Pro & contro – Dopo la settimana nera dei bond su quali asset puntare


Posizioni contrapposte ma consigli utili per gestire i patrimoni – piccoli o grandi che siano – in un contesto in cambiamento. Titoli di Stato, azioni, commodities e altro: cosa potrebbe succedere nei prossimi due anni.

Le inchieste

Agli affezionati lettori del report domenicale chiedo scusa ma per alcune settimane (fino alla seconda metà di ottobre) viaggerò in terre lontane e non potrò scrivere. A presto comunque.

Era atteso. Il movimento si è palesato proprio negli ultimi due giorni tanto sul fronte europeo quanto su quello americano. I titoli di Stato hanno improvvisamente invertito il trend: dopo un’estate rialzista delle quotazioni e quindi ribassista dei rendimenti sono state messe a segno queste variazioni nell’arco di una settimana:

Decennale

Yield apertura

Yield chiusura

Minimo

Massimo

Tedesco (Bund)

-0,282%

-0,229%

-0,336%

-0,218%

Italiano (Btp)

0,723%

0,78%

0,655%

0,798%

Usa (Treasury)

1,363%

1,453%

1,297%

1,464%

I riassestamenti sono stati forti, soprattutto nelle ultime due sedute. Cosa sta succedendo? L’abbiamo chiesto a vari specialisti e come sempre riassumiamo le posizioni confrontando le opinioni (volutamente sintetizzate e spersonalizzate) di chi vede in questo una forte spallata agli equilibri dei mercati e di chi invece è più ottimista.

Tutto cambierà

Poco cambierà

Il fronte dei pessimisti ritiene che sia in atto un processo di mutamento strutturale dei mercati, con l’inflazione fuori controllo. Le Banche centrali rischiano di non saper gestire la situazione. Chiariamo questa versione dei fatti…

È così! L’inflazione non è gestita, soprattutto negli Usa. Uno solo dato ne è la conferma: l’indice dei prezzi alla produzione è aumentato dell’8,3% in un anno. Di solito il trend parte dall’altra sponda dell’Atlantico per poi approdare in Europa. Purtroppo però le Banche centrali minimizzano il rischio e così gli investitori insipienti stanno perdendo tantissimo. Vediamo i prezzi delle case: ovunque corrono. Addirittura in certe aree del mondo e anche dell’Italia la domanda supera l’offerta. Il che non esclude che ci siano zone depresse in cui ciò non avviene. L’economia è ormai come una zebra, con chiari e scuri che peseranno sempre più. Gli italiani acquistano a Milano, Roma e Bologna, mentre in alcune parti del Triveneto e nell’Alto Adige i tedeschi comprano qualsiasi cosa che abbia a che fare con il mattone, per due motivi: non vogliono pagare gli oneri passivi sulla liquidità detenuta in Germania e temono un’inflazione galoppante. La storia dice qualcosa in merito! In Piemonte e Liguria invece i prezzi immobiliari sono crollati. Lo stesso mercato a due velocità si manifesta in Francia e in Spagna, per non dire degli Stati Uniti. Ne consegue però che la media è rialzista e bisogna tenerne adeguatamente conto. Anche perché gli investitori cominciano ad avvertire sfiducia.

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Non è però un fenomeno transitorio, dovuto a motivi altrettanto momentanei?

È la storiella che ci stanno raccontando le Banche centrali. Intanto il prezzo del petrolio va alle stelle e le valutazioni negli Usa di auto e camion usati, un termometro dell’inflazione, sono salite del 45%! Un’altra conferma? Le catene di fast food statunitensi stanno già aumentando i prezzi dei menu: Taco Bell del 10% e McDonald’s dell’8%. Tutto questo rischia di spaccare la società in due: chi ha salari flessibili riesce a seguire l’onda rialzista; chi non li ha – per primi i pensionati – è colpito pesantemente.

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Le banche d’oltre Oceano hanno già ammesso di prepararsi a tassi più alti. Jamie Dimon di JPMorgan ha per esempio affermato che ci sono molte probabilità che l’inflazione sia più duratura di quanto si dice. Però sulle previsioni non si va poi oltre il 2022. Allora è duratura o transitoria?

