Siamo apparsi regolarmente su:

Mercato obbligazionario: tornano le pressioni sul debito


In queste ultime settimane abbiamo assistito sia al rialzo generalizzato dei rendimenti sia il ritorna dell'allarme debito, con nuove tensioni sullo spread ITA/GER e con l’approvazione in extremis dell’innalzamento del tetto del debito da parte degli USA.

Di fatto, l'era in cui spendere in deficit sembrava un pasto gratuito è ormai un ricordo lontano. Da tempo ormai, i mercati sono sempre più attenti e cauti riguardo al costo del debito pubblico e immediatamente pronti a penalizzare chi lo lascia sfuggire al controllo.

Secondo Bankitalia, il debito pubblico italiano può essere considerato sostenibile a patto che venga implementato un piano di spesa convincente. Questo messaggio richiama alla mente gli avvertimenti pronunciati da Mario Draghi durante il suo mandato a Palazzo Chigi, quando lo spread tra i rendimenti dei Btp italiani e i Bund tedeschi raggiunse i 200 punti base.

Se paragonato ai picchi dello spread durante le crisi del 2011 o del 2018-2020, quando si parlava liberamente di exit strategy e mini-bond fuori dall'euro, un differenziale di due punti percentuali potrebbe sembrare modesto. Però, se consideriamo che con il rendimento dei Bund che è cresciuto dal quasi zero a quasi il 3%, è facile capire che ciò si traduce in un costo del debito italiano che veleggia verso il 5% in due anni, considerando un debito che si avvicina ai 3.000 miliardi di euro.

Mentre la stampa specializzata italiana fa spesso riferimento allo spread ITA/GER, quella internazionale si concentra sull'allarme relativo al debito federale degli Stati Uniti. La parola chiave qui non è spread ma shutdown, ovvero il rischio di un blocco della spesa pubblica che si presenta con cadenza regolare, spesso evitato all'ultimo minuto, come accaduto di recente fino a metà novembre.

Ciò che preoccupa maggiormente, come sottolineato da The Economist, sono i crescenti rendimenti richiesti dagli investitori per acquistare un debito che ora rappresenta quasi il 100% del PIL degli Stati Uniti. Tale debito è passato da 230.000 miliardi di dollari prima della pandemia a 330.000 miliardi oggi, mentre prima della crisi finanziaria del 2008 era inferiore a 100.000 miliardi. Questo significa che il costo del debito supererà la spesa per la difesa entro il 2030 e, vent'anni dopo, costituirà la metà delle entrate fiscali federali. Sebbene il deficit pubblico abbia contribuito alla resilienza dell'economia statunitense, rappresenta anche un ostacolo per la Federal Reserve, che non può abbassare i tassi di interesse in modo significativo senza alimentare l'inflazione.

Tuttavia, gli USA hanno come sempre un margine di manovra maggiore. Infatti, gli Stati Uniti godono di una flessibilità molto maggiore rispetto all'Italia. Non sono vincolati dai trattati di bilancio europei come il Patto di Maastricht e godono ancora per ora della posizione privilegiata del dollaro nel contesto finanziario internazionale.

Ciò però non toglie che le complesse manovre politiche relative al debito federale possono suscitare preoccupazioni anche a Wall Street. Se persiste l'idea che il deficit federale sia trascurabile, Washington si troverà costretta a scegliere tra un brusco passaggio dall'eccesso di spesa all'austerità o a costringere la Federal Reserve a mantenere tassi di interesse più elevati per un periodo più lungo, con conseguenze per l'economia e, in ultima analisi, per tutte le società quotate. E, naturalmente, l'imminente anno elettorale, previsto come molto turbolento, non fa che aggiungere ulteriori complicazioni.

Anno elettorale, per certi versi, globale, visto che anche l'Italia è chiamata ad affrontare sfide e opportunità in un anno elettorale europeo. Al momento, la questione più urgente riguarda il nuovo Patto di Stabilità, che dovrà sostituire quello sospeso all'inizio del 2020 a causa della pandemia, favorendo la spesa indiscriminata e poi corretto da Mario Draghi. Naturalmente ora le conseguenze le stiamo pagando in termini di deficit e costo del debito.

