Aggiornamento portafoglio: l’Europa fa festa…


Dopo un anno di standy l’Italia ha avallato la riforma del MES, tanto discussa e dibattuta fra le parti politiche. Come ricorderete la battaglia è stata dura e il via libera non significa comunque che i potenziali rischi a carico del nostro Paese siano svaniti. Cerchiamo di capirci qualcosa.

Come noto, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) – noto anche come Fondo salva-stati – è nato a seguito delle crisi dei debiti sovrani nell’area euro, ed è di fatto un fondo inter-governativo con sede in Lussemburgo in grado di erogare prestiti sino a 500 Mld di euro. Il capitale effettivamente versato nel fondo è pari a 80,5 Mld di euro, di cui poco più di 14 Mld dall’Italia, a fronte di una sottoscrizione complessiva del nostro Paese pari a 125,4 Mld di euro.

Inutile dire dell’esultanza di tutti i governi dell’Eurozona, in particolare quello tedesco, che considera questa riforma un passo in avanti per l’integrazione tra gli stati dell’euro. In teoria questo è vero, poiché la logica del MES è quella di risolvere più velocemente le eventuali crisi sovrane, se non addirittura puntare a sventarle sul nascere. Il fondo consta di due linee di credito: il Precautionary Conditioned Credit Lines (PCCL) e l’Enhanced Credit Line (ECL), e la riforma di questi giorni riguarda la prima delle due linee, ovvero quella che prevede alcune condizioni per il suo utilizzo, a differenza della seconda che essendo destinata a spese sanitarie esclude qualsivoglia condizionalità.

Nella pratica, con la riforma lo Stato che richiede assistenza finanziaria attraverso il PCCL non sarà più tenuto a sottoscrivere un memorandum d’intesa – come accaduto alla Grecia – ma dovrebbe essere sufficiente una lettera di intenti nella quale s’impegni a rispettare gli stessi criteri previsti sinora. I criteri sono i seguenti:

- rapporto deficit/PIL non superiore al 3% nei due anni precedenti
- saldo strutturale pari o superiore a uno specifico parametro per ciascuno Stato
- debito pubblico non superiore al 60% del PIL o riduzione del rapporto di almeno un ventesimo all’anno rispetto al 60% nei due anni precedenti

Tutto bene quindi? No, perché muta la forma in direzione meno rigida, ma la sostanza rimane la stessa. Infatti, la lettera d’intenti prende il posto del memorandum, ma l’Italia rischierebbe comunque di non poter accedere al MES (salvo commissariamento?), visto, ad esempio, che la regola della riduzione del rapporto debito/PIL per un ventesimo all’anno rispetto al 60% non è stata quasi mai rispettata dal nostro Paese.

Pare invece positiva la riforma che riguarda le banche. Infatti, il MES anticipa di due anni l’entrata in vigore del c.d. “backstop” a sostegno del Single Resolution Fund (SRF), ovvero il fondo di risoluzione bancario, nel caso in cui il SRF esaurisse le risorse disponibili per i salvataggi bancari. L’importanza di questo aspetto è data dal fatto che il “backstop” dovrebbe stroncare sul nascere attacchi speculativi contro le banche dell’Eurozona. Certo, il cerchio sarebbe chiuso con il completamento dell’unione bancaria, oggi mancante perché Germania e alleati del Nord Europa respingono la garanzia unica sui depositi, poiché temono di caricarsi delle perdite accusate dalle banche del Sud Europa.

Tornando al nostro portafoglio, dopo aver toccato un nuovo massimo storico nel corso della settimana appena trascorsa a 102,07 di NAV, siamo in consolidamento poco sotto i massimi. Fisiologico respiro, cui ormai dovremmo essere abituati, dopo la galoppata di novembre che ci ha portati rapidamente da 101,50 a oltre 102. Al close di ieri il nostro portafoglio valorizza un NAV pari a 101,97. Performance su base annua a +3,04% con volatilità in lieve aumento a 0,56%.

Tabella e grafico dell’equity line aggiornate nella consueta sezione “Portafoglio”, ove è stata anche aggiunta la sintesi del rendimento del “vecchio” portafoglio Rischio Contenuto.