È comunque maggiore e lo resterà rispetto alle indicazioni di Fed e Bce. Vogliamo fare delle previsioni? Per il 2021 negli Usa si rimarrà oltre il 5% e per i due anni successivi su medie del 3% l’anno. In totale si tratta di un 11% in tre anni, una randellata vera e propria per molte categorie di cittadini ma non per le banche, che presto ribalteranno il trend sui tassi e sui costi applicati ai clienti. Di questo tema non si dice nulla, perché lo si ritiene impopolare.

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E allora come si agisce?

Le Banche centrali hanno scarsi margini per aumentare i tassi. Una simile decisione provocherebbe quasi certamente una recessione.

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Consigli pratici per l’investitore che si trova a dover affrontare una perdita sostanziale di rendimento reale e un aumento considerevole dei costi?

Più che di super ciclo delle commodities è forse il caso di parlare di super ciclo delle merci, cioè di quanto venduto al consumatore finale. Di qui una valutazione positiva per le azioni delle aziende industriali e della distribuzione, che possono facilmente adeguare i prezzi. Occorre poi valutare i mercati emergenti non in chiave speculativa – come avvenuto fino a oggi – ma in chiave strutturale, perché è in tale contesto che le popolazioni crescono, con effetti sui consumi. Il rialzo delle materie prime viene in buona parte da questa componente. Nel prossimo decennio si prevede una forte domanda di risorse naturali, visto che le economie emergenti continueranno a prosperare rapidamente.

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I bond “inflation linked” proteggono sufficientemente in questo contesto?

Poco poiché i vari indici sui prezzi al consumo non tengono conto dei fattori più volatili dell’inflazione, quali cibo, petrolio e immobiliare.

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Se anche i linked servono scarsamente quali alternative restano?

Una strategia molto flessibile nell’obbligazionario è consigliabile, così come quella di accentuare la gestione dell’azionario con entrate scaglionate in base all’andamento delle quotazioni. Sono le stesse ricette proposte all’apice del Covid, il che può sembrare incoerente ma non lo è.

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Quali effetti sono prevedibili per le curve dei rendimenti obbligazionari?

È possibile che le aspettative inflattive muovano di più gli yield sulle lunghe scadenze che sulle corte. Si potrebbe assistere a divari in forte accentuazione, al contrario di quanto è avvenuto finora. D’altra parte lo spread fra 10 e 2 anni per i Treasuries è salito all’1,2%, mentre era addirittura negativo nell’estate del 2019.

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In estrema sintesi cosa pensano del futuro i pessimisti?

Che si è giunti a un livello di rottura e che qualcosa dovrà accadere in termini soprattutto di sostenibilità dei debiti pubblici da parte dei Paesi occidentali. La colpa del tutto è delle Banche centrali, impreparate nell’affrontare una situazione storicamente atipica.

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, senza esasperare il quadro delle evoluzioni in corso.

I mercati obbligazionari si erano un po' addormentati in estate. Poi nelle ultime sedute si è registrato un improvviso e violento risveglio sull’onda di tre eventi: 1°) Bank of England (Gran Bretagna) e Norges Bank (Norvegia) hanno annunciato di voler intervenire sui tassi. Gli inglesi lo faranno nei primi mesi del 2022 e gli scandinavi hanno aumentato quello di riferimento di 25 punti base; 2°) si attendono le decisioni sul “tapering” da parte della Fed; 3°) la situazione cinese comincia a preoccupare. Le Banche centrali si sono trasformate da colombe in falchi? L’impressione che ciò stia avvenendo si è diffusa, spingendo all’insù i rendimenti soprattutto in Europa. Poi c’è il fattore petrolio al rialzo, da cui derivano i timori che l’inflazione salga ulteriormente.

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Tutto questo porta effettivamente a essere pessimisti sul futuro?

No. Le curve dei rendimenti dicono in effetti che un rialzo dei tassi ci sarà ma che sarà lento e ben gestito. Il presidente della Bce, Christine Lagarde, ha affermato che molti dei fattori trainanti del recente picco inflattivo nell'area dell'euro sono temporanei.

