Il totonomi del dopo Draghi, da qui dipende il futuro dei vostri risparmi


Sei o forse otto o forse dieci candidati. Potrebbe non essere un tedesco e magari uscire dal cappello della Bce un nome a sorpresa. Comunque all’insegna di una politica monetaria molto prudente.

Cedole & dividendi

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Che la si consideri la seconda banca mondiale per importanza o la prima “bad bank” del credito sempre a livello mondiale, la Bce ha svolto – nel bene e nel male – un ruolo fondamentale per i risparmi degli europei e soprattutto degli italiani. Domandarsi allora chi sostituirà Mario Draghi dal novembre 2019 alla guida dell’Eurotower non è tentare di soddisfare una curiosità in anticipo di poco più di un anno ma capire quale politica monetaria influenzerà l’euro dal 2020 in poi.

Cosa si dice a Francoforte

L’argomento è caldo anche all’interno della Bce, perché Draghi con la sua personalità a metà fra quella latina e quella anglosassone ha fortemente caratterizzato il periodo più difficile della non lunga storia della Bce, riuscendo fra l’altro a svolgere un ruolo di pompiere della finanza. La nomina dell’erede sarà quindi più importante di quanto forse l’opinione pubblica non valuti. A Francoforte si fanno previsioni e commenti su chi potrà essere il nuovo Presidente della Bce. Noi abbiamo raccolto il tutto in una sintetica tabella utile a capire cosa sta avvenendo.

Il nome

Il Paese

Le possibilità

Piace o no

Jens Weidmann

Germania

Forti ma in calo

Troppi tedeschi nei ruoli chiave

F. Villeroy de G.

Francia

Incerte

Alla Germania non va giù

Philip Lane

Irlanda

In crescita

Un uomo fuori dai giochi dei potenti

Ardo Hansson

Estonia

In crescita

Un nordico che piace al sud

Klass Knot

Olanda

Stabili

Il fautore della normalizzazione

Erkki Liikanen

Finlandia

In crescita

Un falco moderato

La lista potrebbe proseguire ma con nomi meno significativi. Occorre però considerare alcuni aspetti decisivi nella scelta.

1°) Weidmann, essendo tedesco, rappresenterebbe un definitivo segnale di presa di potere di Berlino nell’Unione europea e ciò sarebbe inviso da molti Paesi, a cominciare dalla Francia. Inoltre c’è da considerare che la Merkel avrebbe mire di trasferirsi alla guida dell’Unione europea, dopo le prossime elezioni, il che porterebbe a escludere in anticipo la nomina di Weidmann.

2°) Villeroy de Galhau ha un grosso problema: si chiama Moscovici, potenziale candidato a ministro delle Finanze se Macron riuscirà a imporre questo inedito ruolo chiave per l’Unione europea. Due francesi sotto tetti pur diversi sarebbero davvero troppi.

3°) L’idea di nominare un banchiere centrale (o ex che sia) di Paesi nordici minori apparirebbe un ottimo compromesso per rinsaldare i legami fra le potenze economiche tedesca, francese e italiana (malgrado tutto lo siamo ancora!) rispetto alle nazioni più piccole ma meglio gestite dal punto di vista dei conti pubblici.

4°) C’è un candidato preferito da Draghi? Si dice che sia Erkki Liikanen, il finlandese, perché potrebbe fare un buon lavoro di collegamento fra rigoristi ed espansionisti.

5°) L’ipotesi di un outsider non sarebbe da escludere se si volesse salvaguardare gli equilibri interni. Già si fanno i nomi di Klaus Regling (presidente dell’European Financial Stability Facility, ma tedesco) e di Christine Lagarde (direttore operativo del Fondo Monetario Internazionale, ma francese). La seconda opzione sarebbe una vera e propria sciagura per l’Italia, date le sue più volte annunciate ricette iper rigoriste nei confronti del nostro Paese.

5°) Una certa prassi reclamerebbe che si alternasse alla guida della Bce un Presidente del sud e un vice presidente del nord e viceversa. Talvolta le cose sono andate in maniera diversa ma la recente nomina dello spagnolo Luis De Guidos ad attuale vice presidente viene visto come il segnale di riconferma della consuetudine.

Normalizzazione ci sarà mai?

L’eterna guerra fra rigoristi ed espansionisti si accentuerà nei prossimi due/tre anni nell’area euro ma non si pensi a una singolar tenzone fra i due fronti. I margini di azione sono ristretti per gli uni e per gli altri. La normalizzazione dei tassi avverrà – se avverrà – nel lungo periodo, probabilmente fra fasi alterne. I banchieri centrali hanno preso gusto a tirare le fila di un teatro che significa guidare le sorti dell’economia mondiale. Non pensate quindi che un Weidmann – se prescelto – potrebbe portare i tassi al 3-4%, così come un erede della linea Draghi restare ancorato ai tassi a zero. Le due linee dovranno trovare un indirizzo comune e quindi aspettatevi per i vostri soldi performance modeste derivanti dalla politica monetaria. Ecco perché solo la diversificazione dei mercati e soprattutto degli strumenti vi salverà, come dimostra d’altra parte la più recente esperienza. Il gioco si farà ancor più duro e vi salvaguarderà solo la prontezza di reazioni di fronte a un contesto in cui la parola normalizzazione potrebbe scomparire dal vocabolario della finanza. Anche perché il nuovo numero uno della Bce non dovrà affrontare solo l’argomento dei tassi ma pure quello dell’Unione bancaria e dell’Unione del mercato europeo dei capitali. Ci sarà di che far tremare davvero i polsi fra compromessi di ogni tipo.

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