Sui risparmi il fisco vorace spesso fa pagare due volte!


Una casistica di situazioni illogiche, destinate certamente a restare tali anche in futuro. Nessuno infatti è interessato a mettere ordine sul tema. E voi così versate.

Cedole & dividendi

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Eccolo il numero su cui bisogna riflettere: 15,5 miliardi di euro. Assomma a tanto la quota di gettito derivante dalle cosiddette rendite finanziarie versato nel 2017 dagli italiani. Impossibile eseguire un calcolo di quanto ha inciso sulla ricchezza globale, poiché le voci che compongono quest’ultima sono troppo diversificate. Tutti i risparmiatori conoscono comunque le varie imposte cui sono soggetti, soprattutto dopo i progressivi inasprimenti attuati dal 2011 in poi, in particolare dai Governi Monti e Renzi.

Ciò che pochi non sanno riguarda però le distorsioni cui si è soggetti per colpa di precise scelte o incompetenza di chi scrive le norme, che portano a un incremento di fiscalità indebita. Cerchiamo di mettere in evidenza quest’aspetto poiché incide in misura rilevante – sebbene occulta – sulle performance del risparmio, già bastonato dai tassi di interesse a zero e da un’inflazione in crescita, che colpisce soprattutto la massa di liquidità detenuta sui conti correnti.

Vediamo allora cosa non funziona, nella consapevolezza che nessuno metterà mai ordine su deformazioni normative a favore di uno Stato assolutamente ingordo.

1°) Dal 9 aprile 2014 tutti i redditi riferiti a Etf armonizzati sono considerati redditi di capitale, senza più la distinzione precedente tra dividendi e delta Nav da una parte, che erano già considerati tali, e differenza tra prezzo di carico/cessione e delta Nav, che era contemplata invece tra i "redditi diversi". Le plusvalenze realizzate non sono quindi più compensabili neanche in parte con eventuali minusvalenze contenute nello zainetto fiscale, mentre in caso di vendita in perdita nulla cambia rispetto al passato, con le minusvalenze che valgono come tutte le altre e che controbilanciano quindi passivi riferiti però ad altri asset. Di qui consegue che si paga implicitamente due volte in caso di operazione profittevole: si versa comunque la quota dovuta senza poter detrarre quanto si sia perso in altre operazioni, cioè il profitto non compensa la perdita. Ciò è ancor più assurdo se si investe in seguito sullo stesso Etf oppure si opera soltanto con questo tipo di strumenti. In certi casi il doppio prelievo si trasforma da tacito in esplicito. Stesso contesto per i fondi.

2°) Situazione ancora peggiore per gli Etf non armonizzati, cioè acquistati su mercati extra Ue. In tal caso infatti si paga due volte chiaramente, poiché all’acconto versato dall’intermediario si aggiunge un saldo da regolare in sede di dichiarazione dei redditi, il che aumenta fortemente l’imposizione fiscale ed espone a chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, talvolta sconcertata da una casistica poco comune. E’ vero che i risparmiatori “smart” (quelli appunto che operano su mercati lontani) non seguono questa prassi ma attenzione perché si è potenzialmente soggetti a verifiche nel caso l’intermediario subisca controlli fiscali (e capita!).

3°) Il caso più emblematico di doppia tassazione riguarda poi i dividendi. Per le società di capitali si determina infatti un primo prelievo diretto sugli utili realizzati, soggetti a Ires, e un secondo al momento della distribuzione dei profitti appunto come dividendi per gli azionisti. L’effetto è penalizzante proprio per il piccolo risparmiatore che vede fortemente ridursi l’impatto dei profitti realizzati dalla società su cui ha puntato. C’è addirittura chi chiederebbe una compensazione fra tali redditi ed eventuali minusvalenze accumulate almeno sullo stesso titolo. Sarebbe una scelta corretta e fra l’altro applicata in altri Paesi ma questa distorsione è destinata quasi certamente a restare inalterata in futuro. Fatto 100 il profitto lordo quanto se ne impossessa lo Stato? L’aliquota Ires, stabilita dalla legge 244/2007, a decorrere dal 2017 è stata ridotta al 24%. A essa si aggiunge il 26% di imposta sulle rendite finanziarie, con un totale tondo tondo del 50%.

4°) Altrettanto insuperabile appare il problema della doppia tassazione sui dividendi esteri. In realtà è risolvibile con una richiesta di rimborso, che appare però di ardua attuazione sebbene prevista dalle norme in vigore. Il meccanismo deriva dal fatto che i dividendi distribuiti da una società quotata all’estero vengono decurtati dalla tassazione alla fonte nel Paese d’origine e dalla tassazione italiana. Il tutto si assomma, con una quota che dipende da nazione a nazione, secondo eventuali convenzioni. Come chiedere la restituzione? Attraverso un complesso meccanismo previsto dall’Agenzia delle Entrate e dalle controparti estere, cui rinunciano perfino gli istituzionali. Figurarsi il piccolo risparmiatore! Che dovrebbe compilare documenti in altre lingue, inviarli a uffici competenti all’estero e attendere rimborsi per alcuni mesi.

5°) C’è chi lamenta poi l’assenza di una modalità di compensazione fra tassazione della cedola di un’obbligazione ed eventuali minus al suo rimborso nel caso sia stata acquistata a una quotazione superiore a quella appunto di rimborso. Sarebbe esagerato pretenderlo? Forse sì ma in altri Paesi questa prassi è consentita.

6°) Ulteriore esempio di doppia tassazione è la Tobin Tax, riferita alle azioni per cui è in vigore. Per chi abbia riportato infatti profitti da trading azionario non intraday essa si aggiunge alla normale imposizione sul profitto, complicando soltanto la vita di chi tenga una corretta contabilità della propria attività finanziaria. Piccola cosa si dirà! In realtà c’è una casistica particolare di situazioni in cui le burocrazie derivanti dall’applicazione impongono intralci e distorsioni non marginali, il tutto con un gettito per lo Stato giudicato da molti modesto. Con l’aspetto ridicolo che colpisce le maggiori azioni italiane ma non quelle per esempio tedesche o svizzere anche se acquistate nel nostro Paese.

Inefficienze eliminabili?

Certamente sì ma attenzione: il legislatore – quando interviene sul tema della tassazione del risparmio – fa spesso danni. A lui non interessa costruire un sistema fiscale logico e semplice. A lui interessa portare soldi in cassa allo Stato, senza interessarsi di come lo fa. Al cittadino risparmiatore non resta che subire queste manchevolezze, che finiscono per ridurre la redditività del risparmio. Senza che nessuno alzi la testa perché nessuno in questo Paese si occupa di protezione del cittadino investitore, salvo poi citarlo a gran voce in occasione delle elezioni. Ah ah ah!

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