Strategie d’investimento e buy o sell sull’azionario: quattro gestori si confrontano


In incognito (perché l’abbiamo imposto noi). Banche centrali, Cigno nero, settori da privilegiare, nuovi punti di entrata e altro ancora nelle parole di alcuni leader dell’asset management.

Hot markets

“The financial show must go on!”, pur in presenza del dramma di famiglie, intere categorie sociali e dell’economia nel suo insieme. Fra così tante incertezze abbiamo intervistato quattro gestori di primo piano per sentirne le opinioni in merito a una situazione che definire confusa è solo un eufemismo. In questo caso siamo stati noi ad aver imposto l’anonimato, per ottenere dichiarazioni forti che non impegnino le società di riferimento. I quattro interventi vengono suddivisi in due diversi blocchi.

Il primo confronto

Banche centrali, che disastro! Agiscono e i mercati crollano, parlano e i mercati non le ascoltano più. Dove sbagliano?

1° intervistato

2° intervistato

Non sono attente a un problema di fondo, quello della ricchezza delle famiglie. Se i risparmi si riducono i consumi cadono. Era un mantra della Fed ma non ora non lo è più, mentre la Bce è sempre stata un esasperato centro di potere – lontano dai cittadini – e quindi insensibile a quest'aspetto. Intanto in Svizzera si sta già riparlando di “helicopter money”, cioè di denaro distribuito alle famiglie con l’obbligo di spenderlo subito.

Il problema della Fed è puramente politico, mentre quello della Bce sta nel mediare fra le troppe anime di un’Europa scoppiata. La nomina della Lagarde è stata un enorme errore perché fantoccio nelle mani di poteri forti, cui alletta solo la difesa di interessi ben precisi. Potrebbe essere proprio lei a far deflagrare l’Unione europea, obiettivo forse di chi l’ha messa lì.

Più chiari di così non si può essere. Sembrerebbe che la sola vera strategia sia sempre quella del cosiddetto “global easing” a livello mondiale, cioè del taglio dei tassi di interesse, cui si aggiungono Qe poco efficienti. Potrebbero fare altro?

1° intervistato

2° intervistato

Non potrebbero ma dovrebbero, solo che i mandati sono molto limitati. In fondo la Lagarde, nella brutalità della sua dichiarazione “Non siamo qui per ridurre gli spread” ha detto una cosa vera nel momento sbagliato. Anche Draghi ammetteva che molto del ruolo oggi sta nelle mani dei singoli governi. Solo che lui lo sosteneva in maniera elegante.

Conosco bene il quadro operativo della Bce e sostengo che da tempo opera in maniera illegale. L’articolo 2 dello statuto di Eurotower non consente altro che di mantenere la stabilità dei prezzi. Punto. Nulla di più. Quindi no Quantitative Easing. Draghi è stato bravo nel nascondere questa verità. La Lagarde non ci sta riuscendo. D’altra parte basterebbe leggere l’articolo 21 sempre dello statuto per capire che siamo fuori dal seminato, perché qualsiasi forma di facilitazione creditizia da parte della Bce è espressamente vietata. La stanno utilizzando in maniera illegittima e la Lagarde non potrà più nasconderlo, poiché non ha la preparazione tecnico-culturale per farlo.

Ok, se proseguiamo su questa strada parliamo di politica e ai nostri lettori non interessa. Quando scatterà il momento di ricollocarsi sull’azionario, pur dopo la parziale fiammata di venerdì?

1° intervistato

2° intervistato

Tutto dipende dai profitti 2020 delle aziende. L’impatto sarà forte ma tollerabile o forte ma non sopportabile? Di lì dipende la scelta di tornare a investire sull’azionario.

Ragionando con i fatti bisognerebbe iniziare con la Cina e con l’Asia in generale. La reazione fantastica dell’India venerdì è un primo segnale? Troppo presto per dirlo. Sull’Europa e sull’Italia sarei ancora prudente.

In questo quadro cosa consiglia?

1° intervistato

2° intervistato

Se la strategia è di medio lungo termine suggerisco di puntare solo sui valori difensivi di settori poco esposti alla crisi e di privilegiare il rendimento da dividendi. Il ritorno verso i settori ciclici riserviamolo (forse) per l’estate. Quest’anno si potrebbe realizzare un “Buy in summer and stay inside”.

Di seguire in particolare quattro settori: sanitario/farmaceutico, biotecnologie, e-commerce e Internet/clouding. Qui ci sono dei margini di crescita enormi. Una sfida è quella del petrolifero: se si andasse a un accordo fra Russia e Opec partirebbe un rimbalzo impressionante. Quello che non riesco a capire sta infatti nella coincidenza fra coronavirus e botto del petrolio. Qualcuno sapeva?

