Pro & contro – Btp, asset difensivi o senza futuro?


Due posizioni – assolutamente antitetiche – si confrontano sulle prospettive dei nostri governativi. Il tutto per consentire ai piccoli e medi investitori di valutare punti forti e punti deboli dell’obbligazionario di Stato.

Cedole & dividendi

Essere indipendenti vuol dire vedere le cose senza paraocchi. Oggi in Italia nessuno cerca di spiegare se i nostri titoli di Stato possano ancora essere asset di un certo peso nei portafogli oppure se sia meglio venderli, seppur soltanto in parte. È un tema più importante di quanto forse molti non credano e noi lo affrontiamo confrontando le posizioni (volutamente sintetizzate e spersonalizzate) di chi è bendisposto e di chi è sfavorevole alla loro detenzione.

I favorevoli

Gli ostili

Tenere o addirittura acquistare Btp, pur in presenza di rendimenti modestissimi, ha senso?

Facile rispondere: se lo decidono gli istituzionali, che investono importi enormi, perché non lo può fare il piccolo investitore? Già l’anno scorso c’era chi diceva: “Basta con i Btp! C’è solo il rischio di bruciarsi”. Nel frattempo le quotazioni sono cresciute e di molto. Un decennale allo 0,70% non deve spaventare perché le aste continuano ad andare bene. Presto partirà la quotazione sul secondario del nuovo benchmark a 50 anni – scadenza 1° marzo 2072 – e lì si avrà il responso definitivo alla domanda.

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La risposta non soddisfa, perché gli istituzionali hanno visioni diverse da quelle di chi ci mette 20.000 o 40.000 euro. Utilizzano anche strumenti protettivi che il padre di famiglia non sa cosa siano. Ragioniamo allora in chiave di quest’ultimo, cioè di chi ci legge.

La domanda è mal posta. Bisogna riflettere in un’ottica complessiva, che non preveda solo un portafoglio di tassi fissi ma anche di inflation linked, di tassi variabili, di step-up, il tutto con scadenze diverse. Così facendo anche il padre di famiglia può affrontare le eventuali insidie del futuro, che si chiamano inflazione e politiche restrittive in ambito monetario. L’emittente italiano è in assoluto il più forte e ingegnoso a livello mondiale in termini di diversificazione. Altro che Germania o Usa! Gli americani hanno scoperto i tassi variabili solo da pochi anni e li offrono con spread vicini allo zero, cioè “flat” sul Libor. I nostri Cct sono invece molto più interessanti.

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È evidente: c’è un rischio Paese ben diverso!

Quali sono i parametri reali su cui si valuta il rischio? Di solito si dice che siano i Cds, utilizzati con la funzione di polizza assicurativa o copertura per il sottoscrittore soprattutto di un titolo di Stato. È vero, su questo fronte siamo mal messi ma occorre ricordare che si tratta di strumenti speculativi. L’Unione europea voleva monitorarli e limitarne l’utilizzo, senza però poi fare nulla. Essendo l’Italia il Paese con la Grecia a maggiore rendimento nel contesto Ue è inevitabile che sia qui che si concentra il potenziale ribassista e quindi remunerativo per hedge e quant’altro. Non stiamo quindi a perdere tempo con numeri che interessano solo una ristretta cerchia di operatori.

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Quando è arrivato Draghi si prevedeva uno yield del decennale in discesa allo 0,40% e addirittura c’era chi sperava in uno 0,20%. Le cose sono andate in maniera un po' diversa!

L’impatto è stato molto favorevole e lo dimostra la realtà che nelle giornate di forti crescite dei rendimenti per timori inflattivi l’Italia si sia comportata per esempio meglio di Francia e Spagna. C’è molta più fiducia nei nostri confronti.

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No, no! Bisogna essere trasparenti. Il fatto dipende dalla diversità dei numeri. Uno yield vicino allo zero è per fattori matematici più variabile rispetto a uno che si avvicina all’1%. Non è un merito del Governo in carica ma l’effetto dei moltiplicatori.

