Autunno caldo dei mercati? I segnali sono ambigui perché sotto c’è del marcio


Alcuni positivi e altri negativi, il che è inevitabile, in un contesto di enorme liquidità che tiene alte le Borse. Si avverte intanto un rischio: la ripetizione di un quadro simile a quello del 2007. Questa volta non ci sono i subprime ma la loro evoluzione, ovvero i subprime 2.0. Altrettanto dinamitardi.

Hot markets

Fra i tanti motivi di preoccupazione che assillano l’industria finanziaria per i prossimi sei/dodici mesi ce n’è sono due trascurati dai media e che meritano invece molta attenzione. 1°) Gli insiders, cioè i soggetti interni alle maggiori aziende Usa che ne detengono quote, in quanto manager di alto profilo, stanno vendendo azioni delle stesse e si collocano prevalentemente in liquidità, sebbene oggi questa scelta abbia proprio poco senso oltre Oceano. I dati sono impietosi: 26 miliardi di dollari di “shares” passate sul mercato contro i 37 miliardi del culmine della crisi dotcom a inizio anni 2000. 2°) I leveraged loans, cioè i prestiti garantiti concessi da istituzioni bancarie e finanziarie a imprese fortemente indebitate, solitamente nell'ambito di operazioni di fusioni e acquisizioni, cioè i cosiddetti subprime 2.0, stanno raggiungendo gli 1,4 trilioni di dollari, di poco sotto la cifra dei mutui degli anni 2008-2009, quando esplose la crisi del settore. C’è chi teme che i due aspetti – messi assieme – possano portare a una crisi strutturale dei mercati finanziari dalle dimensioni imprevedibili in presenza di fulminee deflagrazioni.

Cerchiamo allora di fare il punto sulle possibili prospettive future in base ai parametri più seguiti dagli analisti dell’asset management, una foto che non riesce però a descrivere quanto bolle sotto la parvenza della quotidianità.

Citigroup Us Economic Surprise Index

OK (44,3)

Misura lo scarto tra attese dei mercati e realtà. Quando l'indice sale verso l'alto, significa che i dati macro Usa hanno battuto il consensus degli operatori; viceversa, quando l’indice scende i dati economici hanno deluso. L’index sta alzandosi non poco e questo fatto è nettamente positivo, sebbene vada letto in un’ottica di breve periodo.

Mondo Pmi Composite

KO (51,3)

L’indice di nuovi ordini, produzione, occupazione, consegne e scorte nel settore manifatturiero a livello mondiale è sceso dai massimi di 55 di inizio 2018, realtà non ancora decisamente sfavorevole.

Zona euro Pmi manifatturiero

KO (45,6)

L'indice dei responsabili degli acquisti di servizi misura il livello di attività nel settore manifatturiero. Un dato superiore a 50 puntualizza espansione, mentre inferiore segnala contrazione. Dal massimo del dicembre 2017 continua a scendere.

Us iM’s Business Cycle Index

OK (259,1)

Nessuno può prevedere la prossima recessione economica ma questo indice – basato su numerosi paramenti – si dimostra molto affidabile nel captare variazioni negative del sentiment. L’ultima valutazione è di giovedì scorso e si colloca sempre più in alto su massimi storici estremamente ottimistici. Solo una discesa sotto 180-160 avvierebbe una fase depressiva.

Us 5 Year 5 Year Forward Inflation Expectation

KO (1,7%)

Misura il tasso di inflazione atteso per il futuro. E’ in discesa, sebbene il vero livello di guardia si collochi all’1,4%.

Previsioni inflazione area euro prossimi due anni

OK (1,2% e 1,5%)

Ci vuole una bella faccia per prevedere bassa inflazione quando la stessa Bce anticipa per il prossimo biennio la forchetta indicata, non così sconfortante come si spera di far intendere. E’ un dato non da crisi strutturale dell’economia. Se ne tenga conto nella costruzione dei portafogli!

Msci All-Country World Equity Index

OK (521,8)

Si colloca ben sopra la media mobile a 200 sedute (506), dopo il tentativo più volte messo in atto di rottura al ribasso nel mese di agosto. La distanza tende comunque a ridursi.

S&P 500 Index

OK (2.961)

Il distacco della media mobile a 200 sedute (collocata a 2.833) resta rilevante ed è addirittura abissale passando al timeframe mensile. Non ci si dimentichi però che si è sui massimi storici.

Eurostoxx 50 Index

OK (3.546)

A 3.346 la media mobile a 200 sedute si muove ben sotto e ripropone una situazione simile a quella del Msci All-Country World Equity Index.

S&P 500 Earnings Yield

OK (4,54)

Le valutazioni del rapporto fra utili societari degli ultimi 12 mesi e prezzo corrente delle azioni Usa possono essere contradditorie. E’ sotto il valore medio degli ultimi anni (questo è negativo) ma piuttosto stabile da qualche tempo (questo è positivo). Di qui un ok, in realtà un po’ tirato.

Us Treasury 10-2 years yield spread

KO (0,06%)

Ormai da mesi è un refrain sullo stato di tensione dei tassi Usa (e in previsione dell’economia). In un contesto però di politica monetaria ultra espansiva la sua interpretazione è divenuta meno significativa. Lo sarà ancora fra sei mesi?

AAII Us Investor Sentiment Survey

OK (29,4%)

La rilevazione dello stato di percezione degli investitori Usa risulta abbastanza stabile: la percentuale indicata del 29,4% si riferisce ai rialzisti contro il 37,4% di chi è neutral e il 33,3% di ribassisti. Un 30% di “bullish” è – malgrado tutto – positivo. In un’ottica però di brevissimo periodo.

S&P 500 Vix

OK (17,2)

Sale piuttosto progressivamente ma resta comunque sotto il livello di guardia di 20.

Dax Volatility

OK (16)

Permane in una situazione non di allerta.

Euro Stoxx 50 Volatility

OK (15,2)

Anche in questo caso non ci sono ancora segnali di tensione.

In sintesi Potremmo proseguire con altri parametri, indici e ratio vari; ciò nondimeno il quadro resterebbe immutato. Tutti assieme segnalano un’economia in rallentamento senza però particolari campanelli d’allarme e mercati azionari ancora nettamente positivi – sebbene meno liquidi, un pò più nervosi e tiratissimi – ma nascondono le apprensioni per un sottostante finanziario – quello di cui si parlava all’inizio – di nuovo ampiamente drogato, questa volta dalle Banche centrali. L’enorme liquidità continua a sostenere le Borse. Ciò non esclude che si possano registrate improvvise prese di profitto, stimabili al massimo (secondo diverse valutazioni) in un 5-10% e probabili nei prossimi mesi. Resta il problema strutturale dell’aver dopato il sistema economico, una bomba entrata nei portafogli di fondi, Etf e gestioni, che potrebbero trovarsi a liquidare posizioni di fronte a forti perdite sui leveraged loans. Siamo in altre parole tornati al 2007? Guardate il grafico dell’S&P 500 e la risposta ve la darete da soli: è quella di una finanziarizzazione dell’economia reale fuori controllo. Più ambiguità e quindi imprevedibilità di così non se ne può proprio immaginare.

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