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Sarà ma gli investitori sono in perdita netta sull’obbligazionario, fulcro dei fondi pensione e di tante polizze assicurative. Intanto l’industria tedesca evidenzia previsioni pessimistiche. Loro sono potenti e potrebbero rompere certi equilibri all’interno della Bce. Come si fa a essere tranquilli in un simile contesto?

Vediamo come votano i tedeschi oggi e poi valutiamo la situazione. Che in autunno la volatilità sarebbe aumentata lo si sapeva da tempo. Ciò sta avvenendo in un contesto abbastanza ordinato. Tutto questo gran gridare allo sconquasso non ha proprio senso se si guardano i grafici. Il rendimento del Bund è ancora sotto i massimi di maggio. Allora era andato quasi al -0,10%, mentre venerdì ha chiuso la seduta al -0,23%, quindi ben sotto trattandosi di yield negativi. Stessa situazione per il decennale italiano: a maggio aveva rotto l’1% contro lo 0,78% di ieri. Se si dovesse trovare un elemento di criticità sta nella corsa estiva al rialzo delle quotazioni, dovuta a tensioni di altro tipo.

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Qualche consiglio operativo è inevitabile. Fuori dall’obbligazionario e dall’azionario? Dove si va allora?

Gli asset più a rischio potrebbero subire delle correzioni temporanee dopo il lunghissimo periodo di rialzi. Ciò avverrà nel breve termine ma con il 2022 l’azionario sarà ancora una volta vincente. Certamente spostandosi dall’area Usa a quella europea, più stabile. Molti gestori sono d’accordo su un upgrade delle Borse di casa nostra. Meglio inoltre sottopesare i titoli di Stato Usa.

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Se si dovesse strutturare una strategia sull’obbligazionario cosa si potrebbe fare?

Cambiare decisamente il modo di agire. Se con i Btp o i corporate in euro si è in profitto meglio vendere oggi e poi ripartire con una strategia di piani di acquisto su livelli di prezzo probabilmente in discesa: da una parte con titoli molto lunghi (per esempio il Btp 2072, ormai atterrato sotto 100) e dall’altra con titoli a cedola zero, quelli emessi al culmine dei rendimenti negativi nell’area euro (per esempio il Bund 0% 2050, che ormai quota sui 93 euro).

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Così facendo si scommette sul fatto che dopo i probabili cali nei prossimi due anni le quotazioni ripartiranno in seguito al rialzo, a causa di possibili difficoltà dell’economia e dell’azionario. È una visione però di medio termine, che non tiene conto del fatto che sempre più gli europei hanno bisogno di cedole. E allora?

Se il rendimento è fondamentale meglio restare fermi e incassare le cedole dei bond in portafoglio pur in presenza di prezzi in calo. L’obbligazionario si conferma però un asset da gestire e non da tenere fino a scadenza, il che non esclude che per alcuni il “buy and hold” possa essere ancora ragionevole.

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Nulla si è detto finora dell’inflazione o meglio dell’iperinflazione se si considera il contesto Usa. Quali i migliori asset in questo contesto?

Se ne possono individuare tre:

1°) L’immobiliare mediante strumenti finanziari. Le locazioni, specie quelle di lungo termine per uffici e industrie, prevedono aggiustamenti annuali generalmente legati all’indice dei prezzi al consumo. Quelle di breve termine (per esempio hotel, self-storage e appartamenti) hanno pure rivalutazioni al passo con un costo della vita crescente. Inoltre gli asset infrastrutturali: possiedono un legame esplicito con l'inflazione quasi sempre previsto nei contratti di concessione.

2°) L’innovazione tecnologica mediante l’azionario. Nei prossimi anni si prevedono grandi rivoluzioni in contesti capaci di adeguarsi velocemente all’inflazione.

3°) La componente ecologica. La decarbonizzazione continuerà a guidare la domanda di energia rinnovabile poiché i prezzi dei crediti di CO2 stanno aumentando per merito delle nuove normative.

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In conclusione?

Il dopo Covid registrerà cambiamenti epocali in molti settori dell’economia e cavalcandoli si porteranno a casa profitti rilevanti da vari fronti, capaci di battere un’inflazione destinata comunque a rientrare a breve termine dentro limiti più che accettabili.

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