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Per favore lasciamo stare questi aspetti tecnici! Oggi sull’Italia si investe in chiave di possibile creazione di debito buono e di riforme strutturali su cui il Governo sta lavorando. E poi non dimentichiamoci che siamo sotto l’ombrello della Bce. Ci proteggerà ancora per tanto tempo. Invece di speculare sui nostri mali, che ormai sono simili a quelli di altri Paesi Ue, è meglio dare un’indicazione operativa concreta. Se i tassi fissi fanno temere, a causa di rendimenti modesti, si passi ai Btp Italia o ai Btp€i, allettanti proprio per l’assenza – finora - di stress inflattivi. Proteggono quindi meglio in prospettiva futura.

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Quanta fiducia sulla Lagarde! Sarebbe invece il caso di segnalare che solo a inizio marzo ci si lamentava di come il piano Pepp, programma di acquisto per l’emergenza pandemica, stesse registrando netti cali negli acquisti. Poi siamo tornati in emergenza da effetto rialzo inflazione ma quella lezione è significativa. Appena vaccinati l’airbag Bce perderà di pressione e i rendimenti saliranno ancora.

Fare previsioni in questo contesto è assurdo, perché il quadro cambia continuamente. Ammettiamo il caso che il decennale italiano salisse all’1%. Saremmo comunque ben sotto i livelli di guardia.

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 Proviamo allora a fissarlo il livello di guardia…  

Graficamente parlando è sull’1,9%. Come sostenibilità del debito risulta più alto, all’incirca sul 2,5%.

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Un giorno o l’altro però succederà che la liquidità dei mercati comincerà a calare e che qualche asta darà problemi. Lì scatterà il sell sui Btp?

È da vent’anni che si parla di aste con possibili problemi ma non si sono mai viste. L’Italia non può fallire perché crollerebbe l’Unione europea. Quindi non bisogna cambiare cavallo ma modo di cavalcarlo.

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Il che denota la convinzione che la Germania continuerà a sostenere il nostro debito?

No vuol dire che l’Europa è in mezzo al guado e che in un simile contesto la sostenibilità del nostro debito non è certo il problema di cui preoccuparsi.

Perché i Btp sono diventati di colpo asset pericolosi nella visione di alcuni?

Risposta molto semplice. Vi ricordate dei Pigs o Piigs del 2008-2009? Era un termine dispregiativo. Ora sapete cosa viene utilizzata come sigla sostitutiva negli ambienti finanziari? L’acronimo di “Frites” (dal francese patate fritte), che sta per Francia, Italia e Spagna (Espania). Non c’è altro da aggiungere.

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Una battuta un po' stupida creata da chi guarda le cose con gli occhiali del disfattismo. Francia, Italia e Spagna hanno dato al mondo la civiltà e sono la culla della cultura. Si sta ragionando con la stessa sfiducia manifestata in passato sulla Grecia. Oggi se non si hanno però in portafoglio dei titoli di Atene si rischia di essere considerati degli incapaci. Mezzo mondo è sull’orlo del fallimento da troppo debito e l’Italia è uno dei tanti Paesi in questa situazione. Se pensiamo agli Usa!

Dobbiamo ragionare con lucidità. Il nostro debito è insostenibile e lo è da decenni. Il Covid ha solo aggravato la situazione. Occorre trovare quindi delle alternative sostenibili se si guarda al lungo termine. Ce ne sono varie.

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Quali per esempio?

Il mercato ne cita tre: Cina, Australia e Canada, che fra l’altro hanno rendimenti più interessanti rispetto a quelli dei Btp. I rispettivi decennali si collocano al 3,3%, all’1,7% e all’1,5%, con rating A+ per Pechino e AAA per Canberra e Ottawa. Sarebbe come confrontare una Ferrari con una Panda.

