Mercato obbligazionario: Bitcoin e BCE


E’ ormai prossima la riunione della BCE, prevista per giovedì prossimo, in merito alla quale non pare ci siano particolari novità attese, posto che la Lagarde già nei giorni scorsi aveva di fatto anticipato alcuni aspetti in un discorso prontamente riportato dalla stampa specializzata.

In estrema sintesi, il governatore della BCE si è mostrata abbastanza ottimista in merito alla ripresa economica nell’Eurozona, confermando le stime di crescita per il 2021 attese dall’istituto al 3,9% e superiori a quelle di diversi analisti, lockdown permettendo. La Lagarde ha affermato che “il PEPP potrà essere nuovamente rivisto nel caso in cui si rendesse necessario”. Già a fine 2020 è stato elevato a 1.850 Mld di euro ed esteso fino al marzo del 2022, ma “se servirà potenziarlo ancora per centrare il target d’inflazione, così sarà”.

Non è poi passato inosservato nel discorso il riferimento diretto al tasso di cambio, con la Lagarde che ha affermato che alla BCE sono “estremamente attenti circa l’impatto sui prezzi” che questo può avere. E, probabilmente non a caso il cambio EUR/USD è scivolato sino a 1,20 per riprendersi un po’ mentre scriviamo queste righe per tornare poco sopra 1,21. In tema di inflazione la Lagarde non si è sbilanciata, asserendo che “una definizione più precisa sul tasso d’inflazione che corrisponda al concetto di stabilità dei prezzi verrà fornito a metà anno”.

Vedremo giovedì come si pronuncerà il board BCE e su quali temi focalizzerà l’attenzione. Intanto, un altro aspetto degno di considerazione è il ritrovato vigore – per usare un eufemismo – del Bitcoin. Sì, perché è ormai da tempo che la criptovaluta è tornata sulle prime pagine dei giornali, attirando l’attenzione di una marea di risparmiatori ingolositi dalle performance.

Giusto per memoria “storica”, lo scorso marzo, in pieno scoppio della crisi pandemica, un Bitcoin arrivò a scendere sotto i 5.000 USD. Un tale crollo fece affermare ai più – e neanche a torto… – che contrariamente a quanto si andasse dicendo da qualche tempo, la criptovaluta sia tutt’altro che un bene rifugio come l’oro. Tuttavia, dopo aver toccato i minimi, i prezzi hanno iniziato a salire senza sosta fino a superare i 40.000 USD dollari la settimana scorsa, per poi ritracciare leggermente attestandosi in area 36.000 USD.

Gli analisti rimangono divisi sulla sostenibilità dei corsi, nonostante l’ingresso di un numero crescente di investitori istituzionali sul mercato dei Bitcoin, in particolar modo gli emittenti di ETF che in questi mesi hanno letteralmente fatto man bassa per mettere in cassaforte il collaterale necessario per emettere gli strumenti a replica fisica. Ma, direte voi: che c’entra la BCE con i Bitcoin?

Centra, perché pare che l’atteggiamento delle banche centrali e, in generale, delle istituzioni sembra essere cambiato. Infatti, se da un lato è vero che nei giorni scorsi il governatore della BCE ha definito il trading dei Bitcoin un “funny business”, dall’altro lato sembra venuta meno la preclusione mentale del passato. Non si leggono giudizi di condanna e dichiarazioni di illegittimità, però attenzione: questa è solo politica, perché essendo oggi un mercato da un trilione di dollari, è chiaro che è ormai troppo grande per non avere implicazioni sull’economia mondiale, nel caso in cui diventasse oggetto di “persecuzione”.

Ora, su alcuna stampa specializzata leggiamo una suggestione al momento un po’ azzardata. E se le Banche Centrali iniziassero ad acquistare Bitcoin? Molte le ipotesi fatte a supporto di questa ipotesi, tra cui quella di entrare nel mercato per tenerlo sotto controllo. Non del tutto peregrina come motivazione, posto che se da un lato è certamente follia pensare che le Banche Centrali posano legittimare quella che oggi viene percepita come una moneta alternativa a quelle da loro emesse, senza contare che non si sa neppure chi la emetta e per quali fini venga impiegata. Un eventuale ingresso nel mercato potrebbe effettivamente evidenziare la volontà delle Banche Centrali di tenere a bada un mercato ancora troppo “grigio”.

