L'inflazione Usa mette il turbo alla volatilità


Il dato relativo all'inflazione Usa ha superato le aspettative andando a registrare un valore di 8,3 punti percentuali portando un rapido collasso ai future americani e statunitensi tanto da mandare in stallo i grafici con timeframe 1 minuto che per due giorni interi avevano continuato a crescere senza sosta dando sfogo al sospetto di mani forti dietro il mouse intente a caricare artificiosamente gli indici per poi avere dei punti nobili a cui attaccare il mercato dei longhisti con un colpo di macete.

Come già accaduto altre volte quindi, si vanno a prendere delle posizioni nuove sfruttando il cambio di future.

Proprio le scadenze tecniche hanno creato un bel pò di caos in quest'ultima settimana facendo fare un balzo in alto di circa 1500 punti al Dow Jones ad esempio di 1800 punti al Nasdaq, poi bruciati in pochissime ore all'uscita del dato sopra menzionato.

Inutlie sottolineare il balzo della volatilità quindi, già ampiamente documentata dai valori citati.

Come varie volte ci è capitato di  affermare, muoversi in un quadro di downtrend espone a rischi di caduta quali quelli vissuti nella giornata di martedì 13 settembre e pertanto le previsioni anche per i prossimi mesi non possono che restare negative assegnando una probabilità di vedere nuovi minimi all' 80%.

Non bisogna però passare ad una lettura del mercato come se si stesse scivolando in una recessione brutale.

Dal nostro punto di vista si sta solo cercando di tornare ad una normalità intesa anche come quantità di liquidità in circolazione e pertanto i valori di riferimento rimangono quelli che abbiamo visto prima del Covid.

In un ottica di gestione di portafoglio, abbiamo visto quanto i titoli cosidetti "growth" stiano soffrendo molto più dei titoli "value" e questo evidenzia la loro natura speculativa veicolando con se una maggiore volatilità nelle fasi di correzione dei mercati.

Di particolare interesse la situazione connessa con i titoli di stato, segmento di mercato che più correttamente si è adeguata alle manovre delle banche centrali a differenza degli indici che nel tentativo di bilanciare la spinta inflazionistica, hanno cercato di reggere l'onda d'urto in maniera egregia ma molto rischiosa.

La vera particolarità di queste scadenze tecniche questa volta, la si è potuta riscontrare nel passaggio anticipato in termini di contrattazione, ai nuovi strumenti, complice l'elevata volatilità degli utlimi giorni che ha consentito a diversi operatori la chiusura dei vecchi future senza dover effettuare forzature.

Una simile congiuntura porta il mercato a reagire in maniera forte ai vari stimoli che generalmente ne alimentano la naturale movimentazione, senza tener più conto della data di scadenza effettiva.

Nello specifico, riferendomi a parametri indicati in passato ad esempio, il livello 12500 riferito al Dax come punto di minimo per l'ormai vecchio future, non è più infrangibile come lo è stato in quest'ultimo periodo ma diventa appunto, e per usare un termine morbido, quantomeno permeabile.

Vox populi è stata sedotta dalla ripetizione isterica che il tasso di inflazione sia dipeso dallo shock sulle materie prime derivante dal conflitto bellico, con il prezzo del petrolio ad 84 dollari che la dice lunga anche in merito alle stime future della domanda in calo; eppure sarebbe bastato dare una sbirciatina veloce al dato in continua evoluzione relativo al livello inflazionistico, per comprendere che la spirale fosse iniziata molto tempo prima dell'inizio del conflitto, quando le banche centrali attribuivano erroneamente la responsabilità, ai vari colli di bottiglia presenti nel lato dell'offerta di beni e servizi.

In  realtà, ciò che stiamo pagando è il post Covid e i vari Quantitative Easing messi in atto in tutto il mondo per bypassare lo stallo in cui tutti si era caduti, con le fabbriche chiuse ed il mondo rintanato nelle proprie abitazioni.

Immissione di moneta nel mercato porta con se alta inflazione, una legge della natura monetaria come quella del corso dei fiumi i quali in caso di piena, ritrovano la loro vecchia sede e a nulla valgono le opposizioni dell'uomo. Ora l'unica mossa  che tutte le banche centrali hanno, è il rialzo dei tassi d'interesse con conseguente contrazione dell'attività economica, altrimenti, badate bene, l'inflazione non è destinata a scendere.

(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)