Piano B, anzi C: mollo tutto e fuggo con i miei risparmi


La strategia della fuga, un tema che divide: prendere la residenza fiscale in un altro Paese per salvarsi e salvare il proprio patrimonio? Se si decide per il sì bisogna farlo bene. I Paesi in cui non si pagano tasse o se ne pagano poche.

Cedole & dividendi

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Stazione di Milano. Coda a un desk di Trenitalia con i passeggeri infuriati per il classico problema al sistema informatico. Un quarantenne sbotta: “Non ne posso più! E’ da 12 ore che viaggio e ho avuto solo problemi. Adesso faccio come mio padre: prendo la residenza ad Andorra, dove le tasse almeno sono un’inezia”. Quanti di noi l’hanno detto, l’hanno pensato ma non l’hanno poi fatto? Moltissimi. E il tema della strategia della fuga si ripropone a fasi alterne di fronte a un quadro di forti incertezze per il nostro Paese. Tutti sanno ormai della trasmigrazione di pensionati in Portogallo o in Paesi dell’est. Pochi conoscono le altre strade, magari più interessanti. Non è un piano B (di cui abbiamo ampiamente scritto le scorse settimane) ma un vero e proprio piano C, da mettere in atto nel più totale rispetto delle normative, perché ormai siamo schedati, controllati, segnalati e incasellati oltre ogni limite. La scelta quindi di fuggire deve essere realizzata con grande metodicità e con il consiglio di esperti. Il fare da soli porta esclusivamente a pasticci. E’ un vostro diritto la strategia della fuga, consistente nell’andare a pagare le tasse dove volete e nel portarvi dietro i vostri soldi ma sappiate che è un passo decisivo di cui non bisogna poi in nessun modo pentirsi. E non si pensi al pastrocchio di un piede qui e un piede là: ormai porta soltanto a gineprai di ogni tipo.

La decisione deve trarre origine da due convinzioni, assolutamente personali e di cui nessuno può criticarvi: 1°) quella di pagare meno imposte (la “flat tax” italiana sarà realmente attuata?); 2°) quella che l’Italia non garantisca più sicurezza alla vostra ricchezza finanziaria, in previsione delle possibili patrimoniali o altro ancora, conseguenza della dissennata gestione del bene pubblico da parte dello Stato negli ultimi quarant’anni. Se voi fate parte di coloro che hanno dato e non hanno ricevuto nulla in cambio (una minoranza?) reagite seguendo il vostro istinto. Non parlatene con gli altri! Non serve a nulla! Ribellatevi e prendete le decisioni più adeguate. La strategia della fuga coinvolge solo voi e la vostra famiglia.

L’importante è sapere che si tratta di una rottura con il passato, magari faticosa e piena di dilemmi impegnativi ma liberatoria. Ecco consigli e informazioni decisivi per non sbagliare.

1°) Non si fa se non si prende la residenza fiscale altrove

Il passo sostanziale della strategia della fuga sta nel perdere la residenza fiscale in Italia e nel prenderla in un altro Paese: per farlo occorre cancellarsi dall’anagrafe e quindi trasferire domicilio e residenza, ma lo “step” decisivo consiste nell’iscriversi all’Albo degli italiani residenti all’estero (Aire). Una vecchia norma prescrive che il periodo di permanenza all’estero sia pari o superiore a 183 giorni ogni anno. Meglio se si supera ampiamente tale valore, perché alcuni Paesi sono molto fiscali in materia. Il trasferimento deve essere reale e non fittizio, giacché in quest’ultimo caso si sarebbe soggetti a possibili severi (e giusti) controlli da parte soprattutto dell’Agenzia delle Entrate italiane. Quindi niente imbrogli! La decisione comporta inevitabilmente conseguenze: per esempio il non possesso di una prima casa, che va venduta. Inoltre c’è sempre il rischio della doppia tassazione, regolata da specifici accordi, di cui occorre conoscere ogni dettaglio relativamente al Paese in cui si fugge.

2°) Meglio portare via tutto, proprio tutto

Un intervento della Cassazione ha stabilito che esistono delle condizioni che non consentono di stabilire la residenza all’estero, anche se si è iscritti all’Aire. Si tratta di: ● presenza di familiari stretti che restano in Italia (per esempio la moglie); ● la disponibilità di un’abitazione permanente (intesa come prima casa); ● figli che frequentano una scuola nel nostro Paese; ● legami in qualche modo con organismi sociali italiani (per esempio Sistema Sanitario e altro). Il concetto fondamentale resta comunque quello dell'abitazione permanente, che va trasferita in modo assoluto. Si può invece avere una seconda casa, logicamente assoggettata alla specifica tassazione.

3°) Occorre quindi acquistare una casa nel Paese di destinazione?

Non obbligatoriamente. Si può anche prendere in affitto un’abitazione, ma occorre fissare un contratto di lungo termine, poiché la regola dei 183 giorni vale anche (salvo poche eccezioni) per il Paese in cui si acquisisce la residenza fiscale.

4°) E il patrimonio può restare in Italia?

Eh no! La domanda non ha senso. Se si decide di trasferire la residenza in un altro Paese per timori di interventi penalizzanti “made in Italy” (patrimoniali, super tasse di successione, penalizzazione sulle pensioni o altro) è evidente che la strategia della fuga deve prevedere nel modo più assoluto il passaggio del proprio patrimonio mobiliare nello Stato di destinazione. Fra l’altro le autorità di controllo potrebbero intravedere in una decisione diversa un motivo di trasferimento fittizio. E’ evidente che chi segue questa strada è obbligato nei fatti a percorrerla fino in fondo, come già detto prima.