E non possiamo non considerare che, quando c’erano tassi quasi zero, gli acquisti della Bce avrebbero forse potuti essere sfruttati anche per un massiccio rifinanziamento del debito a condizioni estremamente favorevoli. Un nuovo Patto più attento alla crescita e meno al rigore nominale non è malvisto dagli altri grandi partner, come Francia, Germania e Spagna, ma va negoziato con grande abilità politica, forse non proprio il nostro forte…

Sotto questo profilo, sono in molti a riporre non poche speranze nella leadership di Mario Draghi, che come la storia ci insegna potrebbe rivelarsi un grande beneficio. Infatti, la competenza e l’autorità morale riconosciuta a Draghi in Europa non è in discussione, e forse non a caso le sue qualità potrebbero essere nuovamente messe a disposizione dell'Italia e dell'Unione Europea nel nuovo incarico affidatogli da Ursula von der Leyen per elaborare una strategia volta a rilanciare la competitività del continente, ormai logorata.

È probabile che si stia aprendo una nuova fase con equilibri ben diversi da quelli osservati e vissuti negli ultimi dieci anni. Infatti, dopo un decennio di denaro a basso costo, grazie anche all'assenza di inflazione, il ritorno alla normalità comporta inevitabili turbolenze.

Come sempre, staremo a vedere.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra una robusta salita dei rendimenti su tutto il tratto della curva rispetto alla scorsa analisi. Infatti, rispetto alla scorsa lettura il rendimento della scadenza a 10 anni sale in area 3,38% rispetto al 3,16% precedente, mentre la scadenza trentennale sale in area 2,96% rispetto al precedente 2,71%. Ancora sostanzialmente immutata la conformazione della curva, che rimane invertita con un differenziale 10Y-2Y in restringimento agli attuali -43 bps dai precedenti -51 bps. Si iniziano però ad intravedere alcuni cambiamenti sulla parte a medio, con i mercati che stanno metabolizzando tassi elevati per un lasso di tempo ancora lungo. In salita anche il tratto a breve, con la curva che evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze di fine 2024 in area 4,30% rispetto al 4,14% della scorsa analisi. Si modificano anche per le previsioni dei tassi forward su Euribor 6 mesi sia sulle scadenze a breve sia su quelle a lunga. La curva rimane impennata e vede ora i tassi attesi in area 4,30% per metà 2024, per poi rimanere sempre sopra al 3,00% e con una risalita verso il 3,50% a partire dal 2030.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali si nota la ripresa alla salita dei rendimenti su tutte le aree valutarie. L’area UK vede il rendimento per il GILT in rialzo in area 4,54% dal precedente 4,46% e con Trendycator che si conferma in stato LONG. Volano al rialzo i rendimenti del BUND, che si porta ora un soffio sotto area 3,00% rispetto al precedente 2,62% e con Trendycator che si mantiene stabilmente in stato LONG. In aumento deciso anche i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 4,86% con uno spread poco sotto area 200 bps e modello Trendycator che è ora posizionato in stato LONG. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che continuano a salire e volano al 4,60% rispetto al precedente 4,25% e bucando i precedenti massimi in area 4,30% registrati a fine 2022, con Trendycator che si conferma in stato LONG.

Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Consueta sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Bond in evidenza
Al netto della pausa sulle politiche monetarie di Fed e Bce, la salita dei rendimenti potrebbe non essere ancora conclusa, come per altro ci stanno indicando i tassi forward su Euribor 6 mesi. La strategia di portafoglio va dunque improntata alla massima prudenza poiché la pressione sui prezzi dei bond è stata notevole nelle ultime sedute.

La strategia da privilegiare resta quella di allocare una buna parte di liquidità su strumenti monetari o a breve scadenza che oggi offrono rendimenti interessanti in termini nominali. Per chi ha molto capitale e non ha timore di rimanere incastrato su obbligazioni più lunghe, può valutare certamente l’inizio di un accumulo su titoli a lunga scadenza che hanno perso molto e che in prospettiva potrebbero mettere a segno un discreto upside di prezzo.