NASDAQ100 WEEKLY - Prosegue senza sosta la cavalcata degli indici azionari USA !


SEGNALI DI ENTRATA E DI USCITA DEL MODELLO QUANTITATIVO LOMBARD PER IL TRADING SULLE AZIONI NASDAQ TIME FRAME SETTIMANALE. ESCE OGNI INIZIO SETTIMANA.

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Ed anche questa settimana si è chiusa con l'aggiornamento di nuovi massimi storici raggiunti, venerdì scorso, dai 3 maggiori indici azionari statunitensi con il DOW JONES che nelle ultime due sedute recupera parte del terreno perduto nei confronti degli altri 2 indici ma inevitabilmente si porta in zona di ipercomprato, con l'S&P500 che rompe e chiude sopra i 3000 punti ed il NASDAQ100 che nonostante sia stato frenato dalla correzione del settore Biotech, è riuscito nell'impresa.

 La stagione dei risultati economici societari del secondo trimestre inizia questa settimana mentre dalle società arrivano avvertimenti sull’impatto della guerra commerciale tra Usa e Cina sugli utili. In base ai dati di Refinitiv Ibes, si prevede che le aziende dello S&P 500 riportino una flessione dei profitti dello 0,4% rispetto allo scorso anno.

Diamo ora, come di consueto, i numeri. La migliore performance settimanale è stato appannaggio dell'indice DOW JONES che ha chiuso venerdì scorso le contrattazioni a 27332 guadagnando il + 1,53% seguito dall'indice NASDAQ100 che che chiudendo la settimana a 7943,24 ha guadagnato il + 1,3%, infine l'indice S&P500 ha chiuso la settimana a 3013,77 guadagnando il + 0,78%.

A livello politico a tenere gli investitori in tensione è la minaccia di Pechino di imporre sanzioni contro le società americane che vendono armi a Taiwan dopo che Washington ha approvato possibili vendite per 2,2 miliardi di dollari in carri armati, missili ed attrezzature collegate. Anche per questo proposito che il vice primo ministro cinese, Liu He, ha avuto un colloquio telefonico con il rappresentante Usa per il Commercio, Robert Lighthizer, e con il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, secondo quanto riporta un breve comunicato apparso oggi sul sito web del Ministero del Commercio di Pechino. Alla chiamata era presente anche il ministro del Commercio cinese, Zhong Shan.

A livello di politica monetaria si è svolta, mercoledì scorso, la testimonianza semestrale del presidente Jerome Powell al Congresso e giovedì scorso davanti alla Commissione sui servizi finanziari della Camera. Il succo del messaggio è stato che "La Fed agirà in maniera appropriata" di fronte ad alcune inversioni di tendenza che pesano sulle prospettive Usa.

Decriptando il messaggio di Powell, gli investitori hanno riscontrato delle rassicurazioni sulla volontà di avviare un mini ciclo di ribassi del costo del denaro, scontando un ribasso di 25 punti base nella riunione in agenda a fine mese nel vertice Fed del 30 e 31 luglio, ottimismo che ha spinto subito gli acquisti sui mercati finanziari. In particolare Jerome Powell ha insistito sul pericolo di un peggioramento del contesto economico. Interpellato da un membro della commissione sul boom degli occupati di giugno, il governatore della banca centrale ha risposto che il dato di venerdì non cambia lo scenario.

Le incertezze sul commercio con la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina pesano sulla crescita globale, tensioni che avrebbero inciso in particolare su agricoltura e esportazioni, così come la Brexit ancora indefinita nel suo quadro evolutivo e il limite del debito federale americano che non è stato ancora deciso. Immutata la pressione sull'inflazione. Ma i fondamentali che spingono la crescita americana restano solidi. E l'economia Usa continua ad andare “abbastanza bene”. Il mercato del lavoro “resta sano” e la spesa dei consumatori è stata “consistente”. Tuttavia l'outlook sull'economia non è migliorato nelle ultime settimane.

Powell ai deputati americani ha illustrato in dettaglio i rischi e le incertezze che pesano sulle previsioni di crescita per gli Stati Uniti nella seconda metà dell'anno. Le conseguenze della trade war tra Usa e Cina, ha notato, hanno già penalizzato gli investimenti delle aziende “notevolmente rallentati”. In alcune delle maggiori economie mondiali l'incertezza sul commercio sembra già aver causato “un rallentamento della crescita”. “Questa debolezza potrebbe influire anche sull'economia americana”, ha detto Powell, aprendo le porte all'atteso taglio dei tassi, quasi a voler giustificare davanti ai parlamentari una mossa in arrivo, suggerita da tempo dal presidente americano in un irrituale rapporto istituzionale “interventista” tra Casa Bianca e Fed. “Ci sono ancora una serie di decisioni politiche irrisolte, legate alle questioni commerciali, alla soglia del debito federale americano e alla Brexit”, ha spiegato Powell che influisce sulla volatilità dei mercati e sulle previsioni economiche.

