Inflazione, volatilità, tassi e azionario: i leader dell’asset management si esprimono su questi temi.
Cedole & dividendi
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Inflazione sì, inflazione no. In una settimana caratterizzata da molti eventi dell’industria finanziaria si sono sentite versioni assai diverse in proposito fra i vari protagonisti dell’asset management. Le abbiamo sintetizzate per comodità di lettura.
Chi lo dice |
Cosa dice |
Mondher Bettaieb Loriot - Head of Corporate Bonds di Vontobel |
L’inflazione non aumenterà perché la rivoluzione digitale abbatte i costi in tutto il mondo. Chi produce ha perso il potere di imporre i prezzi e subisce un nuovo approccio rispetto al “pricing”, che non è più l’effetto fra l’incrocio di domanda e offerta. Ciò non consente di aumentare i salari e quindi il tenore medio di vita scende e la capacità di spendere diminuisce, con l’effetto finale che le aziende investono meno. Il tutto deriva dall’avanzata delle nuove tecnologie. |
Marcus Brookes - Head of Multi-Manager di Schroders |
La novità dell’inflazione caratterizzerà il 2018. Un primo esempio lo fornisce la Gran Bretagna, dove è già salita al 3%. L’outlook di Schroders prevede che con la maturazione del ciclo economico rialzista dell’economia l’upside dei prezzi tenderà a crescere e ora i portafogli devono tenerne conto. |
Paul Donovan - Global Chief Economist Wealth Management Ubs |
Il rischio dell’iperinflazione esiste ed è correlato a una coincidenza storica: quando gli avvocati – esperienza che viene dal passato – sono nominati alla guida di una Banca centrale l’effetto sta appunto in un’inflazione che corre. E’ successo, per esempio, in Germania nel periodo dal 1919 al 1923, quando un “lawyer” era alla testa della Banca centrale tedesca. C’è il rischio che accada lo stesso con l’avvocato Jerome Powell, da febbraio numero uno della Fed? |
Queste sono naturalmente delle sintesi di ragionamenti più ampi, ma messe una dietro l’altra servono a comprendere come perfino degli economisti e dei gestori di grande spessore esprimano opinioni discordanti sull’inflazione. Tema ricorrente anche da parte di altri esponenti del settore, a dimostrazione di una confusione dovuta a tante cause. Nel frattempo che fare? Lo sintetizza bene una valutazione di Arca Fondi Sgr, secondo cui “bisogna segnalare i rischi che gli investitori si troveranno a fronteggiare nel 2018: dal momento che il tasso di crescita dell’inflazione risulta stabilmente in territorio positivo, è possibile che si verifichi un suo aumento di volatilità, soprattutto a causa del contributo del settore energia, anche se quella generata dalle restanti componenti rimane ancora contenuta. L’apprezzamento dell’euro nei confronti delle principali valute genera incertezza circa lo scenario e complica il raggiungimento del target di medio periodo sull’inflazione”. Quel consiglio di seguire l’aumento di volatilità potrebbe portare a buone occasioni per chi opera con le obbligazioni “inflation linked”, oggi di nuovo protagoniste – pur con la loro particolare struttura – dei mercati finanziari.
Il timore della volatilità
Su due punti (del secondo ne parleremo dopo) i gestori sembrano d’accordo. Riguarda il rischio di un rientro in scena della volatilità, del tutto scomparsa negli ultimi anni. Proprio Arca Fondi segnala in merito: “il rischio che le pressioni salariali inizino a materializzarsi e a spingere l’inflazione verso l’alto potrebbe indurre la Fed a rialzare i tassi di interesse a un ritmo più sostenuto di quanto previsto dal mercato. L’incognita che uno stimolo di politica fiscale, adesso che l’economia registra un tasso di disoccupazione poco sotto l’equilibrio di lungo periodo, surriscaldi l’economia e favorisca un’accelerazione del tasso di inflazione piuttosto che del tasso di crescita reale, potrebbe spingere la stessa Fed a reagire ulteriormente. È infine possibile che i crescenti rischi geo-politici generino volatilità sui mercati finanziari”. Il che costituisce un motivo di insicurezza in più per chi investe, data – di fatto – l’assenza di strumenti che possano proteggere da questa variabile. Negli anni scorsi sono stati proposti Etf e certificati nati con l’obiettivo di replicare il trend della volatilità azionaria – sia rispetto all’S&P 500 sia all’Eurostoxx – ma per complesse ragioni gli emittenti li hanno in parte ritirati dal mercato, lasciando tale ruolo affidato a prodotti più complessi, sostanzialmente le opzioni, gestibili solo da chi opera professionalmente.
Consigli a raffica
In un contesto non semplice si sentono vari suggerimenti utili a operare con maggiore tranquillità. Li riassumiamo brevemente:
► Oggi i timori maggiori vengono da choc locali e quindi un portafoglio diversificato globalmente a livello mondiale ha maggiori probabilità di reggere meglio.
► Da questo prima valutazione ne deriva una seconda, riferita all’azionario: meglio preferire un indice “worldwide” perché gli Usa sono pressati dalla politica monetaria e l’Europa dalla debolezza dell’euro, che la politica monetaria della Bce rischia di esasperare.
► Si diceva che i gestori sono d’accordo su due punti: il primo riguarda la volatilità e il secondo il sempre maggiore interesse rispetto all’obbligazionario dei mercati emergenti, espresso nelle divise locali. La differenza dei tassi di crescita fra nuove economie e Paesi occidentali si è compressa negli ultimi tre anni ma dal 2018 tornerà a crescere, perché l’area “emerging” beneficia non solo della fase espansiva del Pil mondiale ma soprattutto di notevoli riforme strutturali. Anche in questo caso c’è però un problema di strumenti: gli Etf quotati a Borsa Italiana si riferiscono a bond di Paesi emergenti espressi in dollari e quindi è inevitabile il ricorso – se ci si vuole esporre sulle valute locali – solo a specifici fondi.
► Per l’obbligazionario riportiamo una sintesi molto valida di Natixis: “Complessivamente, riteniamo che i temi d’investimento per gli investitori in titoli a reddito fisso nel 2018 debbano essere: aumento della diversificazione, generazione di reddito, abbassamento della duration e riduzione della sensibilità complessiva ai tassi d’interesse”. E’ quanto valutano anche molti altri operatori dell’asset management, che riattribuiscono all’importo delle cedole distribuite un ruolo significativo, fatto che potrebbe sorprendere.
► E come allocation generale? Ubs la sintetizza così:
Sovrappesare |
Sottopesare |
● Azionario globale ● Azioni dell’Eurozona e dei mercati emergenti ● Bond governativi emergenti in valute locali |
● Governativi occidentali a rating elevato ● Azionario Gran Bretagna ● Bond high yield in euro |