Investire in bond – attenzione alla trappola del “cap”


I cosiddetti misti (tasso fisso e poi tasso variabile) prevedono spesso un tetto al rendimento per la parte variabile. Alcuni consigli per gestirli al meglio.

Cedole & dividendi

Da anni molti emittenti bancari e sovranazionali propongono nuove emissioni di obbligazioni cosiddette a tasso misto, ovvero con una prima parte a tasso fisso e una seconda – più lunga – a tasso variabile, soluzione idonea nell’incertezza attuale sulle politiche monetarie. Disporre infatti per uno o due anni di una cedola certa e puntare in seguito al rialzo dei tassi è un’opzione adeguata a un quadro in evoluzione. Occorre però investire in bond con la consapevolezza che si corre un rischio: nella vastissima gamma di quelli offerti ve ne sono non pochi che prevedono un “cap” – ovvero un tetto – al rendimento per la parte a tasso variabile.

Tre esempi

Vediamo tre casi concreti di emissioni recentemente proposte sul mercato:

World Bank: in dollari – tasso fisso 3% il primo anno e poi tasso variabile indicizzato Libor Usd 3 mesi con minimo dello 0% e massimo del 3% - scadenza 2027 (Isin XS1673620875).

Banca Imi in euro – tasso Euribor 3 mesi + 1% con minimo dello 0,5% e massimo del 2,5% (in questo caso non si tratta di un tasso misto ma di un variabile puro) – scadenza 2025 (Isin XS1685354653)

Banca Imi in euro – tasso fisso 3,4% i primi due anni e poi tasso variabile Euribor 3 mesi + 0,50% con minimo dello 0% e massimo del 3,4% - scadenza 2027 (Isin XS1608207566).

Sia in dollari sia in euro c’è il “cap”, il che porta a investire in bond con il rischio che i tassi aumentino non poco e causino possibili rendimenti di mercato oltre i tetti previsti. Oggi, per esempio, per le tre obbligazioni citate essi appaiono accettabili, ma cosa accadrà fra tre o quattro anni? Considerando che le scadenze sono lunghe, l’imprevedibilità delle evoluzioni di politica monetaria spinge a guardare con prudenza a queste emissioni, cui ci si può rivolgere seguendo alcune precauzioni.

1°) Meglio cercare le vecchie emissioni, talvolta più generose nel “cap” o addirittura esenti da tale tagliola. Risalgono a tre/quattro anni fa e sono state le prime della categoria a tasso misto proposte da emittenti soprattutto bancari.

2°) Diversificare tenendo conto proprio dei livelli di “cap e quindi non concentrandosi su una o due emissioni, stando attenti anche allo “spread” sul tasso di riferimento. Talvolta non è previsto e ciò condiziona inevitabilmente i rendimenti.

3°) Attenzione inoltre alla presenza di un tasso minimo (cosiddetto “floor”) – pur se a zero. Nessuno può escludere infatti che fra qualche anno si possa tornare a una politica monetaria ultraespansiva. In tal caso si potrebbe correre il rischio di rendimenti negativi per tali bond, sebbene siano poche le emissioni che non prevedano un livello minimo quanto meno a zero.

4°) Le nuove emissioni sottoscritte a 100 possono risultare care, valutandole con il senno dei poi. Non poche sono infatti scese successivamente sul secondario a quotazioni sotto la pari, proprio perché trasformatesi in tassi variabili, con rendimenti bassi. Un’analisi di quanto offre il mercato – magari solo nell’ambito dello stesso emittente – può evitare costosi errori.

5°) Quelle offerte dagli emittenti sovranazionali sono soggette ad aliquota fiscale 12,5%, un richiamo per non pochi investitori, ma le loro strutture risultano quasi sempre meno favorevoli rispetto alle equivalenti obbligazioni bancarie. Si calcolino quindi bene i rendimenti reali prima di investire in bond solo apparentemente allettanti.