Inflazione che viene, inflazione che va: qualche consiglio per non sbagliare


Cedole & dividendi

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Una settimana interamente dedicata a come proteggersi dall’inflazione, in un’ottica di lungo periodo. Vi proporremo vari articoli sul tema.

Attenzione all’inflazione! Non è un “asset” su cui si investe (oggi) in ottica speculativa. E’ invece di nuovo un pericolo costante per i rendimenti reali di qualunque patrimonio. Lo ricordiamo perché negli ultimi giorni c’è chi ha segnalato come le tensioni inflazionistiche si siano qua e là attenuate, riducendo di conseguenza l’interesse per tutto quanto protegge dalla loro pressione sui portafogli di qualunque tipo. Ragionare in un’ottica di brevissimo periodo – come se si trattasse di un prodotto finanziario – è sbagliato. Sia comunque chiaro, se c’è un argomento su cui le opinioni divergono è proprio quello dell’inflazione. Quanto segue è quindi il frutto di riflessioni basate su una varietà di pareri, in cui verità e mezze verità spesso si elidono. Ecco allora qualche modesto consiglio per non sbagliare.

1°) E’ meglio non credere né in chi enfatizza il risveglio dell’inflazione né in chi lo minimizza. Il movimento rialzista degli ultimi dodici mesi è stato rilevante ma causato da una spirale al ribasso che si era compressa al massimo, per fattori diversi.

2°) Il tema inflazione è obiettivo primario dell’azione delle Banche centrali. Hanno fatto di tutto (rovinando i mercati in termini di liquidità) per farla crescere. Faranno di tutto per tenerla sotto controllo. Ecco perché bisogna avere una visione globalizzata sul tema, ovvero non concentrarsi su Italia o Europa, ma puntare sul “worldwide”, perché da qualche parte l’effetto inflattivo andrà alle stelle, in quanto meno gestibile rispetto alla struttura monetaria occidentale. Uno “spread” su cui puntare sta quindi sull’inflazione fra “old economies” e “new economies”.

3°) La spinta degli ultimi mesi è derivata in buona parte dall’aumento del prezzo del petrolio. Quando arriverà al picco probabile dei 60 $ cosa succederà all’inflazione? Si stabilizzerà, arretrerà – perché sconterà una normalizzazione delle quotazioni del greggio – o esploderà, seppur in presenza di azioni di contenimento da parte delle Banche centrali? La terza opzione è la meno probabile. Solo allora si potranno però intuire le dimensioni reali del risveglio inflattivo.

4°) La vera inflazione, quella duratura, è comunque determinata dall’aumento dei salari e quindi dei consumi. Tutto il resto ha impatti meno persistenti. Dati attendibili sul 2016 in Europa non sono ancora disponibili (ma è questione di giorni!). Tuttavia un’analisi del quadro generale del costo del lavoro fa emergere un fatto scarsamente considerato: i 28 Paesi Ue – inserendo pure la Gran Bretagna – confermano enormi divari fra loro. L’est europeo ha costi bassissimi ed è qui che si concentra ormai la maggiore produzione industriale. Il grafico è esplicativo al proposito ed ecco spiegato perché le prospettive di rimbalzi inflattivi dovuti a questo fattore sono marginali.

5°) Dopo aver detto di inflazione adesso parliamo di strumenti finanziari antinflattivi. E più in particolare di bond “inflation linked”. Nella fase attuale piacciono molto ma rendono poco, perché sono ancora troppo cari, con due fattori che li sostengono: i bassi tassi di interesse, che ne rendono appetibili le pur modeste cedole nominali; il loro prevalente utilizzo in una visione di lungo termine da parte degli investitori istituzionali. Il risultato è che se i loro “yield” sono in certi casi ancora negativi e in altri marginali, la funzione protettiva sul capitale è indiscutibile per chi ha una visione “hold”. Quindi gli “i.l.” tutelano più e meglio – almeno nella fase attuale di incertezza – rispetto a qualsiasi altro strumento.

6°) Con un’inflazione ancora tendenzialmente bassa, considerando le medie dei sali e scendi, chi si era scaricato del tutto di prodotti “inflation linked” deve oggi rimetterli in portafoglio, pur sapendo che la scelta porterà scarsi rendimenti reali nel breve e medio periodo.

7°) Un confronto delle diverse tipologie di obbligazioni conduce a questi risultati:

Categoria

Rendimento

Rischio

Range “spread” (1)

Corporate in $

Medio

Medio

80 / 250 pb

Corporate in €

Basso

Elevato

70 / 250 pb

High yield in $

Elevato

Elevato

350 / 1000 pb

High yield in €

Medio

Elevato

300 / 1200 pb

T. Stato emergenti (in $)

Elevato

Medio

280 / 550 pb

T. Stato emergenti (in valute locali)

Elevato

Medio

350 / 600 pb

Inflation linked in $

Basso

Basso

10 / 100 pb

Inflation linked in €

Basso

Basso

20 / 200 pb

  1. (1) Forchetta di rendimenti rispetto a titoli a basso rischio (rating AAA) in presenza di scenario a 12 mesi positivo o estremamente negativo per la singola categoria oppure per i mercati nel loro insieme.

    Non si sono presi volutamente in considerazione titoli di Stato europei e Usa, troppo soggetti a pressioni ribassiste. Risulta evidente come gli “inflation linked” siano oggi la categoria meno esposta a fattori di rischio, pur in un quadro di rendimenti molto bassi. Svolgono quindi il loro compito, meglio e più rispetto ad altre asset considerate protettive, ma non ci si aspettino performance significative.

    8°) In conclusione: un cambiamento è in atto e va attentamente valutato, senza però eccessi. Un po’ di “inflation linked” e di altri strumenti anti inflattivi vanno messi in portafoglio. Quali e come? Ne scriveremo nei prossimi giorni.

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