Non è che i mercati stiano scontando una situazione peggiore di quella reale?

1° intervistato

2° intervistato

E’ corretto che sia così. Essendo una crisi esogena deve capire e accentua le sue preoccupazioni. La conferma viene dall’obbligazionario. L’attrattività dei “corporate” è rilevante ma nella settimana si è visto un “sell off” pesante su società i cui fondamentali sono ottimi. Specialmente negli Usa.

Sono sempre stato molto critico nei confronti della liquidità ma oggi questa è un’occasione per incrementarla, allo scopo di sfruttarla fra qualche mese. Si avvertono davvero delle occasioni da cogliere in Europa e presto negli Usa, proprio perché la valutazione globale è troppo negativa. Lo dimostra il forte rimbalzo venerdì di Wall Street, che evidenzia di non voler scendere più di tanto.

Il secondo confronto

Cosa sta valutando in questa fase per fissare un eventuale pesante rientro sui mercati azionari?

1° intervistato

2° intervistato

In sintesi: 1°) Su una discesa dell’S&P 500 a 2.200 punti, sebbene un potente supporto si collochi sui 2.350, scatterebbe, secondo me, un “buy”; 2°) Il comportamento del Russell 2000, indice Usa delle piccole e medie aziende, sceso sui 1.210 punti, e termometro vero dell’economia Usa; 3°) Un Dax che resti sopra gli 8.000 punti.

Personalmente ho creato un mio indice costruito su tre fattori: 1°) andamento a livello mondiale del coronavirus; 2°) il prezzo del petrolio; 3°) il rendimento dei Treasuries Usa, il cui decennale ha un punto di equilibrio nella fase attuale sull’1%. Se resta sotto è evidente che l’attrattività dell’azionario si conferma elevata.

Cosa la preoccupa di più?

1° intervistato

2° intervistato

Il bancario europeo. Tutti guardiamo quello italiano, francese e tedesco ma in realtà da più tempo lo scandinavo e l’inglese forniscono segnali di tensione. Il taglio dei prezzi obiettivo da parte di molti analisti per le banche di casa nostra nelle ultime settimane indica come le quotazioni in corso risultino già nettamente inferiori. Questo mi preoccupa, perché vuol dire che i mercati valutano una crisi maggiore rispetto ai fondamentali e anzi in certi casi vedono addirittura default a catena per le “minor”. E sbagliano.

La reazione degli investitori e soprattutto di noi gestori alla prima notizia che qualche big del mercato taglia i dividendi. Ci siamo abituati a trend troppo positivi ma insostenibili, il che vale soprattutto per l’Italia. Nella fase attuale i “dividend yield” di molte leader di tutti i settori sono fuori controllo e richiedono correzioni per non stravolgere una corretta ripartizione fra le diverse asset class.

Qual è il Cigno nero che incombe sui mercati, di là del Coronavirus?

1° intervistato

2° intervistato

Una recessione che non dipenda dagli effetti del virus. Cosa voglio dire? Oggi tutti scontiamo un taglio del Pil mondiale e di quelli nazionali. Ma scontiamo anche un rimbalzo a V quando la pandemia sarà passata. Se invece l’economia riprendesse in modo stentato allora scatterebbe un Cigno nero.

Che gli investitori non capiscano le occasioni imprevedibili che il mercato sta offrendo. Nel caso volessero restare liquidi perderebbero un’opportunità cui forse nessuno credeva a fine 2019. E poi c’è il rischio di un secondo Cigno nero: che il prezzo del petrolio scenda sui 20-25 $ come valore stabile. I default di un pezzo di economia Usa e di alcuni Paesi diventerebbero motivo di incubo.

Cosa non le è piaciuto in particolare di queste due settimane?

1° intervistato

2° intervistato

La reazione scomposta dell’obbligazionario europeo, che ha manifestato un forte legame con il coronavirus. Quando il problema era italiano si sono comprati Bund tedeschi e Oat francesi ma venduti Btp. Ora che è continentale si vende tutto, anche Bund e soprattutto Oat. Certamente i singoli deficit nazionali aumenteranno e questo non piace ma la violenza dei movimenti delle quotazioni ha dimostrato all’inizio una scarsa visione prospettica e una rincorsa isterica su un asset da “risk off” che tale non si sta dimostrando.

Che lo “short selling” non sia stato deciso ai primi segnali di crisi. Ci si è arrivati dopo una seduta negativa del 16% e solo per una giornata, salvo proroghe per la prossima settimana. Siccome le mani pesanti sulle vendite allo scoperto le conosciamo tutte, nome per nome, era opportuno intervenire prima. Ci sarebbe quasi da credere che la proprietà inglese di Borsa Italiana abbia fatto pressioni perché ciò non avvenisse. Il dubbio quanto meno è lecito.

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