore del biglietto verde contro euro.


La forza generalizzata del dollaro è confermata anche dal notevole recupero post-elettorale contro lo yen (balzo da 101 a 118,65, seguito poi ultimamente da un ritracciamento verso quota 114), oltre che dal fatto che il dollaro si stia rafforzando contestualmente al buon andamento del mercato azionario (il Dow Jones ha raggiunto la soglia psicologica dei 20000, +14% circa nel corso del 2016).

OPERATIVAMENTE: è opportuno mantenere posizioni lunghe strategiche sul Dollaro, valutando ulteriori alleggerimenti in ottica tattica sui livelli correnti.

(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)

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