Riteniamo questa eventualità certamente affascinante, ma decisamente improbabile, poiché è evidente che questo significherebbe porre le basi per la diffusione di una moneta alternativa a quelle a corso forzoso, riducendo nei fatti il loro stesso potere monopolistico nel controllo della massa monetaria in circolazione, che come sappiamo è prerogativa indiscussa di ogni Banca Centrale.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve, questa settimana, mostra una leggera risalita dei rendimenti rispetto alla scorsa analisi. La scadenza a 10 anni resta in territorio negativo ma sale un po’ e si attesta ora al -0,21% mentre la scadenza trentennale torna in positivo e si porta allo 0,05% di rendimento rispetto al -0,04% della scorsa analisi. Sempre sostanzialmente immutata la forma della curva con un massimo di rendimento toccato per le scadenze 2044-2045, in salita e ora poco sopra lo 0,07%. Aumento anche per i tassi forward su Euribor 6 mesi, che sul tratto a lunga tornano sopra area 0,40%, e con il tratto a breve non troppo mosso e ora poco sopra area -0,50%.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, notiamo alcuni segnali di potenziale attenzione, pur non rilevando nella sostanza cambiamenti particolari in ottica strategica. Sull’area UK abbiamo la variazione più evidente con il modello Trendycator che ha abbandonato lo stato LONG per tornare NEUTRAL, con i rendimenti che si attestano lateralemente poco sotto la resistenza in area 0,30%. Resta di fatto laterale il BUND, con il modello Trendycator che tuttavia abbandona lo stato SHORT e si pone NEUTRAL, con il rendimento del decennale tedesco diretto verso la parte alta del trading range a -0,50%. Si mette in laterale anche il nostro Btp, dopo aver raggiunto i minimi di rendimento storici e con lo spread che ha violato i 110 bps e ora si attesta sotto i 112 bps. Il rendimento del nostro decennale è ora in altalena tra lo 0,50% e lo 0,60% con Trendycator sempre SHORT, ma con una evidenza di potenziale BOTTOM che va monitorata. Rimane stabile l’impostazione per l’area USA con i rendimenti che si portano oltre la resistenza in area 1%, ancora in crescita, e con Trendycator stabile su LONG.

Bond Governativi Mndo Weekly Ranking
Analisi sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Questa settimana abbandoniamo temporaneamente il dollaro USA, in attesa di vedere l’esito della riunione BCE di giovedì prossimo, e diamo uno sguardo al dollaro australiano. I bond governativi australiani hanno vissuto un lungo periodo di rendimenti in fortissima contrazione, come si vede dal grafico qui sotto. Da fine 2018 a inizio 2020 i rendimenti sono crollati dal 3% circa sino allo 0,60% per attestarsi ora poco sopra l’1%.

Tuttavia, questo calo dei rendimenti è stato accompagnato da una debolezza da parte della valuta australiana, penalizzando quindi noi investitori in euro, che abbiamo di fatto realizzato un pareggio tra upside dei prezzi, cedole incassare e cambio contro di noi. Ora però, la situazione sul cross EUR/AUD sembra farsi interessante e potrebbe valere la pena fare una sortita sui governativi dell’Australia.

Come si vede dal grafico sopra, il modello Trendycator ha individuato una nuova fase SHORT sul cambio valutario, ovvero ci sta fornendo indicazione di un AUD in trend positivo rispetto al nostro euro. Il modello è SHORT da sei settimane e l’accelerazione al ribasso da area 1,65 agli attuali 1,57 pare promettere bene. Abbiamo una prima area di supporto poco sopra 1,50 e sotto quella soglia si aprirebbero spazi interessanti di risalita della moneta australiana, con ottimi benefici in termini di rischio cambio. Un’idea potrebbe essere quella di selezionare governativi australiani con rischio tasso moderato (di fatto scadenze entro i 3 anni) e puntare sulla “leva” valutaria e sulle cedole piuttosto che sull’upside di prezzo dei bond.