Il più grande e virtuoso fondo sovrano del mondo investe così. E’ il caso di copiarlo?


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Cedole & dividendi

Diciamolo subito: è quello norvegese. Gente concreta, lavoratrice e onesta, sebbene la sua ricchezza dipenda da madre natura, ovvero dal petrolio estratto nel mare del Nord. Il patrimonio, che amministra, assomma all’equivalente di 850 miliardi di euro, con rendimenti annui sempre significativi. Nel 2016 hanno toccato il 6,9%. Vale quindi la pena studiarne composizione e linee di gestione.

Innanzi tutto occorre precisare che la scelta di base è evitare qualsiasi investimento “strampalato”, quali in società di calcio, aziende altamente speculative o nuovi business, come accade per altri fondi sovrani, per esempio del Medio Oriente o asiatici. L’obiettivo è garantire al Paese prosperità futura, senza avventurismi. Ciò non esclude che le linee guida siano abbastanza aggressive, con una ripartizione fra i vari asset stimabile in queste percentuali:

1°)

Azionario

62,5%

2°)

Obbligazionario

34,3%

3°)

Immobiliare

 3,2%

A un italiano, abituato a investire prevalentemente in case e titoli di Stato, nonché a mantenere elevate quote del proprio patrimonio in liquidità, una simile suddivisione fa forse venire i brividi. E li fa venire ancora più l’indiscrezione secondo cui il fondo norvegese vorrebbe modificare così le quote nel 2017:

1°)

Azionario

70,0%

2°)

Obbligazionario

23,0%

3°)

Immobiliare

 7,0%

E’ evidente la volontà di alleggerire la presenza sul fronte bond e di aumentare l’esposizione azionaria. Non è però dato da sapere quali strumenti protettivi i suoi gestori utilizzino di fronte a un posizionamento potenziale su circa 600 miliardi di euro in “shares”. Così come preoccupa non poco l’intenzione di ridurre la presenza sull’obbligazionario, poiché si potrebbe trattare di una bomba per i mercati. Certo è che il tutto avverrà con grande progressività, allo scopo di evitare impatti negativi in un senso (acquisto di azioni) e nell’altro (vendita di bond).

Una lezione i gestori norvegesi la danno: studiano con grande attenzione la ripartizione settoriale dei titoli in portafoglio, per riuscire a diversificare le aree di rischio. Al primo posto collocano il comparto finanziario (23,5%), seguito da industria (14,2%), vendita di beni di largo consumo (13,8%), servizi (10,4%) e sanità (10,3%). Basse le quote riferite a tecnologia (9,5%), energia (6,4%) e minerario (5,6%). Quasi assenti telecomunicazioni e utilities. Le logiche di tali scelte non sono divulgate, ma di certo sorprende che un fondo arricchitosi con il petrolio dedichi scarsa attenzione proprio a questo comparto. Probabilmente è una specie di legge di compensazione!

Ora è il caso di svelare la suddivisione per singole azioni (dati riferiti a fine 2016).

Società

Paese

Ammontare (*)

1°)

Nestlé

Svizzera

5,7

2°)

Royal Dutch Shell

G.B./Olanda

5,2

3°)

Apple

Usa

5,0

4°)

Alphabet

Usa

4,1

5°)

Microsoft

Usa

3,9

6°)

Roche

Svizzera

3,7

7°)

Novartis

Svizzera

3,6

8°)

Blackrock

Usa

3,1

9°)

ExxonMobil

Usa

3,0

10°)

Johnson&Johnson

Usa

2,9

(*) In miliardi di euro

E’ lampante l’assenza di azioni in euro e quindi delle “majors” tedesche e francesi, confermata dal seguito della lista, in cui si ritrova una sola società Ue, la belga Anheuser-Bush InBev, multinazionale delle bevande alcoliche e analcoliche. Poca fiducia nelle sorti della nostra valuta? Sembra che i motivi della scelta non siano di questa natura. Resta comunque preponderante la presenza di “shares” Usa e svizzere, considerate strategiche come solidità dei relativi business.

Il modello è riproponibile per un piccolo investitore? A nostro giudizio solo in parte, anche perché poche delle azioni prescelte sono per esempio buone dispensatrici di dividendi e comunque la percentuale di asset a rischio (se non si è coperti con derivati) eccessiva. I norvegesi comunque appaiono convinti della qualità di tali strategie e i risultati danno loro totalmente ragione.

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