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Mercato obbligazionario: il ritorno dell’inflazione


Gli ultimi dati, arrivati dagli USA, mostrano che l’inflazione è tornata ed è anche robusta. Il PCE Core (Personal Consumption Expenditures), una misura dell'inflazione molto seguita dalla Federal Reserve, è salito del 3,5% nel primo trimestre (era all’1,7% nel primo trimestre), registrando il tasso di crescita più veloce dal 2011; il CPI invece (Consumer Price Index) è aumentato del 4,2% non considerando gli aggiustamenti stagionali.

Numeri importanti, dopo anni di sonnolenza. Ora, però, bisogna capire se questa è solo una fiammata dovuta alla ripresa delle attività dopo oltre un anno di pandemia, oppure se è strutturale. Le materie prime, che hanno indubbiamente guidato questa corsa al rincaro dei prezzi, paiono ancora molto toniche e le varie attività economiche, in generale, stanno appena riaprendo i battenti.

Il presidente della FED Powell ha affermato più volte che l'aumento dei prezzi è "transitorio" e che è “destinato a rientrare nel momento in cui l'attività economica si normalizzerà dopo l'attuale balzo favorito dai programmi di stimolo”. In effetti, tali affermazioni sono sensate, poiché prima della pandemia il tasso di disoccupazione negli USA era al 3,5% e l'inflazione era sotto il 2%. Ora, è assolutamente possibile che tali numeri possano riproporsi nel momento in cui le distorsioni introdotte dagli interventi di stimolo all'economia verranno riassorbite.

Altra domanda, legata alle materie prime, è se sia iniziato un superciclo rialzista, vista la forza di questo asset nei mesi scorsi. L'utilizzo della capacità produttiva pre-pandemia era intorno al 77% mentre ad oggi non arriva al 75%. Questo elemento può essere considerato favorevole a coloro i quali ritengono che il balzo dell'inflazione sia un fenomeno temporaneo. Tuttavia, l’altra faccia della medaglia vede l'andamento dei prezzi delle materie prime, che ha già fatto lievitare i prezzi alla produzione e che prima o poi filtrerà in quelli al consumo, ammesso che per alcuni settori non l’abbia già fatto. E quindi, se per le materie prime fosse iniziato un superciclo rialzista – cosa peraltro possibile – le pressioni sui prezzi al consumo rischiano di essere durature.

E quindi, a cascata, un’altra domanda deve trovare risposta: la FED cosa farà?
La risposta, ovviamente, è subordinata alla tempistica della normalizzazione dell'inflazione. Se, per ipotesi, il nuovo boom economico post-pandemia dovesse durare un biennio è evidente che la FED non potrebbe stare a guardare per un periodo così lungo. Ed è proprio su questo punto che si interrogano e discutono gli osservatori dei mercati finanziari: la FED rimarrà alla finestra oppure, come molti sostengono – e non a caso anche all'interno della stessa Banca Centrale – già entro la fine del 2021 o al più tardi nel 2022 saranno necessari interventi per riportare l'inflazione sotto controllo?

Come sempre lo scopriremo a tempo debito, ma intanto, oltre a farci guidare dai futures e dall’andamento delle curve dei rendimenti dei governativi, prepariamoci con un manipolo di strumenti con cui coprirci da un ritorno strutturale dell’inflazione.

Oltre ai titoli governativi inflation linked, che siano targati USA o Europa, sempre ammesso che sia agevole o possibile acquistarli con i mille paletti che oggi le banche impongo ai risparmiatori, possiamo puntare su una selezione di ETF inflation linked, ben scambiati e ben diversificati come sottostanti.

Iniziamo con 3 ETF sull’inflazione americana.

1.            ISHARES $ TIPS ETF USD (IE00B1FZSC47): replica i titoli governativi USA inlfation linked, noti come TIPS. Ha un costo annuo dello 0,10%, è molto liquido e negli anni si è caratterizzato per una buona crescita, con due leggere flessioni tra 2012 e 2014 e successivamente tra 2017 e 2018. A parte il rischio cambio, che sul dollaro USA è gestibile, è un ETF conservativo.

2.            SPDR BARCLAYS US TIPS ETF (IE00BZ0G8977): replica sempre i titoli governativi USA TIPS, ma a differenza dell’altro distribuisce due dividendi all’anno. Ha un costo annuo dello 0,17% ed è piuttosto liquido. Il dividend yield è intorno al 2% e a parte il rischio cambio, che sul dollaro USA è gestibile, è un ETF conservativo.

3.            UBS BLOOM BARC TIPS 10+ DIS (LU1459802754): replica solo le scadenze lunghe, cioè i TIPS con oltre dieci anni di vita residua, ha un costo annuo dello 0,20%, non è molto liquido ma paga dividendi. Il dividend yield è intorno all’1,30%. Come sappiamo, le obbligazioni con vita residua più lunga sono quelle più esposte al rischio tasso e quindi sono maggiormente volatili. E’ quindi un ETF adatto a chi ha un profilo di rischio maggiore, considerando anche il rischio cambio.

E se l’inflazione iniziasse a mordere anche in Europa? Nessun problema, abbiamo 2 ETF anche per l’inflazione “made in Eur” e uno per quella globale.

1.            iShares Euro Inflation Linked Government Bond (IE00B0M62X26): replica tutte le obbligazioni dell’area euro indicizzate all’inflazione e ha un costo annuo 0,25%. E’ molto liquido ed è un ETF molto conservativo.

2.            Ubs Euro Inflation Linked 10+ (LU1645381689): replica solo le scadenze lunghe, cioè i bond con vita residua superiore a dieci anni. Ha un costo annuo dello 0,20% e non è molto liquido. Come già detto, le obbligazioni con vita residua più lunga sono quelle più esposte al rischio tasso, per cui è più adatto a chi ha un profilo di rischio maggiore rispetto all’ETF precedente.

3.            Xtrackers Global Inflation-Linked Bond € hedged (LU0290357929): replica le obbligazioni governative indicizzate all'inflazione dei paesi sviluppati emessi in valuta domestica, con qualsiasi scadenza, ha un costo annuo dello 0,25% ed è piuttosto liquido. E’ coperto dal rischio cambio ed è quindi un ETF conservativo che cerca di diversificare al massimo il numero di emittenti in portafoglio. Interessante la buona presenza in portafoglio (oltre 28%) di governativi inflation linked del Regno Unito, difficilmente inseribili in portafoglio in via diretta.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve, questa settimana, mostra ancora un lieve ridimensionamento dei rendimenti rispetto alla scorsa analisi. Il rendimento della scadenza a 10 anni passa precedente 0,14% all’attuale 0,12% mentre la scadenza trentennale si contrae e va allo 0,52% dal precedente 0,56%. Ricordiamo che cinque mesi fa eravamo a rendimento negativo su questa scadenza. Orami stabile la forma della curva, con la parte a breve e medio sempre inclinata intorno ai 45° per poi appiattirsi sulle scadenze lunghe. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze 2044-2050, in contrazione rispetto alla scorsa rilevazione e ora in area 0,52% rispetto allo 0,58% precedente. Meno evidenti i movimenti sui tassi forward Euribor 6 mesi, con il tratto a medio che è ormai inclinato positivamente con previsione di tassi positivi entro il 2026, mentre il tratto a lunga rimane di fatto stabile in area 1,00%. Tratto sempre in area -0,40%.

Bond Governativi Mndo Weekly Ranking
Analisi sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.