5°) Non è un viaggio nell’ignoto, perché l’“affluent” straniero spesso è coccolato

Uno degli ostacoli che spesso blocca chi vuole prendere la residenza fiscale all’estero e poi trasferire il proprio patrimonio finanziario sta nel fatto che non si conoscono strutture, norme e aspetti fiscali del Paese di destinazione. Ciò è vero solo in parte, poiché molti degli intermediari utilizzati in Italia hanno sedi anche fuori dai confini nazionali. Un consiglio si impone però: meglio reperire una solida banca locale, che in molti casi offre condizioni favorevoli agli stranieri “affluent”. Certamente non si tratta di una passeggiata, ci sono problemi da affrontare e risolvere, ma meno difficili di quanto spesso si creda. Inoltre in alcune nazioni europee ci sono filiali delle maggiori banche italiane, sebbene limitatamente alle grandi città.

6°) Più opportuno trasferire liquidità piuttosto che titoli

Se si ha un patrimonio consistente, con titoli, fondi e quant’altro, meglio disinvestire e trasferire all’estero la relativa liquidità. Si perderanno eventuali minus fiscali da compensare ma il passaggio avverrà in maniera più semplice, consentendo anche eventuali triangolazioni, quali la residenza fiscale in un Paese a bassa tassazione e la detenzione di capitali in nazioni ultra solide (Svizzera, Danimarca, Germania o altro). Formalmente ciò non sarebbe regolare ma la casistica dimostra che in non pochi casi avviene.

7°) Un aspetto incerto: preferibili le basse tasse o la solidità?

Può sembrare paradossale ma i due aspetti spesso hanno la stessa faccia. Alcuni Paesi anche europei sono perfetti da questo punto di vista. Un esempio? Il Lussemburgo, dove è facile aprire una società per sviluppare business e il sistema finanziario viene vigilato in maniera rigida, garantendo una solidità pari a quella per esempio della Svizzera, ma restando all’interno dell’Unione europea, il che semplifica molte cose per chi vuole adottare una strategia della fuga.

8°) Già, l’Europa, una groviera di nemmeno velati paradisi fiscali!

Si diceva all’inizio di Andorra. Non pochi italiani hanno preso la residenza fiscale in quello “staterello”. Il perché è evidente: “flat tax” al 10%, Iva al 4%, fino a 23.999 euro non si paga nulla, fino a 39.999 euro si paga il 5% e le aziende hanno un’imposta sul reddito del 10%. Nessuna imposta di successione! Un paradiso fiscale a tutti gli effetti fra Francia e Spagna, con la possibilità di passare il week-end su qualche dorata spiaggia della vicina Catalogna. Altri esempi? A Monaco tassazione allo 0% ma costi solo per Nababbi. In Estonia e Romania tasse molto basse. Un po’ di più in Slovacchia e Repubblica Ceca, per non parlare del Portogallo, dove il “Non-Habitual Residence Program” prevede fortissime agevolazioni fiscali per gli stranieri, accorsi in massa dal Centro e Nord Europa, contribuendo al piccolo miracolo economico di un Paese in forte ripresa economica (+2,6% l’ultimo dato di crescita del Pil). E che dire poi di Malta? Per i pensionati provenienti dalla Ue è in vigore un’aliquota fissa del 15% su qualsiasi fonte di reddito estera per chi è residente fiscale. Queste le condizioni: ● percepire una pensione estera, che deve costituire almeno il 75% del reddito imponibile del beneficiario; ● acquistare o affittare una proprietà immobiliare a Malta o a Gozo che deve fungere da abitazione principale con valore minimo a Malta di 275.000 euro o a Gozo di 250.000 euro; ● in alternativa affittare un’abitazione a un canone di locazione minimo annuale di 9.600 euro se la proprietà è situata a Malta e di 8.750 euro se a Gozo; ● disporre di un’assicurazione sanitaria; ● prendere il domicilio; ● essere presenti a Malta per almeno 90 giorni ogni anno, per un periodo di 5 anni; ● pagamento di una “fee” governativa pari a 2.500 euro, presentando una specifica domanda all’autorità competente tramite un rappresentante autorizzato. Mica male, considerando anche che Malta è ormai una moderna piattaforma di attività finanziarie, con un’ottima presenza di banche. La lista potrebbe completarsi infine con un vasto numero di Paesi non europei, in parte emersi e in parte emergenti, con rischi però che aumentano a dismisura. E infine c’è chi si attende future proposte allettanti da parte della Gran Bretagna, quando la Brexit si sarà conclusa.

9°) Non si pensi: se poi mi ammalo?

Se vi ponete la domanda vuol dire che non volete abbandonare le vostre abitudini/sicurezze italiane. Il problema è marginale nella scelta. Ormai ovunque in Europa c’è un livello di sanità più che adeguato. Il problema sta nel fatto che si perde il Sistema Sanitario Nazionale e le sue efficienze/inefficienze. All’estero dovrete pagare per curarvi. Se già lo fate in Italia il problema non esiste.

10°) Far fuggire soltanto i soldi?

E’ la soluzione di compromesso. Aprire legalmente, mediante una fiduciaria, un conto corrente in una banca estera e poi trasferire il patrimonio mobiliare detenuto. Come strategia della fuga è la più modesta. Si pagherebbero infatti eventuali patrimoniali e quant’altro, perché fiscalmente è come se il tutto fosse rimasto in Italia, ma si ha la garanzia della solidità di Paesi forti (classica la Svizzera ma prende piede anche il Lussemburgo). Ha un difetto evidente: aumentano i costi perché la fiduciaria si fa pagare e le banche straniere non scherzano certo in termini di “fee” e commissioni. Quest’alternativa si adatta quindi solo per chi cerca un po’ di tranquillità, volendo restare comodamente seduto nella poltrona della propria casa in Italia.

(4° puntata – segue)

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