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Noi siamo BBB per S&P e BBB- per Fitch ma ci collochiamo in compagnia di tanti altri Paesi del mondo. Quindi la rischiosità si stempera con rendimenti sulle scadenze lunghe tutto sommato dignitosi. Perché tanta ostilità?

Per quattro motivi:

1°) Si considera sempre il rendimento lordo e mai quello netto (tasse + commissioni). Se si valuta quest’ultimo il decennale frutta uno 0,6%, valore modestissimo, e il più lungo di tutti i Btp, il 2067, l’1,75%. C’è il rischio che fra uno o due anni non si copra l’inflazione.

2°) Il rating BBB ci accomuna ad alcuni Paesi emergenti, con la differenza che lì i rapporti debito/Pil sono nettamente migliori rispetto a quello italiano.

3°) Quando il Covid sarà un ricordo le agenzie di rating ci batosteranno e il nostro debito scenderà a “junk”. Intanto chissà quale Governo ci guiderà.

4°) Le cosiddette clausole di attivazione collettiva (Cacs), introdotte nel 2013, sono un capestro per i titoli di Stato dell’Unione europea, poiché introducono il concetto di ristrutturazione del debito. Oggi non è ammissibile ma fra 10 anni?

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Ogni strumento finanziario è soggetto a clausole che lo rendono potenzialmente una bomba. Quanti fondi di investimento sono stati rimborsati per decisione inappellabile dell’emittente? Quanti Etf ed Etc improvvisamente sono stati chiusi per convenienza di parte? Ne sono solo coinvolti – o meglio danneggiati - i relativi investitori senza che nessuno intervenga. E certe strane clausole che si stanno generalizzando nei bond corporate? La lista potrebbe allungarsi. Sono rischi inevitabili…

È vero ma con i titoli di Stato la pericolosità è doppia, poiché se un Paese ristrutturasse il debito l’effetto sarebbe perverso per buona parte del sistema economico, a cominciare dalle banche. Se io vivo in Italia, ho il mio patrimonio – piccolo o grande – in Italia, riscuoto qui lo stipendio o la pensione, devo assumermi un’incognita in più? Si chiama rischio di concentrazione e bisogna starci assolutamente attenti.

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Intanto le nostre aste vanno bene. Il 7 aprile, mercoledì scorso, l’accoglienza per un’emissione fuori programma del Tesoro è stata semplicemente eccezionale, con una domanda superiore all’offerta di dieci volte. E si trattava anche di titoli a 50 anni. Non è un segnale che smentisce il pessimismo?

All’opposto è un segnale che preoccupa, perché il mercato è inondato dalla Bce. In un anno, da marzo 20 a marzo 21, sono stati gettati nel sistema 3.300 miliardi di euro. Che sono andati a comprare Btp, Bonos o Oat e tanto altro ancora. Ragionare in un simile contesto come se tutto fosse in regola è allucinante. Prima o poi questa manna finirà e saranno dolori. Non capirlo è come spingere una macchina giù da una discesa alpina per vedere se i freni funzionano.

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I Btp Futura, che molti hanno criticato, continuano a riscuotere successo e la prossima emissione, in scena dal 19 aprile, lo dimostrerà.

Il merito è solo delle banche, che spingono per tornaconto la clientela a investire su questi Btp. Così è facile. Si tratta di un meccanismo perverso, destinato a durare qualche anno. Poi le magagne verranno a galla.

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Lo si diceva anche in occasione delle precedenti crisi del sistema Italia. In seguito la situazione è migliorata e non c’è stato nessun crollo dei Btp. Anzi!

Una volta va bene, dieci volte va bene ma poi il meccanismo si inceppa. Meglio allora anticipare i problemi e mettere un limite alla detenzione di Buoni del Tesoro in portafoglio. Questo non vuol dire eliminarli ma calcolare la reale rischiosità che comportano. La prudenza in finanza non è mai troppa. E la bolla da Bce lo impone oggi più che mai.        

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