Powell ha ricordato che il suo incarico dura quattro anni, che intende portarlo a termine, senza mai far riferimento diretto al presidente Trump, ma ribadendo l’autonomia del Consiglio con queste testuali parole: "L'indipendenza ci rende efficaci".

Ovviamente dopo la testimonianza del Presidente Powell, sono ripartiti i dibattiti intorno alle decisioni da prendere a fine mese. Per Patrick Harker, presidente della Fed di Filadelfia, "non c'è un bisogno immediato" di cambiare la rotta dei tassi di interesse, abbassandoli, visto che "l'economia usa continua a essere forte" e il mercato del lavoro è "solido". Invece Larry Kudlow, consigliere economico della Casa Bianca, è convinto che la Fed debba tagliare i tassi nella riunione di fine mese: "Una crescita rapida, una bassa disoccupazione e una solida creazione occupazione non creano inflazione. Bisogna guardare agli indicatori dei prezzi, non all'occupazione. E' un approccio migliore". Il target della Banca centrale è di prezzi in rialzo al 2% annuo e, mentre l'occupazione è solidissima, su questo fronte il lavoro non è ancora compiuto. Per Kudlow infatti "c'è spazio per ovviare al rialzo dei tassi di dicembre, che non era necessario".

Nel corso dei suoi 105 anni di storia, la Federal Reserve ha modificato la propria politica monetaria in seguito a crac immobiliari, guerre, bolle finanziarie e fiuto di politica monetaria su come sarebbe andata l’economia. Questa volta, però, l’istituto centrale Usa sta costruendo le basi per la prima mossa guidata dai tweet del presidente Donald Trump, che il 30 maggio ha minacciato nuovi dazi sul Messico qualora non avesse accettato di limitare il flusso di migranti lungo il confine con gli Usa. La congiuntura della prima economia mondiale non ha risentito nell’immediato della presa di posizione della Casa Bianca, ma i famosi “tweet” del presidente hanno trasformato la politica sui dazi da fenomeno marginale — secondo la banca centrale — a problema centrale.La Fed non ha mai deluso un mercato che ha attese così forti” si legge in una recente analisi del chief economist per le Americhe di Natixis, Joseph Lavorgna. “Sarebbe un fatto senza precedenti se la Fed non tagliasse”.

La prima tornata di dazi Usa applicata ad alcuni partner — in particolare Pechino — era stata liquidata come una questione di scarsa importanza macroeconomica, con la banca centrale che ancora a inizio maggio anticipava tassi invariati in un range tra 2,25% e 2,50% per il resto dell’anno. La stretta sui dazi cinesi annunciata sempre in maggio, insieme alla crescente sensazione che le due maggiori economie mondiali avrebbero potuto non raggiungere un accordo, si è sommata alla minaccia sul Messico dando l’idea che la politica protezionista e l’incremento dei dazi non sarebbero stati un fenomeno transitorio, anche a discapito della crescita e degli investimenti. Pertanto un taglio dei tassi il 31 luglio prossimo anche se non del tutto deciso verrebbe letta come una mossa espansiva simile a quanto successo a metà degli anni 90, quando la banca centrale optò per un approccio graduale volto al rilancio della crescita anziché confrontarsi con l’imminente recessione imminente.

Passiamo ora ai più importanti dati macro usciti nella scorsa settimana, iniziando dal dato sull’inflazione annuale, che a giugno si è attestata all’1,6%, come le previsioni, e sotto il dato precedente di maggio a 1,8%. Al netto delle componenti più volatili (alimentari ed energia) l'incremento è stato del 2,1%, sopra il +2% atteso. Su base mensile, l'incremento del dato al netto delle componenti volatili è stato del +0,3%, contro il +0,2% stimato e confrontabile con il +0,1% del mese precedente. Un incremento superiore alle previsioni e che dopo i buoni dati sull'occupazione usciti ad inizio mese potrebbe complicare la vita alla FED nella decisione di effettuare un primo taglio dei tassi a fine luglio. Ma come abbiamo letto in precedenza, dalle parole di Powell si evince una forte accondiscendenza all'intervento.

