Mercati 2018: come potrebbero muoversi. Le opinioni del risparmio gestito


Obbligazioni, azioni e coperture: sono i temi oggi in evidenza in base alle previsioni di quattro leader del settore.

Cedole & dividendi

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L’approvazione nella notte della riforma fiscale Usa, tanto caldeggiata da Trump, riporta tranquillità sui mercati, sebbene sia ancora impossibile definirne l’effetto riferito ad azioni e Treasuries. E’ un rilevante successo, che potrebbe fra l’altro impattare sul cambio €/$ e che in parte modifica le valutazioni degli analisti delle ultime settimane, scettici sulla possibilità che la correzione fiscale venisse ratificata. Questa precisazione è d’obbligo, visto che oggi riportiamo proprio delle valutazioni sulle prospettive dei mercati 2018 a poche settimane dall’inizio di un anno su cui – come quasi mai in passato – le incertezze appaiono enormi.

Coprirsi o no? L’opinione di T. Rowe Price

Timori sui mercati 2018? Una possibilità per difendersi sta nel coprirsi. I modi per farlo sono prevalentemente due: con un sottopeso o una posizione corta su un titolo che tende ad avere una valutazione alta, oppure puntando direttamente sulle opzioni. In entrambi i casi il costo della copertura è attualmente ai minimi storici: nel primo perché i rendimenti sono così insignificanti che il costo opportunità di non mettere in portafoglio tanti titoli è bassissimo, nel secondo perché la volatilità implicita è ai minimi, cosa che riduce il costo delle opzioni. Anche in presenza di costi bassi, tuttavia, negli ultimi anni le coperture non sono state particolarmente redditizie perché di fatto, in presenza di eventi negativi, la reazione è stata per lo più di indifferenza.

Quindi, secondo gli analisti di T.Rowe Price, occorre capire se i mercati 2018 continueranno a essere indifferenti o se ci saranno eventi di rischio esogeno che li costringeranno a reagire, volenti o nolenti. Secondo tale gestore ci sono ancora incognite che richiedono una copertura di qualche tipo: principalmente sono le politiche delle banche centrali e la situazione in Corea del Nord.

Axa: cosa succederà ai bond

Chris Iggo di Axa Investment Managers è considerato un guru delle obbligazioni. Determinante quindi la sua opinione sul settore proprio in prospettiva dei mercati 2018. Afferma: “A chi volesse chiedermi cosa fare, rispondo che è meglio partire dall’idea che cambierà poco. Non passeremo improvvisamente a una fase post-quantitative easing; pertanto i prezzi degli strumenti finanziari continueranno a essere influenzati pesantemente dalla politica monetaria. Nel mercato obbligazionario ciò significa che i premi a termine e il rischio di credito probabilmente resteranno contenuti, schiacciati dal peso della caccia al rendimento in un contesto caratterizzato in genere da bassi tassi di interesse. Da tempo credo che il rischio principale per la performance dei portafogli obbligazionari sia quello di un aumento dei rendimenti durante il processo di normalizzazione. Tuttavia, se ciò accadesse in un contesto di ‘nuova normalità’ e inflazione persistentemente bassa, allora i premi a termine potrebbero anche non salire molto. Mediamente ci si aspetta che la banca centrale americana porterà i tassi al 3% nel 2020 (fatto non sorprendente con un tasso di crescita del Pil nominale del 4%). Naturalmente c’è ancora parecchia strada da percorrere prima di arrivare al 3%, con conseguenze negative per le valutazioni del mercato obbligazionario durante il processo di rialzo dei tassi; ma se gli investitori credono che la conclusione sarà questa, perché aspettare che i tassi a lungo termine salgano ancora molto? Se possiamo acquistare obbligazioni decennali con un rendimento del 3%, allora dobbiamo farlo, visto che i tassi a breve termine sono destinati a salire al massimo fino a tale livello”.

La correzione? Solo nel 2019

Il tradizionale appuntamento con il Rosso e il Nero di Kairos, curato da Alessando Fugnoli, nella newsletter del 1° dicembre, ipotizza queste evoluzioni dei mercati 2018 e oltre.

