Aggiornamento portafoglio: mercati in attesa


I mercati sembrano entrati in una sorta di limbo: ormai da diverse sedute si susseguono movimenti erratici, co pochi spunti e con un atteggiamento attendista sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina. Mentre i rendimenti dei bond continuano a volare, complici anche le evidenze scaturite dalle minute dei verbali della Banche Centrali, l’azionario e le materie prime sono di fatto in laterale.

Ed è proprio sulle materie prime che vale la pena focalizzare la nostra attenzione, per provare a comprendere le ragioni del ritorno del rublo ai valori pre-invasione contro il dollaro. Oltre che a ricavare, forse, qualche elemento di lettura per il tanto paventato (dato quasi per certo…) default di Mosca, che al momento non si è ancora verificato.

In questi ultimi giorni la valuta russa si è di fatto riportata ai livelli di inizio anno, quando ancora la guerra con l’Ucraina era ipotesi poco considerata. Se pensiamo che a fine febbraio eravamo in procinto di celebrare il funerale del rublo, colato a picco in virtù delle dure sanzioni dell’Occidente contro la Russia, l’evento ha quasi dell’incredibile. Oltretutto se consideriamo che tra le sanzioni vi è anche il congelamento delle riserve valutarie russe per 300 miliardi di dollari.

Certo, i fattori che hanno giocato a favore del rublo sono diversi, ma il motivo principe è il fatto che Putin ha ancorato il valore del rublo all’oro. Infatti, a fine marzo il governatore della Banca di Russia ha annunciato che avrebbe ripristinato gli acquisti di oro, stavolta fissandoli a un prezzo di 5.000 rubli per grammo. Tradotto in soldoni, poiché sui mercati internazionali un grammo di oro si compra a 62 dollari, di fatto la Russia ha fissato un tasso di cambio implicito di poco meno di 81 rubli contro il dollaro.

E così, che ci piaccia o no, al momento questa strategia contribuisce a rafforzare il rublo. Un modo per aggirare almeno in parte le sanzioni e una pessima figura per l’Occidente, che tanto avrebbe desiderato un crollo secco e definitivo del cambio russo, così da indurre il Cremlino a miti consigli sul conflitto in corso.

Sotto il profilo delle dinamiche sull’oro, è abbastanza chiaro che implicitamente che la Banca di Russia ha imposto un floor alle quotazioni del metallo, calcolabile largo circa intorno ai 1.930 dollari per oncia, stante il tasso di cambio implicito di circa 81 rubli contro dollaro. Ed inoltre, sul finire della settimana appena conclusa la Banca di Russia, a sorpresa, ha tagliato i tassi d’interesse probabilmente nel tentativo di indebolire un po’ il tasso di cambio.

Rebus sic stantibus, l’Occidente dovrebbe puntare a questo punto sulla caduta del metallo per ottenere il risultato di deprezzare il rublo. Tuttavia, questa operazione è molto rischiosa e poco praticabile. L’oro non sembra essere uno tra i mercati più manipolabili, a meno che le Banche Centrali non inizino a vendere a piene mani le loro riserve. Ed è sperabile che non lo facciano, perché che si priverebbero di un asset prezioso che inoltre segnala solidità finanziaria. Insomma, siamo stati bellamente presi per il naso, e non si sa se per distrazione o perché a monte non si sono valutate tutte le possibili contromosse di Putin. Ora, siamo nella ridicola condizione di dover intaccare le nostre riserve per cercare di distruggere quelle russe. Semplicemente assurdo.

Però, per fortuna le medaglie hanno sempre due facce, e anche se al momento con il rublo ancorato all’oro l’impressione è proprio che Mosca abbia dribblato le sanzioni, la situazione sul lungo termine non è troppo favorevole a Putin. Di fatto, considerando le potenziali dinamiche, la mossa del Cremlino serve senza dubbio a prendere tempo, ma pare comunque rischiosa anche per loro.

Infatti, se tutte le Banche Centrali del pianeta si accordassero per comprare oro a piene mani, la quantità di rubli richiesta diverrebbe insostenibile, con la conseguenza che l’eccesso di liquidità rilasciata sui mercati provocherebbe inflazione e l’istituto dovrebbe sospendere gli acquisti per non perdere la stabilità dei prezzi. Non di meno, ricordiamoci che in tempi di guerra, tra spese militari necessariamente in crescita, oltre ad essere sotto embargo, porterebbe in men che non si dica la fine della convertibilità del dollaro in oro, come avvenne nel 1971 con l’amministrazione Nixon per l’impossibilità di sostenere altrimenti le ingenti spese legate alla guerra in Vietnam.

Tornando al nostro portafoglio, gli ultimi ingressi più conservativi stanno facendo il loro lavoro e ci regalano nel complesso un piccolo progresso del nostro asset globale. Il nostro portafoglio, all’ultimo close disponibile, valorizza un NAV a 106,16 in risalita rispetto al precedente106,04. La performance storica su base annua è in lieve crescita al +3,07% rispetto al +3,05% della scorsa valorizzazione. Scende la volatilità totale, ora all’1,43% così come quella negativa che passa allo 0,50%. 

Portafoglio ed equity line aggiornati nell’apposita sezione.