Terminiamo con il dato annualizzato sui prezzi alla produzione USA che nel mese di giugno sono in rialzo del +1,7% oltre le attese degli economisti (+1,6%) ma inferiore al dato di maggio. Al netto delle componenti più volatili, alimentari ed energia, il dato mostra un incremento del 2,3%, sopra il 2,1% stimato ed in linea con il dato di maggio.

Infine uno sguardo al nostro Portafoglio azionario nel quale, anche se non abbiamo raggiunto alcun target, le performance sono tutte positive ad eccezione del titolo REGENERON che soffre come tutto il comparto biofarmaceutico.

Titoli sotto la lente nella scorsa settimana:

AMAZON + 3,5%. Dopo ben otto giornate consecutive di rialzo arriva ad un prezzo di 2.035 dollari, pari ad una capitalizzazione di 1.000 miliardi di dollari.

AMGEN – 5,9%. La Società biotecnologica insieme a Novartis e Banner interrompe il programma di ricerca clinica con inibitore di Bace Cnp520 per la prevenzione dell'Alzheimer. Gli sponsor della ricerca hanno stabilito che il rischio ha superato il potenziale vantaggio dei partecipanti allo studio.

COMCAST + 3,2%. Il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti ha ricevuto un giudizio positivo da Goldman Sachs, che ha alzato la raccomandazione a Buy da Neutral, portando il target price a 54 dollari da 44 dollari. 

FASTENAL – 3,6%. La società attiva nella distribuzione all'ingrosso di forniture industriali ed utensili ha chiuso il secondo trimestre con ricavi a 1,4 mld. Cresciuti del 7,9% su base annua $ e profitti a 0,36 $/az. sotto le attese degli analisti, arrivando a perdere il – 6% in settimana per poi recuperare parte delle perdite.

FACEBOOK + 4,3%. La Società e la Federal Trade Commission (FTC) si stava avvicinando ad un accordo da 5 ,iliardi di $ per porre fine all'indagine sulla società dopo lo scandalo di Cambridge Analytica dello scorso anno .

ILLUMINA -19,2%. Crolla il colosso del biotech specializzato in sequenziamento genetico, dopo i deludenti dati preliminari sulle vendite del secondo trimestre.

INTEL + 4,0%. La Società può richiedere la licenza per avviare nuove vendite ad Huawei. Dei $ 70 miliardi che Huawei ha speso per l'acquisto di componenti nel 2018, circa $ 11 miliardi sono andati a società statunitensi tra cui Qualcomm, Micron Technology ed appunto Intel.

MICRON TECHNO + 12,9%. La società ha avviato il piano di buyback sui suoi bond.

NETAPP - 5%. La società tecnologica ha ricevuto un giudizio negativo da Citybank, che ha portato la raccomandazione a Sell da Neutral.

ROSS STORES + 5,1%. La Società dell'abbigliamento e della moda a prezzo ridotto, un settore ben posizionato e che dovrebbe continuare a guadagnare quote di mercato, ha beneficiato dell'aggiornamento del rating da A3 ad A2 sulle obbligazioni senior non garantite da parte di Moody's Investors Service ("Moody's"). L'outlook è stato modificato da positivo a stabile.

TESLA + 5,15%. Bloomberg, citando una mail inviata all’interno della società, riporta che la società avrebbe intenzione di aumentare la produzione di veicoli elettrici, dopo l’aumento delle consegne nel secondo trimestre. 

WESTERN DIGITAL + 14,0%. Anche su questa Società sono piovuti gli acquisti dopo il via libera da parte del Governo USA circa la richiesta di licenze per riavviare le vendita ad Huawei.

Segnaliamo infine una situazione che non coinvolge direttamente i titoli del NASDAQ100 con CIGNA, società attiva nella copertura sanitaria e nelle polizze mediche che vola al rialzo del 13% a 184 dollari trascinando tutto il settore all’insù, così salgono HUMANA +11%, UNITEDHEALTH +6%, CVS HEALTH +5%, ANTHEM +5%. 
Dietro al rally c’è la decisione della Casa Bianca di ritirare una proposta di revisione delle pratiche commerciali in uso tra produttori di farmaci ed intermediari, il controverso provvedimento, nelle intenzioni di Donald Trump, avrebbe dovuto portare ad una discesa dei prezzi finali delle medicine prescritte dai medici. Ne escono con le ossa rotte le società farmaceutiche, PFIZER -3,5%, ELI LILLY -4% ed ALEXION PHARMA – 7,30%.


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Pagina a cura di GIANMARCO LUCHETTI SFONDALMONDO.