Il prossimo anno l’Europa continuerà a crescere bene e l’America manterrà il tasso di sviluppo del 3%, che ha raggiunto negli ultimi sei mesi. Alla fine dell’anno, tuttavia, parecchi piccoli e grandi nodi verranno al pettine uno dopo l’altro e il quadro comincerà ad apparire decisamente meno luminoso.

1) Le elezioni di novembre per il rinnovo parziale del congresso degli Stati Uniti daranno ai democratici la possibilità concreta di riconquistare almeno una delle due Camere. Con Trump alla Casa Bianca e un Congresso in parte democratico l’attività legislativa sarà in questo caso completamente bloccata, mentre fioriranno commissioni d’inchiesta di ogni tipo in preparazione di una richiesta di impeachment per Trump.

2) Il Quantitative tightening (alleggerimento quantitativo) operato dalla Fed, che è oggi di 10 miliardi al mese, salirà a fine 2018 a 50 miliardi, una cifra di tutto rispetto.

3) I Fed Funds saranno arrivati al 2 o al 2,25% e saranno a quel punto vicini al tasso neutrale. I mercati accetteranno di buon grado rialzi fino al 2 nella consapevolezza che non metteranno in discussione la crescita. Guardando al 2019, tuttavia, non potranno fare a meno di temere conseguenze negative, fino a una possibile recessione, se la Fed manifesterà l’intenzione di avventurarsi sopra il tasso neutrale. Se l’inflazione salariale, come è probabile, risulterà più alta, la Fed sarà in serio imbarazzo.

4) Le presidenziali americane del 2020 e la possibilità di una vittoria di candidati antibusiness come Sanders e la Warren cominceranno ad apparire più vicine.

5) La crescita europea per il 2019 si profilerà minore per effetto dell’esaurirsi della domanda arretrata di consumi accumulatasi tra il 2011 e il 2015 e di una minore forza dell’export dovuta al rallentamento cinese e al rafforzamento dell’euro, che peserà sui profitti del settore industriale.

6) I primi effetti negativi della messa in discussione dei trattati commerciali internazionali, in particolare il Nafta, cominceranno a farsi sentire.

7) La Bce abbandonerà entro fine 2018 la politica di Quantitative easing e si preparerà ad alzare i tassi a metà 2019.

8) La base monetaria globale, in crescita dal 2009 per effetto delle politiche di Quantitative easing, comincerà gradualmente a scendere dal terzo trimestre dell’anno prossimo. Il livello del mare su cui galleggiano tutti gli asset reali e finanziari inizierà ad abbassarsi e la volatilità tornerà a crescere.

9) La Cina sarà in rallentamento e avrà bisogno di meno materie prime.

Se i mercati 2018, come è ben possibile, si saranno mantenute forti per gran parte dell’anno, gli elementi per una seria correzione nel 2019 (se non per un bear market del 20%) sono già presenti all’orizzonte.

In compenso, se la Casa Bianca resterà a Trump o andrà a un democratico non radicale e se il programma di Xi Jinping non subirà rallentamenti, tra il 2020 e il 2022 potrà ritornare il sereno”.

Cosa sovrappesare per Ubs

Sottopesare, andare neutri o sovrappesare? E in particolare cosa? Una valutazione di Ubs porta a evidenziare come i mercati 2018 saranno soprattutto all’insegna del “neutral”. L’azionario risulterà ancora sostenuto dal buon andamento dell’economia, dalle politiche monetarie espansive e da una ripresa dell’inflazione, ma le aree su cui puntare con prospettive di crescita degli indici appaiono poche. Sono sostanzialmente:

Msci World Equity

EuroStoxx 50

Msci Emerging Markets

Micex russo

Cosa vuol dire? Che principalmente saranno più i grandi indici a riservare ancora margini positivi rispetto alle singole Borse, sebbene la valutazione complessiva sia di un moderato sovrappeso, anche perché le revisioni al rialzo delle stime sugli utili si stanno riducendo. In tale contesto l’euro dovrebbe rafforzarsi ancora sul dollaro (stima a 12 mesi: 1,25 Eur vs Usd), mentre fra le altre valute preferite si collocano la corona svedese e il dollaro canadese, con segno meno invece per la corona norvegese, oltre che logicamente per l’Usd.

Questo report non costituisce sollecitazione all’investimento e contiene informazioni giornalistiche a puro scopo divulgativo.

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